>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
TUTTI |0-9 |A |B |C |D |E |F |G |H |I |J |K |L |M |N |O |P |Q |R |S |T |U |V |W |X |Y |Z

Archivio Articoli FREE

Ali-Babacan.jpg
Ankara si avvicina a Mosca
Stampa
  Text size
«La Russia e la Turchia hanno avviato la creazione di una ‘Piattaforma di sicurezza e stabilità nel Caucaso’, che permetterebbe di rinforzare le loro posizioni nella regione, indebolendo contemporaneamente l’influenza degli Stati Uniti (1). Il progetto della creazione di un’alleanza ragionale detta ‘Piattaforma di sicurezza e stabilità nel Caucaso’ era stato sollevato per la prima volta a Mosca il 12 agosto, a Mosca, dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, ed ha immediatamente avuto l’appoggio dellle autorità russe. L’alleanza dovrebbe unire Russia, Turchia, Azerbaijan, Armenia e Georgia. Tbilisi resta la sola a non aver ancora dato l’assenso definitivo, dichiarandolo impossibile se non dopo il ritiro delle forze russe dal territorio georgiano».

Salvo errori, non si trova questa informazione sui nostri «grandi» media. Essi, con il Corriere in prima fila (ospita un bellicoso articolo di Bernard Henry-Lévy che incita noi europei a morire per Tbilisi), si tengono fermi alla narrativa dettata dai neocon: Mosca è «isolata» dopo la sua «aggressione» alla democrazia georgiana; nella variante europea, si dice che bisogna scongiurare «l’isolamento» della Russia. Se ha ragione la Novosti, si tratta di una fantasia ad uso mediatico del Katz.
La Russia è così isolata che il 12 agosto, quando ancora i pezzi dei suoi cingolati erano caldi in Georgia, Erdogan propone a Mosca qualcosa di simile a un’alleanza.

Si noti, la proposta non è partita dai russi, ma dalla Turchia: membro fedelissimo, e con uno dei migliori eserciti, della NATO.

La menzione della «sicurezza» nella proposta implica necessariamente un accordo anche militare; la proposta è una sistemazione che garantisca la «stabilità» nell’intera regione caucasica, con lo scopo sottinteso di tener fuori dalla regione l’elemento destabilizzante, gli USA. Evidentemente la Turchia ha, sui fatti che hanno portato al conflitto armato in Georgia, una valutazione diversa da quella di Bernard-Henry Lévy. O di Dick Cheney (2).

La diplomazia di Ankara è in piena attività per coinvolgere gli altri Paesi del Caucaso-Mar Nero. Pochi giorni fa il presidente turco Abdullah Gul è andato in visita in Armenia. La visita, benchè ufficialmente dedicata ad assistere ad una partita di calcio, è stata salutata come storica, per via della ferita aperta sul genocidio armeno. Evidentemente gli armeni sanno bene chi sono i responsabili del genocidio; non i turchi islamici, ma i militari «laici», i cripto-ebrei dunmeh, che fecero della Turchia la repubblica secolarista tanto amata dall’Occidente, e che mettono in galera chi osa solo parlare dello sterminio degli armeni. Oggi che ad Ankara c’è un governo di musulmani, il contenzioso può trovare una soluzione.

Fatto sta che Gul non è andato solo a parlare di calcio. Scrive la Novosti: «Sabato scorso, la formazione di questa alleanza è stata l’oggetto delle conversazioni tra il presidente turco Abdullah Gul e il suo omologo armeno Serge Sargsian. (...) La partecipazione alla creazione di questa nuova alleanza potrà permettere alla Armenia di normalizzare i suoi rapporti con la Turchia, ciò che permetterebbe l’apertura delle frontiere fra i due Paesi e darebbe alle merci armene un accesso al mercato turco».

Quanto alla diplomazia russa, è parimenti attiva nell’interessare al patto di stabilità del Caucaso gli altri Paesi ex-sovietici. Specialmente l’Azerbaijian, che come scrive con sottile ironia Kommersant, «ha manifestato una aspirazione ad avvicinarsi all’Occidente e alla NATO»  (grazie alle tangenti pagate dagli americani ai caporioni); «ma i recenti avvenimenti potrebbero influire molto sulla sua politica. Mosca può dare a Baku due argomenti a favore del sostegno della politica russa nel Caucaso». Quali argomenti?

