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Al G-20 si spacca l’«Occidente»
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Lo scontro è così aperto e brutale che è arrivato fino ai media ufficiosi: al G-20 di Londra, il 2 aprile, USA ed Europa si preparano con programmi opposti (1). E inconciliabili. Gli americani vogliono, anzi ordinano, che gli europei profondano più miliardi, sempre più miliardi (come loro stanno facendo da mesi senza risultato) per «rilanciare la domanda globale», sempre «salvando le banche» che si presume offrano prestiti al consumatore americano; ordinano  che gli altri Paesi del mondo spendano il 2% del loro PIL, insomma un sempre più colossale «fiscal stimulus» a debito, o stampando moneta; e pretendono che siano dati 500 miliardi di dollari in dotazione al Fondo Monetario, che loro egemonizzano con gli inglesi.

Gli europei rispondono: abbiamo già dato, vogliamo che il G-20 si accordi su una regolamentazione globale che metta un freno alle follie dei «mercati» finanziari, anzitutto americani, chiusura d’autorità dei paradisi fiscali, redini ai derivati, eccetera.

Le dichiarazioni si susseguono, sempre più ostili. Il lussemburghese Jean Claude Juncker, capo dell’«eurogruppo» (i ministri delle Finanze della UE): «I sedici ministri delle Finanze concordano sul fatto che gli appelli americani, che insistono perchè l’Europa faccia un altro sforzo di bilancio, non sono di nostro gradimento». Peer Steinbruck, ministro delle Finanze tedesco: «Non parliamo di altre misure addizionali». La Merkel, Sarkozy e Tremonti sembrano tener duro su questa linea.

Quanto ad Obama, il suo portavoce Robert Gibbs ha detto: «Non andiamo a negoziare alcuna specifica percentuale o alcun impegno». Questa frase giustifica il peggiore dei sospetti: che Obama vada al G-20 al solo scopo di far saltare i tavoli, per avere la scusa, tornato a Washington, di fare di testa sua, senza togliere il timone dalle mani dei responsabili del disastro, mantenendo la struttura di potere finanziario che mette il mondo alle corde, e senza prendere impegni concordati, mettendo in atto qualche trucco competitivo che tenga a galla il disastro-USA: non dimentichiamo che deve trovare compratori per i trilioni di dollari di nuovi BOT USA che sta emettendo - e deve farlo in competizione con gli altri Paesi, soprattutto europei - e cercare di impedire l’implosione delle bolle speculative incombenti (come quelle sulle carte di credito americane, o l’apocalisse delle pensioni private), mantenendo una qualche «egemonia globale», ossia obbligando gli altri a seguirlo dove non vogliono, e a costringere la Cina - ad esempio - a preferire di mettere le sue riserve nei Treasury Bills americani piuttosto che in titoli europei.

Sono già in corso delle manovre, che paiono giustificare i sospetti. Una è il tentativo di opporre alla «vecchia Europa» la «nuova Europa» dell’Est, gli ingenui liberisti dell’ultima ora; la stessa politica di Bush. L’altra, collegata a questa, la notifica il sito francese Europe 2020: sarebbe in corso una campagna allarmistica sulla reale situazione dei Paesi dell’Est, descritta come una bancarotta tale, da spaccare l’euro; e un tentativo di dipingere la crisi europea come molto, ma molto peggiore di quella americana, perchè l’Europa ha una moneta comune ma non l’unità politica di cui godono gli USA. Una campagna a cui si prestano giornali inglesi come il Telegraph e il Financial Times, nonchè le agenzie di rating, ma che sarebbe basata su dati falsi.

Il sito di analisi francese vede letteralmente «un tentativo deliberato da parte di Wall Street e della City di far credere a una frattura della UE e di instillare l’idea di un rischio "mortale" gravante sulla zona euro, attraverso l’incessante flusso di false informazioni sul "rischio bancario che viene dall’Europa dell’Est", tentando per giunta di bollare una zona euro "tremebonda" di fronte alle misure "volontariste" americane o britanniche. Un altro obbiettivo è di stornare l’attenzione internazionale dall’aggravarsi dei problemi finanziari di New York e Londra, indebolendo nello stesso tempo la posizione europea alla vigilia del G-20» (2).

Se Europe 2020 vede giusto, il vostro cronista deve confessare di essere rimasto anch’egli vittima della guerra psico-allarmistica anglo-americana, di aver creduto all’insostenibile esposizione delle banche europee all’Est (vedi Unicredit) e alla tensione speculativa sui debiti pubblici dell’area euro, comprovata dalla forbice crescente fra i BOT tedeschi e i BOT, ad esempio, nostrani. Il vostro cronista si augura di aver avuto torto, e che Europe 2020 abbia ragione.

