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Hollande contro l’ISIS, American Way. Cioè falsa?
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François Hollande ha inviato la portaerei Charles De Gaulle – gioiello della Marina, unica portaerei francese – a combattere l’ISIS (o Daesh) in Siria. Dove? Nel Golfo Persico, ossia più vicina all’Iran e allo Yemen (caduta in mano agli sciiti) che al bersaglio dei suoi caccia-bombardieri, la zona della Siria e dell’Iraq del Nord sotto occupazione dei «terroristi islamici». Infatti scrive Libération (dei Rotschild), i 22 caccia-bombardieri a bordo «dovrebbero raggiungere i loro obiettivi in un’ora e mezzo di volo», dopo aver attraversato l’intero spazio aereo iracheno. Un puro spreco di carburante e una seria riduzione del tempo a disposizione per l’attacco, visto che poi gli aerei devono tornare indietro , un’altra ora e mezza di volo.

La domanda ingenua è: non sarebbe stato più razionale piazzare il gioiello bellico davanti alle coste della Siria nel Mediterraneo? Si tenga presente il costo ragguardevole, per il contribuente, di una spedizione così lontana: la portaerei è accompagnata da un sommergibile nucleare, da una fregata anti-aerea, dalla regolamentare petroliera, nell’insieme sono imbarcati 2700 fra marinai e piloti.



Forse un chiarimento viene dalla seguente frase di Libération-Rotschild: «la portaerei si trova «nel Golfo a fianco della portaerei USS Carl Vinson, nel quadro della coalizione internazionale diretta dagli Stati Uniti». Il che potrebbe essere tradotto ipoteticamente così: dopo la strage di Charles Hebdo e lo smascheramento degli agenti francesi inseriti nell’ISIS, una tragedia in cui si poteva intravvedere uno scontro tra i servizi di Parigi e quelli israeliani, la Francia cessa di far la guerra a Daesh a modo suo, e la fa come vogliono gli americani.

Bombardamenti moderati

E come la fanno gli americani? Con bombardamenti «notevolmente moderati», ha valutato non un complottista marginale, ma l’americano Max Boot, ricercatore per la sicurezza nazionale al Council on Foreign Relations, la storica fondazione dei Rockefeller (Newsweek, 17 febbraio 2015). Sedicimila (diconsi 16 mila) attacchi aerei fra l’agosto del 2014 e il gennaio 2015, presuntivamente contro i battaglioni dei nerovestiti terroristi del Califfo, non solo da aerei USA ma da quelli degli altri 18 membri della coalizione, hanno condotto sul terreno ad un risultato dichiarato, dagli stessi media americani, «soft».

Michel Chossudovsky (Globaresearch) richiama l’attenzione sulla foto qui sotto, che (secondo il Site?) riprenderebbe i jihadisti mentre, nel giugno 2014, entrano trionfalmente in Iraq provenendo dalla Siria, sui loro Toyota nuovi di zecca.



L’hanno fatto attraversando 200 chilometri di deserto, in una come si vede limpidissima giornata... un attacco aereo in quel momento avrebbe incenerito tutti i takfiri. Ma in quei giorni, alla richiesta del Governo iracheno (sciita) che implorava l’intervento, Washington rispondeva che non sapeva dove colpire, non aveva i dati. I satelliti-spia che possono riprendere anche il numero di targa di quei Toyota, non dicevano niente. Obama si mostrava incerto, tanto da confessare pubblicamente: «Non abbiamo una strategia...». Facendo capire che USA ed Occidente erano deboli e perdenti contro la potentissima formazione DAESH.

Adesso i bombardamenti. Che non «degradano» poi tanto ISIS. Come mai?

«La popolazione della provincia di Al-Anbar ci riferisce che aerei americani e britannici lanciano quotidianamente delle armi a Daesh», sostiene Hakem Al-Zameli, che è il presidente della Commissione Difesa del parlamento iracheno. È lo stesso personaggio che ha denunciato che qualche giorno fa, due aerei britannici sono precipitati (non è chiaro se abbattuti dagli iracheni) nella zona di Al Anbar, ed avevano a bordo armi destinate ai terroristi: «La mia Commissione dispone di foto che mostrano le armi e le munizioni a bordo di questi aerei», assicura Al-Zameli; e aggiunge che il Governo iracheno ha chiesto «spiegazioni» a Londra. Sarà vero? La notizia è riportata dall’agenzia Fars, e la BBC non lo dice. Sicché, i media italiani, europei, occidentali possono ignorare lo strano fatto.

