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Teheran da una mano a Obama. Se Israele permette
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L’estate promuove la disattenzione, e fa strani scherzi. Di punto in bianco, lunedì 26 luglio, il regime di Teheran, con una lettera al nuovo capo della AIEA Yukiya Amano, dichiara: «Siamo pronti e riprendere i negoziati sul problema nucleare... senza pre-condizioni». Così, di colpo, rimette in gioco l’accordo già raggiunto a maggio con Turchia e Brasile, un successo che i noti ambienti a Washington ed Israele erano riusciti apparentemente a seppellire.

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Immediatamente, Mosca saluta «lapertura al dialogo dellIran» e cita esplicitamente «laccordo con Turchia e Brasile del 17 maggio» sulla cui base si può negoziare, anzi auspica che Turchia e Brasile entrino a far parte del Gruppo di Vienna (USA, Gran Bretagna, Cina, Francia, Germania) incaricato della questione del nucleare iraniano sotto egida ONU: il che certo non fa piacere ai noti ambienti, per i quali Ankara e Brasilia sono ormai entità nemiche. (Echange d'uranium: Moscou salue l'ouverture de l'Iran au dialogue)

Yukiya Amano
   Yukiya Amano
Ma la cosa più stupefacente è che il governo americano non lascia cadere la proposta. Philip Crowley, portavoce del Dipartimento di Stato, dichiara: «Naturalmente siamo pronti a proseguire con lIran su specifici punti della nostra proposta sul reattore di ricerca di Teheran... così come il più ampio tema di capire la natura del programma nucleare iraniano. Speriamo di avere nelle prossime settimane lo stesso tipo di incontri che avemmo lo scorso ottobre».

L’ottobre 2009 aveva visto le aperture di Obama a colloqui diretti con Teheran, e l’accettazione del regime iraniano di discutere «in via di principio» con gli USA – inizi di dialogo prontamente liquidati da un mega-attentato terroristico in Iran del gruppo separatista baluchi «Jundullah», che l’Iran ritiene (non a torto) pagato e attivato da Washington e dai noti ambienti.

L’allusione alla «proposta iniziale» americana fatta da Crowley si riferisce a questo: Teheran consegni il suo uranio a basso arricchimento, ed avrà in cambio uranio più arricchito per il suo reattore scientifico.

E’ esattamente quello che Teheran propone nella sua lettera del 26 luglio alla AIEA: lo scambio dei suoi 1.200 chili di uranio arricchito al 3% (l’80% del suo materiale nucleare) in cambio di 120 chili di uranio al 20%. Si tratta di mettere a punto i particolari.

Ma l’atteggiamento conciliativo del regime iraniano è dato per certo dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu che – anche lui di punto in bianco – dichiara: Teheran ha assicurato ad Ankara che, «se ottiene il necessario combustibile per le sue attività di ricerca, smetterà di arricchire in proprio uranio al 20%».

Catherine Ashton
   Catherine Ashton
Risulta poi che a questa dichiarazione di sorpresa ha dato una mano la baronessa Catherine Ashton, la superministra degli Esteri della UE, che il 20 luglio, andata a Kabul per la conferenza internazionale sull’Afghanistan, ha avuto colloqui dietro le quinte con il ministro degli Esteri iraniano Manoucher Mottaki, anch’egli alla conferenza. Si è confabulato di prospettive per un negoziato diretto USA-Iran. La confabulazione dev’essere sfuggita ai noti ambienti, forse perchè parecchi ministri degli Esteri europei stavano dimostrando tutta la loro subalternità ad Israele, varando ciascuno per suo conto sanzioni contro l’Iran, molto più dure di quelle decretate dal Consiglio di Sicurezza: fatto che aveva suscitato le vibrate proteste di Mosca («Queste sanzioni unilaterali sono inammissibili, e mostrano disprezzo per le risoluzioni ONU»). Ma a Kabul, la baronessa deve aver tenuto un altro genere di discorso. Perchè sei giorni dopo i suoi colloqui di corridoio, Teheran ha scritto la lettera di cui abbiamo detto alla AIEA.

