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Khodorkovski Story
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Il senatore John McCain ha già avvertito: quello contro l’amato Khodorkovski non è un processo normale, ma “un colpo di Stato strisciante contro le forze della democrazia e del capitalismo, che scuote le fondamenta delle relazioni Russia-Usa”. Detto da un responsabile di un’ America che ha visto la Enron e l’11 settembre (colpo di Stato di tipo nuovo), non c’è male.
Ma forse è il caso di percorrere la storia di questo puro martire del liberismo.

Nato nel 1963, mentre frequentava l’università a Mosca  (laurea in chimica) Khodorkovski entrò nella Lega dei Giovani Comunisti, l’organizzazione giovanile del PCUS, assumendo l’incarico di vice-segretario del distretto Frunze: l’inizio di una bella carriera nel Partito. Il quale lo nominò capo del locale Centro tecnologico industriale. Ma erano ormai i tempi della perestroika, e Khodorkovski cominciò a fare i primi soldi da “comunista privatizzato”, rivendendo computer.

Sia vero o no, i soldi così guadagnati gli consentirono di fornire “servizi finanziari” ai primi imprenditori russi, alias ex funzionari del KGB e mafiosi, che stavano incamerando i beni e le imprese dell’URSS a prezzi stracciati. I servizi di Khodorkovski consistevano in questo: cambiava i rubli (che perdevano valore a ritmo accelerato) in dollari, che poi avviava all’estero in conti offshore.

Ovviamente queste belle operazioni potevano essere condotte solo grazie agli appoggi “religiosi” che il giovane comunista aveva all’estero: i Rotschild di Londra, a quanto si dice.Fatto è che Khodorkovski guadagnò tanto, ma tanto, da poter aprire una sua propria banca, la Menatep: la preferita dai “nuovi imprenditori”, ex spie e mafiosi russi.

Così, quando l’ormai alcolizzato Eltsin lanciò (su suggerimento di economisti liberisti, quali Jeffrey Sachs, ebreo della Chicago School) un piano di privatizzazione forzata -  “prestiti contro azioni” -  il piccolo comunista era pronto: a forza di aste truccate, fornendo “prestiti” che il regime non avrebbe mai restituito, si appropriò di “azioni” dei patrimoni pubblici russi, soprattutto minerari, a prezzi stracciati.

Ovviamente, anche queste operazioni richiesero speciali appoggi dall’estero. Mikhail infatti aprì società di comodo in paradisi fiscali che, oltre al segreto, garantivano l’immunità fiscale ed ogni sorta di protezione legale contro eventuali soci di minoranza che, per avventura, volessero scoprire dove finiva il denaro. I paradisi fiscali nel mondo sono una settantina, ma Khodorkovski ne preferì tre o quattro, tutti sotto controllo britannico (dei Rotschild): Gibilterra, l’isola di Man e Panama, nonché la Svizzera.

Un esempio. Nel 1994 Khodorkovski e “amici” comprarono il 20% della proprietà della Apatit, un’impresa mineraria di Stato russa che valeva 1,4 miliardi di dollari, per soli 225 mila dollari, più la promessa di investire nell’azienda altri 283 milioni. Quando la Apatit fu messa all’asta, oh miracolo, solo quattro società estere si qualificarono per partecipare: erano quattro società create da Khodorkovski nei già noti paradisi fiscali.

E quando una delle “società investitrici” vinse l’asta a prezzo di favore, si rifiutò di investire quei 283 milioni nella Apatit, benché si fosse impegnata a farlo; un’ingiunzione del tribunale russo – o mettere quei milioni di dollari, o restituire le azioni – restò lettera morta.

La società di comodo sfuggì ad ulteriori guai giudiziari “cedendo” le azioni della Apatit ad una banca. Quale? La Menatep del giovane comunista; la quale si affrettò a spargere il pacchetto della proprietà in varie altre società offshore, fuori dalla giurisdizione russa.