Eppure, sono numerose ed autorevoli le voci irachene che insistono su questa – certamente – teoria del complotto, l’assurda invenzione che gli USA e i suoi servi aiutano ISIS invece di bombardarlo. Lo scorso dicembre anche Majid al-Gharawi, un altro membro della Commissione Difesa irachena, parlò di un aereo USA che forniva i terroristi a terra di armi e munizioni nella provincia di Salahuddin. «La coalizione internazionale non è seria sui suoi attacchi aerei all’ISIS, anzi tenta di eliminare dal campo di battaglia le forze popolari (volontarie) contro i takfiri, cosicché il problema ISIS rimanga irrisolto nel prossimo futuro»; disse la signora Nahlah al-Hababi, un’altra deputata irachena. La signora illustrò che gli attacchi aerei occidentali sono precisi solo dive sono presenti le forze kurde Peshmerga, ma molto imprecisi nelle altre zone.

«Nelle zone che abbiamo liberato dall’ISIS nella zona di Al Bagdadi – precisamente nella zona est di Ramadi dove i terroristi erano asserragliati – abbiamo trovato armi Made in Usa, Made in Israel e in Europa», ha detto Khalaf Tarmouz, capo del consiglio provinciale di Al Anbar. Il già citato Al-Zameli ha denunciato in gennaio che aerei della (supposta) coalizione anti-terrorismo islamista avevano paracadutato rifornimenti alimentari e armi nelle provincie di Salahuddin, Al-Anbar e Diyala. Anche allora il personaggio spiegò che la Commissione parlamentare irachena aveva «prove fornite da testimoni oculari, da ufficiali dell’armata irachena e da forze popolari del fatto che gli Usa avevano lanciato ai terroristi armamenti avanzati, fra cui mezzi anti-carro». E di fronte alle proteste irachene, «gli USA avanzano la scusa di non conoscere esattamente le posizioni dell’ISIS».

Chossudovski aggiunge molte altre voci che ripetono questa teoria del complotto.

Jihadisti coi super-poteri


Cosa sappiamo noi, noi comuni mortali, dell’ISIS? Tutto ciò che ne sappiamo – le sue battaglie presuntivamente in corso, le sue fulminee avanzate, le sue decapitazioni, i suoi proclami – viene dai video siglati SITE, dai Media allarmistici, dai tg. Ossia da «una monumentale campagna pubblicitaria di cui i Media gratificano coscientemente Daesh», scrive Bernie Suarez, un ex militare americano con formazione in medicina e psicologia. «A credere all’industria mediatica, l’intelligence di Daesh è capace di superare tutti i servizi d’intelligence militare del mondo, di sfuggire a tutti i sistemi di sorveglianza internazionali, anche quelli illegali della NSA; capace non solo di battersi su più fronti in più paesi allo stesso tempo, ma di vincere perfino!». E sul web si rivelano «programnmatori sopraffini, super-hackers, imbattibili e irrintracciabili», perfetti nel produrre video d’alta qualità, o stampare riviste di lusso patinate e colori inglese; audacissimi nel richiamare su di sé bombardamenti aerei con le loro sanguinose vanterie e decapitazioni provocatorie (quale altro gruppo armato è contento di farsi bombardare?), da cui escono poi intatti, come i mostri dei videogiochi.

Che siano davvero parte di un videogioco, ne ha avuto il sospetto – ed è tutto dire – persino Fox News, la tv più neocon che esista al mondo, di Murdoch.