Vediamo la valutazione di Europe 2020. E’ ridicolo, sostiene, strillare «l’Ungheria è in bancarotta» o «La Lettonia in default» come se si dicesse «la California è insolvente». La popolazione della Lettonia è solo l’1% di quella della UE e la sua economia è lo 0,2% del PIL europeo, mentre la California ha il 12% della popolazione americana, ed è lo Stato più ricco degli USA. Il PIL ungherese pesa l’1,1% nel PIL dell’eurozona. I nuovi Stati membri est-europei pesano in tutto il 10% del PIL europeo, e fra loro i più grossi e ricchi (si fa per dire), come Polonia e Cekia, sono i meno colpiti. Dunque, niente fa pensare che  «l’Europa dell’Est provocherà qualcosa di simile alla crisi dei subprime» americani. Al massimo, valuta il sito francese, la somma in gioco per il sistema finanziario europeo si aggira sui 100 miliardi di euro, 130 miliardi di dollari, più che sopportabile in rapporto alla dimensione del sistema finanziario della UE, e modesto rispetto alle migliaia di miliardi (trilioni) che la FED e il Tesoro USA continuano a iniettare nelle loro banche, assicurazioni, mega-aziende eccetera. La cifra stanziatata dai paesi della UE in consorzio per stabilizzare l’Est,  25 miliardi di euro, è il 20% di quel che occorre nel peggiore dei casi, dunque secondo Europe 2020, sufficiente; tanto più che «il recente ribasso del franco svizzero diminuisce ancora la gravità della situazione», dando respiro agli ungheresi e ai polacchi che hanno contratto mutui nella divisa elvetica.



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Ecco le dimensioni delle economie dell’Est, a confronto con la zona euro



La banca più insistentemente indicata come il detonatore della bolla europea, l’austriaca Raffeisen - sostiene Europe 2020 - nel 2008 ha realizzato profitti in rialzo del 17%, «superiore a tutto quel che possono sperare la banche americane e britanniche». L’Ucraina, sì, ha un piede nell’abisso: ma non è nella zona euro, anzi è «una pedina di Washington» e se precipita, pone all’Europa un problema come zona di instabilità ai suoi confini, ma ne pone uno più grosso a Washington, perchè sarà Mosca a guadagnarvi con un’espansione della sua influenza.

Nè l’immobiliare est-europeo finanziato con mutui delle nostre banche minaccia di perdere il 30-40% di valore, come accade in USA e in Inghilterra; perchè «dopo 50 anni di comunismo» in quei Paesi c’è una «penuria di abitazioni moderne», mentre le case e villette tirate sù in USA grazie ai mutui a bassi tassi e concessi a insolventi, sono case in sovrappiù, di qualità bassa, ed oggi, abbandonate, in via di veloce degrado. Lì sì c’è «una vera distruzione di ricchezza per i proprietari, i creditori, le banche e l’economia» in generale.

Insomma, che l’ottimismo alla Berlusconi abbia un fondamento? Speriamo che Europe 2020 abbia ragione, e non sia contro-propaganda parigina. Non sono del tutto convinto: la rigidità idiota della BCE, l’assenza di vere leadership in Europa non sono certo scomparse. Ed incombe su tutti la bolla dei derivati, pari a 109 mila dollari per ogni persona di questo pianeta.
Ma ci spero, per le conseguenze politiche che questo potrebbe portare: un allontanamento irreversibile della vecchia Europa dal cosiddetto «alleato» e padrone (maggiordomi eurocratici permettendo).

Se hanno ragione i francesi, la tragedia economica USA resta la più grave, incomparabile con la crisi europea, e con tutti gli indici convergenti verso il basso (tranne la Borsa, che rialza assurdamente, con scambio di volumi ormai residuali); e di fatto, benchè da noi sia dura, non vediamo ancora le tendopoli dei senzatetto cacciati dalle case col mutuo, come in California e in Florida. Non abbiamo ancora visto un Madoff europeo, che ha fatto sparire 50 miliardi di dollari (due volte e mezzo il prezzo di General Motors) semplicemente rubandoli ai clienti. Nè un crollo degli ordinativi del 44,8%, come quello sofferto dall’industria USA, nonostante il dollaro svalutato e competitivo. Certo la crisi non ci risparmierà, perchè non ci sono paratie stagne; e l’implosione americana avrà ricadute tossiche decennali per tutti.

Quanto è vicino quel collasso? Ne può essere una premonizione una notiziola di Bloomberg: «C’è stato un fuggi-fuggi di investitori stranieri dai loro investimenti in dollari. Tutti vogliono portarsi a casa i soldi. Non si cerca più il ritorno sul capitale, ma di riprendersi il capitale. Gli stranieri, solo in gennaio, hanno venduto 43 miliardi di dollari netti di titoli USA a lungo termine, mentre in dicembre il saldo era ancora positivo per gli USA, per 34,7 miliardi di dollari entrati in America. Questo può indicare che nel futuro prossimo, Washington avrà qualche problema a far comprare i BOT che sta emettendo a trilioni, per finanziare il suo "rilancio" mal riuscito» (3).

Il massimo creditore dell’America, la Cina, sta cautamente diversificando, liberandosi degli attivi in dollari per altre monete. Sta acquistando a man bassa attivi «reali», miniere in via di fallimento, metalli, contratti petroliferi a lungo termine - oggi a prezzi irrisori, che si rivaluteranno in futuro - un po’ in tutto il mondo: Russia, Brasile, Venezuela, Australia. E pagando con BOT americani e sbolognando titoli denominati in dollari.




1) «Chaos préparatoiire, eventuellement prémonitoire», Dedefensa, 14 marzo 2009. «Tensions transatlantiques croissantes à la veille du G20: exemple d’une tentative de déstabilisation du système bancaire de l’UE et de l’Euro par Wall Street et la City», Europe 2020, 15 marzo 2009.
2) ...Vincent del Giudice, «Foreign Demand for Long-Term U.S. Assets Weakens», Bloomberg, 16 marzo 2009.
3) W.Joseph Stroupe, «China  inoculates itself against dollar collapse», Asia Times, 18 marzo 2009.


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