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È colpa di Bertone
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Un lettore mi manda questa mail:

«Caro Direttore,

mi permetto di chiederle qualche parola circa i venti che minacciano la stabilità della Chiesa. Il Papa ha fermamente dichiarato che la casa costruita sulla roccia non può crollare
, ma ha dovuto anche ammettere che ci troviamo in una crescente e nuova Babilonia. Qualcosa di importante sta dunque accadendo. Forse un giorno il Papato di Benedetto XVI verrà dimenticato dagli uomini per via del carattere mite e dellintelligenza sottile di Joseph Ratzinger, e rimarranno soltanto gli echi degli scandali trascinati dai soliti venti anticlericali, eppure io credo che proprio durante questo Papato la Chiesa si stia giocando la partita decisiva del nostro tempo.

Benedetto XVI è un Pontefice di quelli voluti espressamente dal Signore, ne sono sicuro, e sono in pochi quelli che riescono ad accorgersene
(chi è che diceva:Alcuni Papi Dio li sceglie, altri li permette, altri invece li tollera’?). Ha fronteggiato a cuore aperto lo scandalo della pedofilia, con sincero pentimento e notevole coraggio; ha portato avanti il dialogo interreligioso senza mai piegarsi e correggendo il tiro laddove ce ne fosse stato davvero bisogno; ha riportato una buona fetta degli anglicani nel seno della cattolicità e ha compiuto passi importanti verso la Chiesa Ortodossa; ha riabilitato la Messa Tridentina e ordinato (senza peraltro trovare molto consenso) che su ogni altare fosse quantomeno esposto un Crocefisso; ha insistito come pochi suoi predecessori circa la centralità della Tradizione come pilastro della vera e autentica fede; ha denunciato a chiare lettere in più occasioni che la crisi della cristianità è dovuta in particolar modo al crollo della liturgia. Come dargli torto? Ogni suo discorso, se ascoltato attentamente, è una perla, una goccia di verità in questo mare di mezze bugie e di menzogne.

Per questo ho piena fiducia in questo Pontefice. Sono convinto che qualcosa si stia muovendo: sia il fatto del maggiordono del Papa
, beccato a trafugare carte per conto di chissà chi, che quello del direttore dello IOR, allontanato senza troppa diplomazia e delicatezza dalla sua poltrona, si possono interpretare a mio modo di vedere come dei successi. Mi sembra un: facciamo pulizia. Almeno, lo spero. In un momento di preparazione per un nuovo Conclave, al primo vero giro di boa dal Concilio Vaticano II, due o più fazioni interne si stanno scontrando. Mi sbaglio?

Insomma
, pur capendo poco e prendendo le notizie che arrivano con le pinze, a me sembra che sia in atto una fase molto acuta della lotta che coinvolge la Chiesa fino alla fine dei tempi. Per questo chiedo a Lei, direttore, qualche notizia e approfondimento a riguardo: sono sicuro che potrà aiutarmi.

In particolare Le chiedo: cosa si può dire riguardo al cardinal Bertone
? Da che parte sta? Chi è? Quali sono gli altri personaggi chiave? Un cardinale che a pelle invece mi piace molto, ma sul quale non so dire granché, è il cardinale Bagnasco. Cosa pensa di lui? Potrebbe essere un possibile successore di Benedetto XVI? Chi altri c’è?

Insomma: mi può offrire un punto di vista e magari aiutarmi a fare chiarezza sulla situazione attuale
, per quanto sia possibile?

Colgo l
occasione per farle sinceri auguri e i complimenti per il Suo lavoro. Faccio il tifo per il Papa e grido: W il Papa Re!

Stefano Airoldi
»



Caro lettore, si ha paura anche solo di parlare di quello che sta avvenendo in Vaticano. Da una parte non ne so abbastanza per dare giudizi, dall’altra mi ripeto (con padre Andrea, frate cappuccino oggi prigioniero per Cristo per volontà vaticana) che quando tornerà «Gesù farà nuove tutte le cose», e quel che deve cadere – ed è molto, nella gerarchia – cadrà.

Su una cosa mi sento di darle subito ragione: questo è l’esito terminale del Concilio e della devastazione liturgica. Ormai è raro entrare in una chiesa e trovare Cristo eucaristico al suo posto, ossia al centro, con accanto la rossa fiammella che attesta la sua divina Presenza. Persino nelle chiese antiche, progettate per la centralità del Tabernacolo, si deve cercare Gesù in qualche cappella laterale, nascosta alla vista. Messo da parte Cristo, è inevitabile che emergano in primo piano rigurgiti troppo umani.