Proprio a proposito del video dove ISIS, comparso immantinente in Libia, decapita i 21 copti sulla spiaggia, Fox dice: «Diverse anomalie suggeriscono che almeno parte di esso è stato girato su schermo verde (green screen) e lo sfondo è stato aggiunto in seguito»… la tv neocon nota che tutti i nerovestiti sono molto più alti delle povere vittime in tuta-Guantanamo, che sembrano nani al confronto. Quanto? Semplici calcoli antropometrici consentono di appurare che la statura media dei jihadisti, nel video, supera i 2 metri e 10.



La campagna mediatica li dipinge così aitanti, trucidamente sexy e dotati di poteri sovrumani, che ormai in Inghilterra le ragazzine scappano di casa per andare in Siria a congiungersi carnalmente col loro tagliateste amato, con cui si sono fidanzate sul web: classico fenomeno di delirio rock-pop, che l’industria dell’infotainment sa così bene indurre a favore di cantanti e complessi musicali. Torme di adolescenti maschi, di lontana origine islamica, accorrono da Francia, Canada, USA, Australia per unirsi a questi combattenti indomabili, altissimi, dotati (come i mostri dei videogiochi) di super-poteri; di cui – secondo i nostri tg – nessun bombardamento riesce a distruggere le linee di rifornimento, nessuna autorità a bloccare i conti bancari e i flussi finanziari che li alimentano, ad identificare le loro comunicazioni (ci riesce solo la Katz). E nessun media vede che essi ricevono gran parte dei materiali attraverso la frontiera turca, e che il Governo turco sta apertamente sostenendo i jihadisti contro la Siria, e a questo scopo anche Washington ha spedito – in accordo con Erdogan – 400 istruttori militari e CIA ad addestrare i «terroristi moderati» anti-Assad.

Lo scopo della Grande Finzione in corso con sì vasto spiegamento di mezzi sarebbe, secondo Suarez, essenzialmente questo: davanti ad un Nemico così potente, gli americani possono rivendicare l’uso «illimitato» della loro «capacità militare», dove, quando e contro chi vogliono («Un impero tirannico non può sognare di meglio»). L’altro è che con lo spauracchio dell’ISIS l’Europa viene convinta a restare militarmente soggetta a Washington, quando magari vi si manifesta qualche tentazione di prendere le distanze dalla NATO.

A questo scopo, qualche attentato di massa, sul modello Charlie Hebdo, un false flag ferocissimo attribuibile ad ISIS, farà meraviglie. Temo che il fatto che l’Italia non sia lesta a rispondere agli appelli dell’ISIS-Libia e alle sue richieste di essere invaso proprio da noi («Siamo a 200 chilometri, adesso arriviamo a Roma, sventoliamo la bandiera nera sul Vaticano», ed altri messaggi «scoperti» chissà perché da Londra) ci candidi a qualche false flag del genere, dopodiché i nostri ministri obbediranno e ci manderanno alla guerra.

Hollande ha appreso la lezione. Perché è necessaria la portaerei unica, gioiello di Francia, nella «lotta al terrorismo» su comando americano? Per fingere di combattere l’ISIS, gli altri bastano ed avanzano.

Assad sta vincendo


Però. Se proviamo a guardare, con sforzo, dietro la cortina di finzione apertaci davanti dal Grande Illusionista hollywoodiano, ci pare di intravvedere un nucleo di verità: la vera ISIS, o come si chiama nella realtà, Al Nusra o come volete – insomma la torma di farabutti pagati a 300 dollari il mese per rovesciare Assad ed ampliare il Califfato sunnita in Iraq, sottraendolo agli sciiti – sta subendo importanti sconfitte sul campo.

Proprio l’esercito regolare siriano, affiancato da Hezbollah e sicuramente da specialisti iraniani (per non parlare di armi russe), ha scatenato una vasta offensiva tra il Golan e il confine giordano – il fronte Sud per Damasco – che sembra aver colto di sorpresa i terroristi, i loro mandanti, e disorganizzato i canali di rifornimento dei jihadisti che passavano attraverso il territorio giordano; la conquista di Al-Denaji da parte delle forze governative minaccia di ridare ai siriani il controllo delle alture del Golan occupate da Israele, e perlomeno rende impossibile agli israeliani di recuperare e curare i takfiri feriti.