Eccoli: «Tbilisi non ha potuto risolvere il problema dell’Abkhazia e del Sud-Ossezia nonostante il sostegno di Washington, mentre la Moldavia è un esempio da seguire». Anche la Moldavia ha un problema di secessionismo, nella Transnistria russofona; ed ora, ecco, dice Kommersant, «il presidente transinstriano (separatista) Igor Smirnov, dopo colloqui con Dimitri Medvedev, ha annunciato di togliere la moratoria dai negoziati con Kishinew (la capitale moldava)».

Insomma il problema si avvia a soluzione. E siccome l’Azerbaijan ha anch’esso un problema di conflitto etnico-minoritario con gli armeni dell’alto Karabakh, la lezione è chiara: meglio lasciar fuori gli USA che non sono capaci di aiutare nessuno, parlate con noi. Nel quadro della Piattaforma di stabilità del Caucaso proposta da Ankara, le divergenze possono appianarsi.

Infatti, «un incontro personale tra i presidenti russo e azerbaigiano potrebbe costituire la tappa ulteriore dei negoziati sulla creazione dell’alleanza. La scorsa settimana Dimitri Medvedev e Ilam Aliev (l’azerbaigiano) hanno convenuto, in una conversazione telefonica, l’incontro dei loro ministri, che dovrebbe creare la base per i loro negoziati di persona. Secondo una fonte vicina al Kremlino, in questo incontro al vertice si potrebbe affrontare la questione dell’organizzazione di negoziati fra i leader armeni e azerbaigiani con la mediazione del presidente russo, e non più sotto l’egida del Gruppo di Minsk dell’OSCE, che fino ad oggi ha avuto il compito di regolare il conflittto dell’alto Karabak»: senza esito, aggiungiamo.

Dunque l’idea è di tener fuori dal cortile della casa comune turco-russo non solo gli USA, ma anche l’OSCE. E persino la Georgia non direbbe di no, una volta che le truppe russe si saranno ritirate.

L’Ucarina, in piena crisi interna, ha almeno una delle due personalità «democratiche» create a forza di dollari, la Timoshenko, propensa ad un accordo complessivo con Mosca; e potrebbe avere il suo posto nel progetto proposto dai turchi.
Che dire? Si può paragonare la attiva posizione della Turchia a quella, ridicolmente esitante, dell’Unione Europea verso Mosca. Potrebbe essere una lezione sul «destino manifesto» e la «forza delle cose».

Ankara ha valutato che, dopo il crollo del blocco sovietico, il suo «destino manifesto» la chiama ad un accordo solido e durevole con Mosca, e a prendere le distanze dall’avventurismo americano; l’eredità imperiale ottomana la chiama a stabilizzare un’area, che fu ottomana e dove intere popolazioni parlano turco.

L’Europa, bloccata dal servilismo verso i Lévy, i Cheney e gli altri Katz, fa la lezione moralistica a Mosca col ditino alzato, «congela» l’accordo di partnership strategica con la Russia (un accordo mai decollato, perchè agli americani non piace), ma nello stesso tempo si profonde in dichiarazioni di «intesa» con la Russia che «non deve essere isolata». Con un pensiero ansioso al petrolio e gas russo da cui dipendiamo.

Perchè questo è il problema, con il destino manifesto. Paesi che rifiutano il loro destino manifesto sono comunque obbligati ad obbedirgli, ma «per forza della cose»; ossia non come protagonisti consapevoli, ma come attori passivi, ridicolmente trascinati dalla forza dei fatti.

Alquanto ridicolo il «successo» di Sarkozy che è andato a fare il duro con Mosca, strappandole il ritiro dalla Georgia; perchè a Mosca era già chiaro che in Europa c’era una maggioranza schiacciante contro ogni indurimento, e tesa a non irritare la Russia.

C’è l’Italia, naturalmente senza visione strategica ma solo perchè Berlusconi chiama «il mio amico Putin»; ma soprattutto c’è su questa posizione la Germania o almeno il suo ministro degli Esteri, rivale della Merkel; l’Austria, il Belgio; infine, la Polonia stessa ha rinunciato al suo massimalismo, altrimenti la spaccatura europea sarebbe stata sancita.

La stessa Francia ha fatto capire in tutti i modi, mentre alzava il ditino conformista e legalista-atlantico sotto il naso di Medvedev, che non intendeva affatto rinunciare a «rilanciare i negoziati» con Mosca. Il suo ministo degli Esteri Kouchner, persino lui, il 6 settembre ad Avignone, ha detto agli americani che l’invio di navi da guerra nel Mar Nero («navi della NATO», ha detto lo sciagurato) «non serve a niente, bisogna placare la situazione». Ma non ha tratto le conclusioni evidenti: che alla NATO le decisioni si prendono all’unanimità, che quelle navi sono americane e che gli americani sono in violazione delle norme dell’Alleanza, che l’Alleanza stessa va ripensata dopo le mene americaniste in Georgia.

