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Marsupiali, il bel mistero
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Una di queste sere m’è capitato di guardare in tv un programma sui marsupiali. Il titolo del programma, “Mutant Planet”, già indica il partito preso evoluzionista: dimostrare che la vita è continuamente mutante, o – come dice la versione inglese – «shows the magic of evolution and the forces of nature».

Naturalmente, tutto dei marsupiali – questa stranezza australiana – veniva spiegato in termini di antichissime “migrazioni”, e poi di “isolamento” e di “adattamento agli ambienti estremi” d’Australia, intendendo i deserti aridissimi. Contradditoriamente, si mostrava anche il gran numero di specie marsupiali viventi nelle foreste d’Australia, fra cui il popolare Koala è solo uno fra la enorme varietà di arboricoli e notturni.

Misteri e miracoli della creazione venivano “spiegati” in termini darwinisti rozzisssimi. Oppure taciute e nascoste: come la linea di Wallace. Ossia la linea al di quà della quale la fauna è asiatica, tigri ed elefanti, al di là della quale (ad Est) ci sono solo animali di tipo australiano (marsupiali), e uccelli dell’Oceania che non si trovano al di là. A scoprire questa linea – meglio – frontiera invisibile – fu il naturalista Alfred R. Wallace, contemporaneo di Darwin e molto meno citato di lui, che se ne accorse nei decenni che passò fra i tagliatori di teste dell’arcipelago indonesiano: tale arcipelago era diviso nettamente in due dalla “linea” oltre la quale si trovano, soli, i marsupiali.

Nel documentario televisivo si taceva che la linea di Wallace separa l’isola di Bali dall’isola di Lombok, divise da un canale di soli 35 chilometri. Come mai la fauna di Bali, asiatica, non è arrivata a colonizzare Lombok, dove esistono solo animali dell’Oceania?



Naturalmente, l’evoluzionismo (che sa tutto) spiega: «La linea di Wallace si sviluppa lungo un tratto di mare di profondità tale da non essersi mai disseccato, nemmeno quando, durante l’ultima glaciazione, il livello delle acque si abbassò di un centinaio di metri rispetto all’attuale, agendo da barriera permanente contro il mescolamento faunistico». La profondità dei mari come ostacolo: non so che pensare di questa spiegazione, che per lo più gli stessi zoologi smentiscono, per esempio quando «spiegano» che esseri umani sono giunti in Australia 300 mila anni fa (almeno), superando i 400 chilometri di mare profondissimo che dividono il nord-Australia dall’isola più vicina, Timor. Canoe e tronchi galleggianti non bastano a «spiegare» l’antichissimo popolamento. Che esistessero barche a vela 300 mila anni fa? Si tende ad escluderlo... Soprattutto, come spiegare che uomini di 300 mila anni fa abbiano indovinato l’esistenza di una terra che stava sotto la linea dell’orizzonte? Da Timor, la costa australiana non si vede, è nascosta dalla curvatura terrestre. Che tipo di navigatori ed avventurieri senza paura oppure audaci fino alla sventatezza ci vogliono per lanciarsi verso un simile ignoto, in mesi di navigazione – a remi, a pagaie? Guidati da sapienti?

Mistero, meraviglia.

Ciò che non spiega, non può spiegare e dunque l’evoluzionismo tace e censura, è il mistero. Per esempio questo: «Diverse specie di uccelli si rifiutano di passare lo stretto di mare», ossia i 35 chilometri fra Bali e Lombok (verdissima bellissima isola in cui atterrai). Gli uccelli «si rifiutano» di oltrepassare la linea di Wallace. Quale soglia li trattiene invisibilmente? Quale ignota avversione, o divieto superiore?

Non si sa. Non varrebbe la pena di dedicare studi approfonditi a questo mistero? Niente, non si fa. Si dà per scontato.

Wallace era a suo modo un evoluzionista ante litteram (era l’aria psichica del tempo); però aveva osato sfiorare il mistero. Probabilmente per questo è meno famoso del ricco e potente Darwin (al quale scrisse lettere umilissime, mostrandogli senza saperlo che aveva scoperto molte cose più di lui), e gli insegnanti nelle nostre scuole, ultimi trasmettitori del dogma evoluzionista, non insegnano ai bambini l’esistenza della «linea di Wallace».