Il giovane sacerdote della mia orribile chiesa parrocchiale si fa un punto d’onore quando proclama «scambiatevi il segno di pace», di stringere la mano a «tutti» i fedeli: di fatto, diventa questo il «rito centrale» della sua messa, molto più dell’elevazione. Il che è un po’ ridicolo, dopo tanta vittoriosa avversione ai ritualismi e «fronzoli della vecchia liturgia», vedere l’affermarsi di un nuovo ritualismo sciocco e vuoto. E questo per un prete; si figuri i vescovi e cardinali.

A lungo giornalista di Avvenire, non mi sono mai finito di stupire di questo fatto: che proprio i prelati più «progressisti», i più decisi promotori della nudità liturgica, dello spogliamento degli altari e i più ostili al sacrum, sono quelli che più tengono agli ermellini, alle porpore, alle fasce e ai grossi anelli ametista. E quanto si pavoneggiano in questi segni esteriori di cariche di un passato glorioso, e che loro stessi hanno reso defunte e incomprensibili ai fedeli!

In Vaticano, dunque, domina sfrenato un carrierismo che sarebbe censurabile persino alla IBM e a Goldman Sachs, dove almeno la sete di potere ha un senso; dominano sussurri, invidie e complotti di corridoio da harem ottomano – un harem fatto solo di eunuchi.

Tutto ciò ha raggiunto un acme intollerabile negli ultimi tempi. Quello che mi ha più colpito è la giustificazione che i «corvi» trafugatori di documenti riservati papali hanno fatto sapere ai media: «Vogliamo aiutare il Papa a fare pulizia». Sembra una giustificazione assurda, irricevibile. Lo è sembrata anche a me, fino a quando ho visto le reazioni di personaggi che conosco personalmente e di cui conosco la serietà e la fede: questi tendono a dar ragione ai «corvi». Dentro le Mura, la situazione è tale da indurre ad atti disperati. Come mai?

Le dirò: ad Avvenire, tutti i colleghi più addentro alle cose clericali rimasero increduli quando Benedetto XVI nominò alla carica importantissima di Segretario di Stato monsignor Tarcisio Bertone. Lo conoscevano come un superficialone, privo di esperienza diplomatica (essenziale in quella carica) e di conoscenze linguistiche, persona mediocrissima in tutti i sensi. Tanto per dirne una, ci teneva a commentare su Avvenire, sotto pseudonimo, le partite di calcio di serie C a cui assisteva assiduamente. I giornali corrivi hanno scritto di lui che «scherza, fa il tifoso e non crede alle lacrime facili delle madonnine»: insomma un caposcarico, credente nella Juve ma ostile al soprannaturale.

Tarcisio Pietro Evasio Bertone
  Tarcisio Pietro Bertone allo stadio
Una volta salito nell’empireo vaticano, alla seconda carica dopo quella pontificia, monsignor Bertone ha mostrato subito che cosa nascondeva sotto l’aria di finto-simpatico e finto-semplice. Al cardinal Bagnasco, che come capo della Conferenza Episcopale Italiana dovrebbe tenere i rapporti con la politica italiana, ha chiarito che da quel momento tali contatti li avrebbe tenuti lui, Bertone, di persona, e che Bagnasco facesse il piacere di limitarsi alle cose spirituali. Ha preso tutti i poteri anche dietro le Mura, in modi che hanno sgomentato più d’uno.

È noto il caso di monsignor Carlo Maria Viganò, governatore vaticano, ossia della struttura che gestisce le forniture e gli appalti: appena insediato, monsignor Viganò denuncia al Pontefice, per iscritto e facendo nomi e cognomi, pratiche di corruzione che ha constatato: appalti assegnati a fornitori «amici», sempre i soliti, che imputano prezzi doppi del normale; operazioni finanziarie come quella del «dicembre 2009 ha mandato in fumo due milioni e mezzo di dollari»; ammanchi, feudi che gestiscono potere e soldi, le casse del governatorato subiscono perdite del 50-60%». Viganò ha fatto pulizia, portando la sua gestione da una perdita di 8 milioni di euro a un attivo di 34 in un solo anno. Ma ha commesso un errore: ha scritto direttamente al Papa, scavalcando Bertone, operazione che si fa solo se di Bertone non ci si fida per niente.