Commenta l’ottimo sito Dedefensa: «Mai l’assurda contraddizione di far parte di due mondi - l’Europa con la sua vocazione d’indipendenza e l’Europa vassalla degli USA - è apparsa così evidente» (3).

La Turchia, colonna della NATO, che fa persino esercitazioni congiunte con Israele, ha tratto dai fatti le conclusioni. Ha impedito l’entrata nel Bosforo delle più grosse navi americane, ed ora, in piena coscienza politica, persegue un progetto di integrazione della Russia in un patto di stabilità caucasico che - cosa non da poco - impegnerà Mosca, la legherà a stare ai patti.

L’Europa (cito sempre Dedefensa) «forzata dagli eventi e dalla paurosa alternativa del conflitto armato, e ormai alla ricerca di un quadro nuovo di sicurezza e di appeasement che deve necessariamente comprendere la Russia». Senza però ora riuscirci. Soprattutto perchè ha lasciato gestire l’era post-sovietica a Washington.

Dal 1987, quando fu firmato sulla testa degli europei il trattato INF (sulla riduzione delle testate atomiche di teatro USA-URSS), ci siamo affidati alla badante americana, addormentandoci nel dolce sonno di Alzheimer. Non ci ha svegliato l’espansione ad Est della NATO, contraria ai patti sottoscritti anzi vi abbiamo cooperato, inglobando nella UE una quantità di paesetti, le cui nuove dirigenze si fanno forti  di sfidare la Russia, con cui ritengono di aver vecchi conti privati da regolare. Non ci ha svegliato la devastazione liberista della Russia, operata dagli economisti-consulenti della Scuola di Chicago.

Incapaci di risolvere la questione jugoslava, conseguenza del crollo sovietico e che ci riguardava, abbiamo chiesto aiuto alle bombe americane. Non ci ha svegliato alla consapevolezza che qualcosa era cambiato nel mondo l’invasione dell’Afghanistan, nè dell’Iraq; i nostri giornali continuano a cantare la canzone «atlantica» (Gli USA ci hanno liberato dal fascismo, cari nostri alleati»).

Non abbiamo preso coscienza della necessità di un’armata autonoma europea, perchè costava troppo - e non è vero: basta dotarsi di bombe atomiche e vettori per lanciarle, è il modo più economico di avere una deterrenza e di giocare alla pari sui tavoli degli armati.

Abbiamo accettato che le eurocrazie, obbedienti alle note lobby, cercassero di far entrare la Turchia in Europa, senza mai rispondere alla domanda fondamentale: ma la Russia è Europa o no? E perchè no, allora, la Russia?

Non ci abbiamo preso atto, dice Dedefensa a proposito del trattato INF, che «uno dei firmatari  è oggi il promotore, come lo era più discretamente in passato, d’una politica di destabilizzazione dell’Europa, il che è contraddizione insopportabile dato che tale firmatario non è europeo, e perchè non è europeo; d’altra parte, che l’altro firmatario è scomparso, sostituito dalla Russia che non è l’URSS ma che può essere europea».

Ci ha svegliato il tuono dei  cannoni russi e georgiani. E spaventati e disarmati, cerchiamo un quadro nuovo di sicurezza che «necessariamente» deve comprendere la Russia, ma ob torto collo; nè un’alleanza alla pari, nè un patto di stabilità come quello suggerito dai turchi per il Caucaso.

E i nostri dirigenti avanzano a tentoni, senza una visione strategica, trascinati dai fatti. Acuta la conclusione di Defendensa: meglio così. Meglio che non sappiano quello che fanno.

«Nelle condizioni della politica attuale, dove si teme la minima cosa che possa mettere in questione il "legame" UE-USA, è preferibile che gli apprendisti "relapsi" (4) ignorino il sacrilegio che ormai sono sul punto di commettere: perchè quanti dei nostri dirigenti resisterebbero al panico, alla prospettiva sacrilega di mettere in causa il loro vassallaggio all’americanismo? Ma si deve constatare che agiscono comunque, sia pure piccinamente. Non fanno che servire una corrente della storia di cui ignorano la forza; se la conoscessero, il loro conformismo o la loro assenza intellettuale  di visione  li terrorizzerebbe. Meglio che siano gli zimbelli della storia che spiriti coscienti della storia».