Naturalmente la Ashton e gli americani vogliono limitare gli eventuali negoziati USA-Iran strettamente alla questione del nucleare. Mentre Teheran aspirerebbe ad avere garanzie generali sulla sua sicurezza: dopotutto, non ha alleati ed è circondata di tre Paesi atomici (Russia, Cina, Pakistan) e minacciata dal quarto (Israele); ed ha due guerre ai suoi confini, Iraq ed Afghanistan.

Manoucher Mottaki
   Manoucher Mottaki
Probabilmente, più che le sanzioni, sono proprio le condizioni militarmente pessime degli USA in Afghanistan ad aver indotto il regime iraniano a questa apertura: Teheran sciita teme una vittoria totale del talebani sunniti, che vede per di più come una longa manus dell’Arabia Saudita e del Pakistan nella regione. In più, ha influenza sulle minoranze sciite di Afghanistan (l’etnia Hazara e una parte dei tagiki, di cui quelli che sono sciiti si chiamano non a caso «farsi», persiani), che sono i nemici più certi dei Talebani.

Fra queste minoranze, la politica di riconciliazione con i «talebani moderati» a cui offre di partecipare al governo, hanno giù suscitato reazioni: temono un nuovo regime tutto-Pashtun (la maggioranza etnica). Teheran può creare difficoltà agendo su queste, oppure aiutare gli USA a rabbonirle.

Insomma, come nota l’ex ambasciatore indiano Bhadrakumar, Washington avrebbe un interesse oggettivo a collaborare con Teheran: i due «hanno il comune interesse a sviluppare una exit strategy» non conflittuale nella delicatissima zona del mondo. (A Persian message for Obama)

Non solo. Con questa apertura, il regime iraniano sta offrendo ad Obama un piccolo aiuto in vista delle elezioni di medio termine, che buttano male per il Partito Democratico. I parlamentari del suo partito, terrorizzati di perdere l’appoggio della lobby, inondano il presidente di mozioni, lettere aperte e raccomandazioni che lo incitano alla guerra con l’Iran: ultima il varo della Risoluzione 1.553 della camera dei rappresentanti, che impegna il governo USA ad appoggiare militarmente Israele contro «la minaccia dellIran» ed esprime «sostegno al diritto di Israele di usare tutti i mezzi necessari per eliminare le minacce nucleari poste dallIran, compreso luso della forza militare (l’istruttiva lettura della Risoluzione è qui); ciò che ha costretto la Casa Bianca a rafforzare la flotta da guerra nel Golfo Persico, e ad indurire le sanzioni, con l’aggiunta di perquisizioni in alto mare di navi mercantili iraniane – avvicinando il casus belli che Israele ardentemente desidera.

Resta da vedere se Obama sia ormai in grado di afferrare la mano tesagli da Teheran, e acquietare la tensione; e se Israele metterà a segno uno dei suoi fatti compiuti per far naufragare anche questa apertura.

Si capisce in questo quadro l’ansia con cui Israele attende la denuncia del tribunale speciale per il Libano, che accuserà Hezbollah dell’attentato Hariri, e che Israele stessa ha annunciato sarà un’occasione per un attacco in Libano – con probabile fulminea estensione del conflitto alle installazioni nucleari iraniane, col sostegno obbligato degli USA. (Should Israel Bomb Iran?)

Aspettiamoci intanto una più intensa propaganda sul motivo di «Ahmadinejad nuovo Hitler» e «Iran è il Male Assoluto». In Italia, il merito del primo colpo di grancassa va ad Emma Bonino, che nel suo sito ufficiale proclama: «Vorrei andare a cena con Ahmadinejad per guardarlo negli occhi e capire come fa ad essere così diacolico». (Vorrei andare a cena con Ahmadinejad)

Maurizio Blondet


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