La linea di Wallace, stupefacente mistero. Ad Est, la linea non comprende solo l’arida Australia; comprende la tropicale, calda ed umidissima Nuova Guinea, Celebes; comprende la temperata Tasmania, la Nuova Zelanda. Insomma, tutti i climi e tutti gli habitat sono disponibili al di là della linea di Wallace. Perché le belve asiatiche non sono andate a colonizzare la Nuova Guinea? Perché i mammiferi placentati che abitano Nuova Zelanda ed Australia sono stati importati dall’europeo, solo in tempi recenti?



A Timor Est, un appassionato missionario bergamasco, lì da quarant’anni, mi raccontò un giorno di come avesse tentato di trapiantare vegetali ed animali nostrani per nutrire i suoi fedeli timoresi, cronicamente malnutriti, molti ammalati di tbc. «I fagioli, non crescono. Patate, nemmeno a pensarci. Maiali? Ho provato. Morti tutti». Il maiale prospera a Bali, è la carne delle feste e dei banchetti... Il caro missionario non sapeva nulla della linea di Wallace. Ma Timor si trova ad Est della linea: forse è per quello che è selettivamente sterile a certe specie? Che le rifiuta?

Ciò che era evidente nel documentario scientista, mentre mostrava la prodigiosa quantità e varietà di marsupiali, bellissimi, stranissimi, era quel che il documentario cercava con ogni sforzo di ignorare: una cosa che io dico col «mio» linguaggio, che è anti-scientifico ovviamente, il linguaggio dell’uomo che si meraviglia della creazione.

La linea di Wallace è la linea in cui la Vita «ha voltato la pagina». È la sensazione fortissima che si ricavava dalla stessa bellezza del documentario: di là dalla linea, il Creatore ha voltato pagina e si è messo a popolare quella parte del mondo di marsupiali. Una vera e propria nuova zoologia, un intero atlante del vivente del tutto caratteristico: mammiferi sì, ma senza placenta, che sviluppano la loro prole ancora immatura nella tasca marsupia, dove il feto (perché è ancora un feto) già si attacca alle minuscole ma generose mammelle.

Perché la gente per lo più crede che i marsupiali siano i canguri. Ma i marsupiali sono invece un’intera creazione, un atlante tassonomico quasi totale, però alternativo: ci sono scoiattoli volanti marsupiali, semi-formichieri marsupiali, quasi-orsi marsupiali, pseudo-gatti marsupiali (quoll) marmotte e talpe marsupiali, ratti muschiati marsupiali, roditori e insettivori marsupiali, quasi-scimmie (lemuridi) marsupiali con pollici opponibili, diversi topi marsupiali; ci sono lupi marsupiali (o c’erano: l’ultimo si è estinto nel 1937, esistono filmati che mostrano questo essere, in tutto simile a un canide, fra il coyote e lo sciacallo, solo striato sul dorso come una tigre (e per alcuni caratteri ossei, analogo ai gatti). Hanno vissuto in Australia, e se ne trovano i fossili, simil-ippopotami marsupiali da 3 tonnellate (diprotodonti); e quasi-felini giganti: l’apparenza e la taglia di leopardi, avevano unghie retrattili come i nostri gatti: però, col marsupio. È esistita persino una replica della tigre dai denti a sciabola, marsupiale.

La somiglianza con le suddette varie e numerose specie della «nostra parte della creazione» è tale da lasciare a bocca aperta. Chi, o perché, una volta che la cieca «forza della natura» ha adottato in Australia il tipo marsupiale, ha dovuto farli così simili – anzi spesso uguali – alle specie che ci circondano in Europa, Africa ed Asia? Come non si può osservare il lupo marsupiale, che nel vecchio filmato si comporta proprio come uno dei nostri cani o lupi, e non farsi domande metafisiche?

Tanto più che nemmeno i più forsennati darwinisti osano proporre una reale parentela genetica, una discendenza (o ascendenza) dai lupi, dai formichieri, dalle marmotte e dai felini che conosciamo. La differenza a livello del DNA sconsiglia un simile azzardo. Veramente, il documentario che ho visto insinuava una «evoluzione» non meglio precisata da animali arcaici. Ma è una menzogna pronunciata a mezza bocca: persino Wikipedia dice che «i fossili non sostengono l’idea che i marsupiali siano una primitiva formazione dei placentati: entrambi i rami si sono evoluti contemporaneamente nel Mesozoico», ossia 250 milioni di anni orsono. Due linee genetiche distintissime.