Intanto, i manager da lui nominati svendevano a prezzi stracciati i prodotti della Apatit alle società di comodo, le quali li rivendevano sui mercati mondiali a prezzi alti. In tal modo, la ditta pagava tasse e dividendi come se fosse in perdita: nulla o quasi. Secondo la procura russa, in tal modo Khodorkovski ha frodato alla Apatit  - che stava dissanguando - e ai soci di minoranza- qualcosa come 200 milioni di dollari, evadendo anche milioni (di dollari) in imposte.

Nel 1995, il trucco fu ripetuto con un’impresa molto più strategica: la Avisma, produttrice di titanio, messa in vendita al miglior offerente. Vinse l’asta una  società offshore che, guarda caso, apparteneva alla Banca Menatep. Ovviamente, la società-fantasma pagò un prezzo ridicolo, un’infima frazione del reale valore della Avisma. E anche qui, altre società ad hoc comprarono la preziosa produzione della ditta sotto i valori di mercato del titanio per poi rivenderli al più alto prezzo mondiale. Altra ruberia fiscale e dei soci di minoranza, e altro cespite russo dissanguato e svuotato (1).

Stesso procedimento per l’acquisto della petrolifera Yukos, “privatizzata” tramite asta. Khodorkovski – o meglio le sue solite società estere di comodo – pagò 309 milioni di dollari per il 78 % della ditta. Immediatamente dopo la Yukos, quotata nella Borsa russa, rivelò il suo vero valore: 6 miliardi di dollari. Un affaruccio niente male, per i Rotschild & C. Fu come comprare un vero Rolex di platino per un ventesimo del suo valore.

Al vertice della struttura proprietaria della Yukos c’era un “Gruppo Menatep”, la cui sede è una casella postale a Gibilterra; Khodorkovski in persona controllava il 28% del Gruppo Menatep; e questo controllava la Yukos Universal Limited, proprietaria del 61% della vera Yukos. Come al solito, la Yukos vendeva sottocosto il suo petrolio e derivati a società-fantasma (del giovane comunista) di Gibilterra, le quali poi lo rivendevano ai giusti prezzi sul mercato mondiale, evadendo tasse e negando profitti ai malcapitati azionisti di minoranza. Secondo un calcolo prudente, la ruberia ammonta a 1,7 miliardi di dollari.

Più tardi il Group Menatep aprì un lussuoso ufficio a Londra. Il suo “managing director” era un losco avvocato della City, Stephen Curtis, che stava già fornendo i suoi servizi a Boris Berezovski, altro oligarca, mafioso (e finanziatore di criminali ceceni) ed ebreo, riparato in Israele da quando è perseguito dalla giustizia russa. Risulta da intercettazioni che Curtis, in un incontro nel ’99 con alti fiduciari di Khodorkovski nel lussuoso ufficio londinese, spiegò lo schema della frode-fuga di capitali; il greggio Yukos veniva venduto attraverso varie “società commerciali” come la Behles in Svizzera, la South Petroleum in Liberia, e la Baltic Petroleum in Irlanda. Società con proprio management separato, ma stranamente vicine.

Per esempio la Behles svizzera condivideva con Menatep e Apatit la stessa sede, 46 rue du Rhone a Ginevra. Nel 2004 Stephen Curtis cominciò a sentire il terreno scottare sotto i piedi. Contattò il National Criminal Intelligence Service (NCIS), l’organo che sorveglia il crimine organizzato in Inghilterra: evidentemente voleva fornire informazioni utili a smascherare i delinquenti che gli davano il lavoro. Nel marzo 2004, mentre si recava in elicottero ad un appuntamento con un agente dell’MI6, il suo velivolo privato – un Agusta 109E nuovo di zecca – cadde, e lo uccise.

Nel frattempo le autorità russe avevano arrestato Khodorkovski per frode ed evasione; in seguito a ciò, le azioni Yukos crollarono, prosciugando gli ingenui investitori americani che ci avevano creduto, di 5,7 miliardi di dollari. Ma i profitti occulti della ditta – il grosso del bottino – restano chiusi in conti bancari segreti formalmente riconducibili alle solite società fantasma.

Nel 2004, su richiesta di Mosca, le autorità elvetiche hanno congelato 5 miliardi di dollari di conti appartenuti alla Behles.
Ma il grosso resta inaccessibile.Secondo l’accusa pubblica moscovita, la Yukos nasconde ancora nelle sue reti offshore 25 miliardi i dollari dovuti in tasse e frodi.

Il fatto è che la Yukos è stata, come la Enron, l’impresa più amata da Wall Street, da Blomberg e dal resto della stampa finanziaria USA fino a ieri.

La costellazione Menatep-Yukos godeva dei servigi delle quattro più grosse compagnie di audit americane, Ernst & Young, Deloitte & Touche, KPMG e Pricewaterhouse Cooper: sono queste ad aver dato una mano alla colossale evasione fiscale e saccheggio dei beni russi.

Debolmente, solo la Ernst & Young nel luglio 2002 obiettò sulla contabilità del gruppo Menatep. Ciò che non impedì alle colossali banche americane, Morgan Stanley e Credit Suisse First Boston (per tacere dell’elvetica UBS) di fare miliardi vendendo al pubblico le azioni taroccate di Khodorkovski. La APCO Worlwide, sussidiaria della massima agenzia pubblicitaria del pianeta, la Grey Advertising, si occupa delle pubbliche relazioni del Menatep e dell’ “immagine” di Khodorkovski.

Su consiglio della APCO, l’oligarca ha creato a Londra nel 2001 una “Open Russia Foundation”, una fondazione senza scopo di lucro modellata sulla Open Society di George Soros (lo speculatore ebreo che promuove la “democrazia” all’Est) – con lo scopo di “promuovere la democrazia in Russia”, ossia più chiaramente di  abbattere Putin.

Henry Kissinger è entrato, dietro profumato pagamento, nel consiglio della Fondazione. La fondazione sta spendendo parecchio per farsi amici potenti: ha pagato anche un inutile libro fotografico di Lord Snowdon, il fotografo ufficiale della famiglia reale britannica; e ha donato 100 mila dollari a un National Book Festival americano, che è presieduto da Laura Bush, moglie del presidente.

Dal marzo 2005 la APCO sta pagando pagine in difesa di Khodorkovski sul sito web del New York Times: pagine che non sembrano pubblicità ma articoli di fondo. Frattanto, per farsi nuovi amici potenti, Khodorkovski ha messo parecchio denaro nel gruppo Carlyle (di Bush padre), un fondo d’investimento chiuso – che investe soprattutto nel settore militare-industriale - - di cui ha fatto parte anche la famiglia Bin Laden.

Così, non stupisce che l’intera grande stampa USA e i più grossi pezzi dell’Amministrazione, Condoleezza Rice compresa, gridino come aquile per il martirio di Khodorkovski, e per gli insulti al “libero mercato” perpetrati da Putin. Ma contrariamente a quel che la stampa USA grida, Khodorkovski non è il solo “perseguitato”.

Con Putin, il governo russo ha perseguito per evasione e delitti finanziari altri “oligarchi” dell’era Eltsin: Berezovski (Aeroflot), Abramovitch (Sibneft), Gushinski (banca Most), Mickail Chernoy (Trans World Metals). Quasi tutti, anziché affrontare il processo, sono fuggiti: in Israele per lo più, Abramovitch a Londra, Gusinski in Spagna (Gibilterra).

Maurizio Blondet


(pubblicato per EFFEDIEFFE.com il 16 maggio 2005)



1)
Lucy Komisar, “Yukos kingpin on trial”,  Corpwatch, 10 maggio 2005.


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