Carlo Maria Viganò
  Carlo Maria Viganò
Risultato: il Papa – o Bertone per lui – rimuove monsignor Viganò con il solito metodo vaticano, «promoveatur un amoveatur», facendolo nunzio apostolico nella prestigiosa ambasciata di Washington. Ma l’onesto Viganò capisce che promozione non è (fra l’altro, la promessa di farlo cardinale), e scrive al Pontefice:

«Beatissimo Padre, un mio trasferimento in questo momento provocherebbe smarrimento e scoramento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione da tempo radicate nella gestione delle diverse Direzioni (del Governatorato, l’amministrazione vaticana, nda). I cardinali Velasio De Paolis, Paolo Sardi e Angelo Comastri conoscono bene la situazione».

Ma cominciano qui le «fughe di notizie», i corvi che «vogliono aiutare il Papa a fare pulizia» prendono a far soffiate ai giornali. Monsignor Viganò ci mette la faccia, in una trasmissione su La7 del 25 gennaio (Gli Intoccabili), accusa Bertone e il suo giro di potere. Fra l’altro, «punta il dito su un personaggio che ritiene abbia avuto un ruolo nella vicenda che lo riguarda: Marco Simeon. Figlio di un benzinaio di Sanremo, è uno degli animatori della cooperativa sociale Il Cammino, fornitrice di fiori del Papa. Considerato molto vicino a Bertone, è autore di una carriera fulminea per gli standard italiani. Prima a Capitalia, la ex Banca di Roma di Cesare Geronzi, banchiere con altissime aderenze vaticane. Quindi a Mediobanca, come capo delle relazioni istituzionali, sempre al seguito di Geronzi. Infine alla RAI, dove a quello stesso incarico aggiunge la direzione di RAI Vaticano».

Segue, in questi giorni, il licenziamento in tronco, brutale e senza le untuosità vaticane, del capo dello IOR, il banchiere cattolicissimo e fedelissimo al Papa, deciso a «fare pulizia» come voleva Benedetto quando lo ha chiamato a quel posto: posto di estrema riservatezza e discrezione e sacrificio, dove chi sale sa in anticipo che dovrà ingollare rospi grossi come vacche, e farsi nemici potenti. Ma se Gotti Tedeschi è fedele al Papa, ben diverso è il rapporto tra il banchiere e Bertone, specie dopo il netto no di Gotti Tedeschi alla scalata del San Raffaele, fortemente sponsorizzata dal Segretario di Stato. Ultimamente Gotti Tedeschi confidava agli amici: «Bertone si è messo di traverso lungo la via della trasparenza voluta dal Papa e le sue frequentazioni in campo economico e finanziario sono tuttaltro che raccomandabili. Inoltre il cardinale si occupa di cose di cui non capisce assolutamente niente».

Quest’ultima frase è una citazione da un articolo del giornalista Aldo Maria Valli, vaticanista alla RAI. È una di quelle persone che conosco e di cui mi fido. È stato un collega ad Avvenire e ci siamo frequentati a «Studi Cattolici, rivista collegata all’Opus Dei». Ne conosco la pietas vera e profonda, la fede vissuta, l’onestà cristallina, e anche i giudizi sempre controllati, con quella moderazione e perfino reticenza che occorre per essere e restare un vaticanista accreditato presso i prelati (un mestiere che non gli invidio). Ebbene, su questa vicenda detta Vatileaks, Aldo Maria Valli – in un articolo su Europa – ha dato giudizi durissimi, a lui insoliti, favorevoli ai «corvi» e agli espulsi o arrestati, e che chiamano in causa il potere di Bertone. Lo riporto qui sotto, caro lettore, lasciando a lei le conclusioni.
Maurizio Blondet

Devotissimi e sospetti
Aldo Maria Valli

Ora, come si suol dire in questi casi, sarà la giustizia a fare il suo corso, ma certamente lo sconcerto è grande. Paolo Gabriele, il maggiordomo di sua santità accusato di essere il corvo trafugatore di documenti riservati, è uomo devotissimo al Papa, noto per la sua semplicità e i modi affabili. Sembra l’esatto opposto del cupo cospiratore desideroso di rimestare nel torbido e di spifferare all’esterno i segreti vaticani meno confessabili. Chi lo conosce non riesce proprio a immaginarlo mentre preleva carte dalla scrivania del Papa, esce dallo studio, percorre l’appartamento pontificio, raggiunge la fotocopiatrice più vicina e rimette accuratamente le carte al loro posto. Inoltre è difficile immaginare che a una tale attività possa essersi dedicata una persona sola.