Acuta analisi, Dedefensa (sede a Bruxelles, epicentro del cuore di latta dell’Europa) conoscendo bene i timorosi polli eurocratici. Ma esprimo il mio rispettoso disaccordo.

Seguire coscientemente il destino manifesto non è la stessa cosa che obbedirgli trascinati dalla forza delle cose. Il risultato è al ribasso, privo di dignità e - alla fine - senza utilità politica.

Oggi, avviamo intese con la Russia in ordine sparso, e lo facciamo perchè temiamo che ci chiuda i rubinetti del petrolio, che ci è necessario. Ci comportiamo da clienti commerciali deboli di un gigante commercialmente forte. E data la domanda, la clientela da soddisfare si può trovare altrove.

La Turchia tratta alla pari un programma d’integrazione nel reciproco interesse storico. L’Europa fa la voce grossa per farsi sentire da Bernerd-Henry Lévy, una presidenza USA in uscita, e non irritare Katz; ma intanto strizza l’occhio al «nostro amico Putin», sperando di tenere non solo i piedi in due scarpe, ma pure di averli caldi il prossimo inverno.


 



1) «Moscou et Ankara pourraient créer une nouvelle alliance dans le Caucase», Kommersant, 8 settembre 2008. Novosti in francese. Ancora la Novosti il 4 settembre: «Le président italien Giorgio Napolitano et son homologue autrichien Heinz Fischer se sont prononcés jeudi pour la poursuite des négociations sur le nouvel accord de coopération et de partenariat Russie-UE, a annoncé le service de presse du président italien.» Vedere anche «Une nouvelle alliance dans le Caucase, avec principalement la Turquie et la Russie?», Dedefensa, 9 settembre 2008.
2) Il presidente Abdullah Gul, già primo ministro e ministro degli Esteri, aveva chiarito esplicitamente la valutazione turca sulla crisi georgiana in una intervista al Guardian il 16 agosto: «Il conflitto in Georgia mostra che gli Stati Uniti non sono più in grado di dare forma da soli alla politica globale, e devono cominciare a condividere il potere con altri Paesi. «Non si può controllare tutto il mondo da un solo centro», ha dichiarato Gul al Guardian. «Ci sono grandi nazioni. Ci sono grandi popolazioni. C’è un incredibile sviluppo economico in certe parti del mondo. Sicchè, anzichè azioni unilaterali, dobbiamo agire tutti insieme, prendere decisioni comuni, e consultarci col mondo. Può emergere un nuovo rodine mondiale». Gul aveva appena incontrato Ahmadinejad. Ed «ha rigettato l’idea, promossa da USA e Israele, che il modo migliore di trattare l’Iran sia di isolarlo, punirlo. Il 13 agosto, in pieno conflitto russo-georgiano, il premier turco Erdogan era a Mosca e «ha dichiarato che il suo Paese è solidale con la Russia». Il 14 agosto, Ankara vietava – come ha il diritto di fare in base alla convenzione di Montreux (del 1937!), l’accesso al Mar Nero alle navi da guerra americane di grosso tonnellaggio. «U.S. officials said the Turks hadn't cleared U.S. naval vessels to transit the Bosporus and the Dardanelles. «The Turks haven't been helpful,» said a State Department official. «They are being sluggish and unresponsive.»» (McClatchy Newspapers, 14 agosto).
3) «La crise se precise», Dedefensa, 8 aprile 2008. «Navires de l'OTAN en mer Noire: l'UE appelle à la détente (Kouchner)». Novosti,  6 settembre 2008.
4) «Relapsi», ossia «ricaduti» (nell’eresia) erano quei cristiani sospetti che, avendo negato di aderire a posizioni eretiche, poi confessavano (di solito sotto tortura) di aver commesso sacrilegio. Come noto, parecchi Templari furono condannati al rogo come «relapsi». I cristiani che nel tardo impero romano, per paura delle persecuzioni, accettarono di bruciare incenso al simulacro dell’imperatore, furono chiamati «lapsi», «scivolati».

 

Home  >  Russia                                                                                               Back to top

La casa editrice EFFEDIEFFE ed il direttore Maurizio Blondet, proprietari
dei contenuti del giornale on-line, diffidano dal riportare su altri siti, blog,
forum, o in qualsiasi altra forma (cartacea, audio, etc.) i suddetti contenuti,
in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright ed i diritti d’autore.
Con l’accesso al giornale on-line riservato ai soli abbonati ogni abuso in
questo senso, prima tollerato, sarà perseguito legalmente. Invitiamo inoltre
i detentori,a togliere dai rispettivi archivi i nostri articoli.
 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità