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BCE, la macchina del dolore. Ma speriamo in Fantozzi.
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«Da questo momento, le depressioni saranno create scientificamente»: così parlò il rappresentante Charles A. Lindbergh Sr. (il padre del trasvolatore atlantico) (1) quando il Congresso ebbe approvato, nel 1913, la legge che fondava la Federal Reserve, la Banca Centrale dei banchieri privati.

Il sospetto che la Banca Centrale Europea e gli eurocrati usino «scientificamente» la depressione, l’austerità, la torchia e l’ondata di disoccupazione che ne nasce come strumento coercitivo – per obbligare i popoli ad accettare una «unione federale e di bilancio» eurocratica, e la perdita totale e definitiva di sovranità – sta finalmente albeggiando: in America.

Il sito Bubbles and Busts, ispirato a (o da) Paul Krugman, il neo-keynesiano, nel commentare le note frasi di Draghi («La BCE farà tutto quel che serve per salvare l’euro»), annota: la Banca Centrale Europea «sembra credere che, oltre alla stabilità dei prezzi, ha un altro mandato: quello di imporre riforme strutturali. A questo scopo, un dolore ciclico può far parte del suo programma» (ECB's Means).

Abbagliante per chiarezza, dalla terra che fu del senatore Lindbergh: la BCE non ha il mandato per imporre riforme strutturali. Queste sono il compito dei governi politici. La BCE, dunque, usurpa la funzione politica. E lo fa imponendo «dolore»: ci darà un decennio perduto con altissima disoccupazione, come «mezzo» che giustifica il fine, lo smantellamento delle «rigidità» salariali, lavorative, sociali e previdenziali.

Un altro sito americano, The Slack Wire, giunge alla stessa conclusione con le stesse parole (Krugman anche qui?): «Il dolore è il metodo nella follia della BCE». Ossia: la Banca Centrale Europea approfitta della crisi per imporre ai popoli decisioni che essi non vogliono, il «più Europa», governata dalla burocrazia e dai banchieri (Pain Is the Agenda: The Method in the ECB's Madness).

Robert Mundell
  Robert Mundell
A questo si può aggiungere un articolo anglosassone: il giornalista politicamente scorretto Greg Palast, sul Guardian, in un sarcastico ritratto dell’economista (che ha conosciuto personalmente) Robert Mundell, americano-canadese che è stato il vero padre teorico dell’euro, con la sua teoria della «zona monetaria ottimale», ricorda che per lui, l’introduzione dell’euro «era l’arma che avrebbe spazzato via le regolamentazioni del lavoro e le regole statali in Europa». Genio malefico dell’euro, anche Mundell lo considerava una macchina del dolore per imporre ai politici la disciplina di bilancio (Robert Mundell, evil genius of the euro).

Per i lettori di questo sito non è una novità. Abbiamo più volte rievocato come Tomaso Padoa Schioppa fosse altamente lodato da Jacques Delors per aver freddamente calcolato che l’euro avrebbe provocato gravissime «crisi sistemiche» e divergenze tragiche fra i Paesi che l’adottavano (come accade effettivamente fra Germania in attivo e Italia-Spagne in deficit), rallegrandosi perchè ciò avrebbe costretto i politici, disperati, a implorare gli eurocrati di prendere il timone dei loro Stati. Un progetto deliberato di creare il caos in una zona monetaria che ben sapeva men che ottimale, avvolto nella tipica lingua di legno della nomenklatura europoide: «Efficienza, Stabilità, Equità» (e chi oserà essere contro tanto benefico enunciato?). La stessa lingua di Mario Monti.

La stessa lingua che usa l’ex premier belga Guy Verhofstadt – indicato sottovoce come prossimo presidente della Commissione Europea divenuta ‘governo federale’ – quando fa appello a «una unione di bilancio e federale» degli Stati europei – la cui assenza sarebbe la causa della crisi – promettendo in cambio «una unione fiscale basata sulla solidarietà e sulla mutualizzazione dei debiti». Insomma: rinunciate alla sovranità, voi mediterranei, e vedrete che la Germania accetterà gli eurobond, si accollerà il vostro debito...

 Guy Verhofstadt
   Guy Verhofstadt
Guy Verhofstadt è ovviamente in odore di massoneria. Ha fondato, insieme a Daniel Cohn Bendit (il mondialista pederastico), un «Gruppo Spinelli» per il rilancio dell’integrazione europea di cui, guarda il caso, fanno parte Delors, Mario Monti, il sinistro tedesco Joschka Fischer... Del resto, il piano di fare dell’Europa una federazione governata da tecnocrati e dalle lobby bancarie era fin dall’inizio il progetto di Jean Monnet, il fondatore dell’Unione, e dei suoi «congiurati» (parole sue).

Ma quanti sono coloro che oggi gridano o sussurrano suasivi che da questa crisi si esce solo con «più Europa» e non «meno Europa»? Quanti strillano che «l’euro è irreversibile» e che non si può, non si deve tornare alle monete nazionali, altrimenti ci attende l’inferno? Quanto promuovono una post-democrazia neoliberista mascherata da «stabilità e crescita»? Da «equità e solidarietà»?

Sono legione, anche in Italia. Anzitutto è da tener d’occhio Emma Bonino, grande manovratrice, cooptata in quegli ambienti altissimi per i suoi meriti eutanasico-abortisti ( «iniziazione» richiesta, in quei salotti felpati: occludere le fonti della vita) e promessa da quegli stessi ambienti ad altissimi destini non-elettivi, non escluso il futuro Quirinale (la Emma è membro direttivo del Council on Foreign Relations Europe, emanazione della omonima Fondazione americana, creata dai Rockefeller). Ma chi più europeista dello stato maggiore di Repubblica? Chi più pro-euro del vero capo del PD, che non è Bersani ma l’inquilino del Quirinale? Del resto sarebbe impossibile elencare tutti i nomi che giurano e spergiurano che occorre più Europa, che «o si fa uno Stato federale o si va alla catastrofe», perchè «non si può tornare indietro». C’è di tutto: destra e sinistra, Oscar Giannino (è il motivo per cui non lo voterò) e Rosi Bindi e Bersani; Berlusconi pare si sia recentemente pentito di aver detto che dall’euro si può uscire... e naturalmente Fini (in Tulliani), Casini, praticamente tutti i media e le TV e i loro commentatori «di prestigio». Tutti a spergiurare indefettibile fedeltà all’euro, a predicare il federalismo degli eurocrati a marce forzate come unica soluzione, perchè «c’è urgenza».

A fare specie non sono i Giannino, però; è la sinistra già comunista e «operaia» o «cattolica progressista», così massicciamente, totalitariamente dedita alla fedeltà all’euro, a Monti, a Draghi, a «più Europa» dominata dai banchieri e dai mercati, che significa smantellamento delle difese degli operai, disoccupazione alle stelle, distruzione del tessuto industriale italiano. E, alla fine, anche delle caste parassitarie di cui sono i referenti politici, e che vivono di denaro pubblico.

«Sosteniamo Monti, facciamo un sacrificio», dice Bersani; questo patetico individuo che qualche mese fa poteva vincere le elezioni, ma ha avuto una paura folle di governare nella tempesta, perchè non ha un programma alternativo (a parte le nozze dei culatta e transex) all’europeismo massonico dei banchieri. Che tristezza. Che vergogna.

Però però... qualcosa si muove a sinistra. Un gruppo di economisti di sinistra, capeggiati da Sergio Cesaratto, ha pubblicato un e-book (scaricabile gratis) intitolato «Oltre l’austerità».

Finalmente, il gruppo guidato da Cesaratto critica – da sinistra – la political correctness dei «governi ulivisti di centrosinistra, che dellunificazione monetaria europea hanno fatto la propria bandiera subordinando a essa gli obiettivi della piena occupazione e di una più equa distribuzione del reddito».

Il nostro libro, continua l’economista, si propone «di smentire le sciocchezze in nome delle quali si chiedono sacrifici, in particolare che spesa e debiti pubblici siano causa ultima della crisi, e di mostrare come questi sacrifici a nulla porteranno tranne che a un avvitamento verso il basso della crisi in una spirale di cui non si vede la fine».

Infine, questi economisti osano infrangere l’ultimo, supremo tabù dei Bersani, delle Bindi, delle «cosiddette» sinistre: la fedeltà dogmatica alla moneta unica.