Il giornalista Nuzzi, destinatario dei documenti riservati, ha detto che il corvo ha voluto agire per denunciare l’ipocrisia di tanti comportamenti vaticani e far capire quanto sia dura la vita di chi, dentro il Vaticano, prendendo alla lettera linvito di Benedetto XVI, desidera che sia fatta davvero pulizia. Inoltre Nuzzi ha fatto capire che i corvi sono tanti, almeno una ventina, distribuiti tra uffici diversi. Può essere che il maggiordomo Paolo, desideroso di rispondere fattivamente alla richiesta di moralizzazione fatta dal Papa, abbia deciso di collaborare, insieme ad altri, a un atto oggettivamente illegale (trafugare corrispondenza privata) in nome di un bene più grande (smascherare i corrotti e i sepolcri imbiancati). Tuttavia, è difficile sottrarsi all’impressione che il maggiordomo Paolo possa essere il classico capro espiatorio, anche perché è un laico, e si sa che nei sacri palazzi chi non porta la tonaca è meno tutelato.

In attesa degli sviluppi, suscita altrettanto stupore il modo in cui la Santa Sede ha liquidato il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, cacciato senza tanti complimenti perché non si sarebbe dimostrato all’altezza dei compiti assegnatigli dal Papa e dal Segretario di Stato Bertone. Nel durissimo comunicato emesso dalla sala stampa vaticana si dice che Gotti Tedeschi non ha svolto «varie funzioni di primaria importanza per il suo ufficio». In pratica, si sarebbe dimostrato un incapace. Ma, viene da chiedersi, possibile che per accorgersene ci siano voluti più di quattro anni? E com’è che il Vaticano se ne accorge proprio mentre è in corso la tempesta sollevata dalla fuga di notizie? E com’è che improvvisamente se ne accorgono tutti i membri del board che controlla lo IOR? Nel comunicato si dice che «i membri del Consiglio sono rattristati per gli avvenimenti che hanno condotto al voto di sfiducia». Da questa frase sembra di capire che, negli ultimi tempi, ci sono stati alcuni fatti specifici che hanno portato alla decisione unanime di allontanare il banchiere piacentino.

Quali fatti? È immaginabile che lo stesso Gotti Tedeschi faccia parte, come qualcuno ha lasciato intendere, della schiera dei corvi? Anche Gotti Tedeschi, come Paolo Gabriele, è un devotissimo del Papa, un uomo che per difendere il Pontefice, e rispondere ai suoi ordini, è pronto a sacrificarsi senza battere ciglio. Lo ricordiamo quando andò a trovare Benedetto XVI a Castel Gandolfo, dopo essere stato indagato per omissioni nell’applicazione della legge antiriciclaggio. La sua emozione era evidente, e il Papa fu molto paterno quando lo accolse e lo incoraggiò ad andare avanti. Ben diverso invece il rapporto tra il banchiere e Bertone, specie dopo il netto no di Gotti Tedeschi alla scalata del San Raffaele, fortemente sponsorizzata dal segretario di Stato. Ultimamente Gotti Tedeschi confidava agli amici: «Bertone si è messo di traverso lungo la via della trasparenza voluta dal Papa e le sue frequentazioni in campo economico e finanziario sono tutt’altro che raccomandabili. Inoltre il cardinale si occupa di cose di cui non capisce assolutamente niente». Lo scenario offerto oggi dal Vaticano è desolante.

Da qualunque parte lo si guardi, emergono lotte intestine, litigi, ripicche, polemiche, divisioni. Un Papa intellettuale e teologo, continuamene impegnato a mettere in guardia dalla «persecuzione interna» e da quelli che ha significativamente chiamato «lupi», regna su uno staterello che offre di sé un’immagine a metà fra il villaggio di lavandaie e il nido di vipere. La confusione è totale, e la situazione è tale che il Vaticano non riesce a essere credibile nemmeno quando identifica un colpevole. Come ha fatto la commissione formata dai cardinali Herranz (83 anni), Tomko (88) e De Giorgi (82) a puntare il dito, nel giro di pochi giorni di indagini, contro il maggiordomo Paolo Gabriele? Può essere che i tre arzilli porporati abbiano preso lezioni dall’infallibile padre Brown, il prete detective uscito dalla fantasia di Chesterton, ma può essere anche che si sia voluto trovare un colpevole in tempi rapidi e senza dover pagare un prezzo troppo alto in termini di immagine. Come se ci fosse ancora un’immagine da difendere.




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