La situazione è tale da aver indotto Erdogan ad infiltrare militari ed ufficiali turchi fra i suoi terroristi preferiti, quelli di Aleppo, investiti dall’offensiva siriana, per sostenerli e aiutarne la ritirata (la scusa è stata di recuperare le spoglie di Souleïman Shah, il nonno di Osman fondatore dell’impero ottomano , in una tomba che era in territorio siriano ma sotto sovranità turca): ciò con 572 uomini e uno dei militari turchi morto nell’operazione per «incidente».

È tale – soprattutto – da aver allarmato il MEMRI (Middle EaST Media Research Institute , un megafono della propaganda sionista diretto da Ygal Carmon, un ex colonnello israeliano) il quale già vede «Dal Mediterraneo al Golan l’Iran che sta creando un fronte attivo e diretto, con una presenza militare massiccia che può sorvegliare e tenere in scacco le forze israeliane», con l’incubo di «130 mila Basij iraniani formati al combattimento che attendono di entrare in Siria e piazzarsi sul Golan, minacciando direttamente Israele», come risulterebbe da dichiarazioni dell’estate scorsa di un capo dei Guardiani della rivoluzione iraniani, Hussein Hamedani, dichiarazioni immediatamente fatte sparire dai servizi iraniani.

Forse è un accesso di paranoia ebraica. Ma tanta paranoia va alleviata da noi occidentali, l’angoscia esistenziale ebraica va placata e tranquillizzata, Sion va rassicurata che noi noachici la difenderemo fino all’ultimo nostro animale parlante. La Charles De Gaulle serve a questo, a bombardare posizioni dei siriani vittoriosi facendo finta di sbagliare? O a minacciare da vicino l’Iran?

Difficile rispondere, non tutto è chiaro nella «guerra all’ISIS», tra finzione e realtà. Gli Stati Uniti continuano ad esempio a sostenere platealmente i Fratelli Musulmani egiziani – ne hanno ricevuto una delegazione a Washington il 18 febbraio – «il cui teorico, Saïd Qotb, è il riferimento intellettuale dei movimenti terroristi attuali» (Meyssan). Ciò ha suscitato la protesta ufficiale dell’uomo forte del Cairo, il generale Al Sisi, per il fatto che il governo americano riceveva dei terroristi; forse tale continuo favore USA è dovuto al fatto che la confraternita è un’organizzazione massonica, alla cui nascita sovrintese il britannico MI6? D’altra parte i sauditi, che odiano i Fratelli Musulmani, hanno regalato ad Al Sisi 24 caccia francesi Rafale più una fregata e sistemi missilistici, un regalo da 5,7 miliardi di dollari: contro la volontà americana oppure con il tacito beneplacito di Washington, che secondo Meyssan, vuole impegnare l’egiziano nella «guerra all’ISIS in Libia» onde distrarlo dall’ unirsi al suo alleato storico, la Siria? E Al Sisi bombarda sul serio lo (o un) ISIS in Libia?

E come mai il giornale libanese Daily Star dà per certa la prossima nascita di un emirato islamico nel Libano stesso? Al cui capo sarà messo un militante siriano dell’ISIS di nome Khalaf al-Zeyabi Halous, detto anche Musaab Halous, che si è illustrato nella conquista jihadista di Rakka nel 2013? Da chi ispirato il giornale preconizza che questo nuovo emiro sta organizzando attentati suicidi a Beirut, contro interessi sciiti, iraniani e cristiani? Siamo al punto che gli attentati vengono anticipati suoi quotidiani.

Ed è in questo quadro che Mosca ha deciso di vendere all’Iran – dopo indugi durati anni – sistemi missilistici Antey-2500 (antimissile e anti-aereo) , ancora più avanzati degli S-300 che la Russia non ha mai consegnato per le pressioni ricevute da israeliani e americani. Adesso sembra che tali pressioni non contino più, agli occhi di Mosca. È l’Iran che ora sembra meno interessato, nella speranza vacua di raggiungere un accordo con gli USA sul nucleare che dovrebbe porre fine alle sanzioni, e nel timore di irritare gli americani in questa fase.

Vedremo.



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