In casi come questi, il darwinismo parla di «convergenza». Meglio «convergenza evolutiva», definita così: «Il fenomeno per cui specie diverse che vivono nello stesso tipo di ambiente, o in nicchie ecologiche simili, sulla spinta delle stesse pressioni ambientali, si evolvono sviluppando per selezione naturale determinate strutture o adattamenti che li portano ad assomigliarsi fortemente. Tali specie sono dette convergenti». Come si vede, questa definizione implica (disonestamente) un’«evoluzione per selezione naturale», che è precisamente ciò che deve esser dimostrato. Si insinua che animali simili convergenti si siano «evoluti»: da animali differenti, sembra di capire. E quali sarebbero?

Quel che si constata onestamente, è che sì, tutti i marsupiali sono in sé perfetti, e perfettamente adeguati alla loro nicchia ecologica – con la quale formano un tutt’uno, nell’olismo naturale. Ci è stato mostrato persino un impollinatore marsupiale (Tarsipes rostratus, detto anche opossum del miele): un incantevole microscopico topino dal muso puntuto che, come un colibrì, sugge il nettare dei fiori che crescono soltanto in Oceania, come la Dryandra quercifolia. Nulla lo unisce al canguro, e tutto apparentemente lo apparenta a qualche nostrano muride, o lemure. Invece no, è il contrario.



Piuttosto oscillante l’opinione se i marsupiali siano «più primitivi» dei mammiferi placentati. O meglio: «Mutant Planet» asseriva che il mantenere il feto imperfetto nel marsupio è cosa «primitiva», un essere «indietro nell’evoluzione». E tuttavia, mostrava dati di fatto che smentiscono questa asserzione. Per esempio: una mamma di canguro rosso allattava una sua figlia già grossa, che stava fuori dal marsupio (né avrebbe potuto rientrarci), ma vi ficcava il muso per succhiare dalle mammelle; e contemporaneamente, dentro il marsupio abitava un cangurino ancora molto immaturo. La mamma allattava entrambi, ci è stata spiegato, con due diversi capezzoli, ciascuno dei quali dà un tipo di latte più o meno proteico, secondo quanto è richiesto dal grado di sviluppo differente dei figlioli. È come se una mamma umana allattasse il suo figlio di un anno ed insieme un altro suo figlio nato prematuro, fornendo a ciascuno il latte adatto.

Ora: questo sarebbe un carattere «primitivo»? O non piuttosto molto più sofisticato di quello di noi placentati? Si aggiunga che le femmine di marsupiale hanno due vagine e due uteri, e i maschi il pene bifido. Dove posizioniamo questo carattere stranissimo sulla scala evolutiva? Avere due vagine e due uteri è essere «arretrate» o essere «progredite»? È + o -, nella «lotta per la vita», nella «competizione» dei mammiferi?

Forse non è né l’uno né l’altro; forse è la solenne sciocchezza dell’evoluzionismo, e mostra il suo carattere mitico e ideologico – molto anglosassone peraltro, con la loro smania di «competizione» e di punteggi (sono gli inventori degli sport non meno che del capitalismo e dell’aggressione passata come «superiorità» naturale).

Il grande Linneo, che era svedese, ha ordinato l’intero mondo vivente, animale e vegetale, mostrando come il vivente sia unito in un grande ordine – il Systema Naturae – senza però mai vedere nel gran regno alcuna «evoluzione», né provare a stabilire un punteggio fra «superiori» e inferiori: tutto il vivente è perfetto nel suo genere, ed occupa nel Systema il posto che gli è precisamente assegnato, ed in cui è necessario. Allo stesso modo, ciascuno degli esseri macroscopici è bello, è un elemento di una volontà d’espressione che è giocoforza definire d’artista.

Così, io continuo vedere la linea di Wallace come il cardine su cui Dio ha voltato pagina, e si è messo a scrivere in una lingua diversa, da quella di prima, per stupirci, e farsi ammirare da noi, i soli che possiamo vedere il Suo genio fantastico, e trarne la prova della Sua esistenza. La pagina, che noi chiamiamo Australia, è l’ultima del mondo, dopo non ce n’è più nel gran quaderno del pianeta Terra. Se ci fosse un’altra pagina ancora, un altro Continente, sono quasi certo che ci avrebbe dato un altro giro, un altro ordine.




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