«In questa unione monetaria non cè spazio per il nostro Paese, pena il suo rapido e drammatico degrado». Insomma, usciamo dall’euro.

Ho sentito questo Cesaratto, intervistato a tarda notte da una allarmatissima radio radicale (sta’ a vedere che questi comunisti sfuggono alla presa della Bonino-De Benedetti, alias «sinistra intelligente»...): ha difeso esplicitamente l’uscita dall’euro per il nostro Paese. Ci conviene, non è una tragedia, ha detto con buoni argomenti. Ed ha distrutto l’illusione che, al fondo delle atroci austerità, fatti i «compiti a casa», la Germania ci consentirà gli eurobonds, ossia contribuirà a pagarci il debito. E anche la federazione europea è un mito, ha detto: «Una vera federazione imporrebbe agli Stati come la Germania un enorme trasferimento di fondi agli Stati del Sud, come il Nord Italia fa verso il Meridione... qualcuno può credere che i tedeschi accetteranno?».

Insomma, Cesaratto ha messo il dito sulla mancanza decisiva, senza la quale l’Europa dei tecnocrati resta un sogno illuminista irrealizzabile: la mancanza di una comunità di destino(Intervista a Sergio Cesaratto sul suo libro «Oltre l'austerità»).

Non sono novità per i nostri lettori. Ma sono novità assolute, dirompenti, se dette ad orecchie di sinistra. Lo stesso Cesaratto ha detto di temere che «per la nostra gente» il discorso dell’uscita dall’euro sia inaccettabile. Ma no, magari ha aperto un discorso, che a sinistra era bloccato.

Questa sinistra, ricordiamolo, fu precettata per anni a vedere Eisenstein nei cineclub del Partito, fino a quando esplose il grido di Paolo Villaggio: «La Corazzata Potiomkin è una cagata pazzesca!» (2). Magari Cesaratto sarà il nuovo ragionier Fantozzi che libera i greggi sinistri, intimoriti dal pensare. Forse daranno la loro forza di gregge per fermare la macchina del dolore.

Flebilmente, speriamo.





1) Charles Lindbergh padre aggiunse: «Con questa legge si crea il più grosso oligopolio della Terra. Quando il presidente la firmerà, il governo invisibile del potere monetario sarà legalizzato». Da deputato, fu tenacemente avverso all’entrata degli Stati Uniti nella Grande Guerra, intervento in cui vedeva la mano del suddetto governo invisibile del denaro. Fu bollato come «radicale estremista»; non era ancora entrata nel lessico politico la mortale etichetta di antisemita . Suo figlio, il trasvolatore, fu fieramente contrario all’entrata degli USA nella Seconda Guerra Mondiale per interessi stranieri. Dopo il rapimento e la morte del figlio di 20 mesi, Lindbergh jr. si alienò sempre più dal sistema di vita americano, fino al punto da auto-esiliarsi in Europa (1936-1939). Qui, in Francia, collaborò agli apparecchi del medico francese Alexis Carrell, premio Nobel 1912, ai primi progetti di cuore artificiale. Ammiratore del Terzo Reich, lo visitò più volte, provandone gli aerei. Ricevette da Goering l’Ordine dell’Aquila Germanica (pochi mesi prima, ne era stato insignito l’industriale Henry Ford). Avvertì che l’America, «con la sua crociata per distruggere Hitler, non si rende conto che la distruzione di Hitler aprirebbe l’Europa allo stupro, al saccheggio e alla barbarie della Russia sovietica, ferendo mortalmente la civiltà occidentale». La nota lobby, che si rendeva conto benissimo, lo bollò come antisemita. Quando la guerra scoppiò, tuttavia, Lindbergh scelse di combattere per la sua patria, facendosi affidare missioni belliche nel Pacifico; non contro i tedeschi ma contro i giapponesi. Anche il grande medico Alexis Carrell (che recuperò la fede cattolica assistendo ad una guarigione inspiegabile a Lourdes) simpatizzò con il regime nazista, con cui collaborò durante il governo di Vichy. La morte nel 1944 gli evitò la purga e la messa sotto processo da parte dei liberatori.
2) Sarà dunque un destino se, in Italia, sono i comici a dire verità politica dirompenti?

 

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