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L’intelligenza in pericolo di morte
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Marcel de Corte, attraverso questo straordinario testo, fulmina la modernità svelandone i meccanismi distruttivi con il tratto proprio del genio che vede oltre la cortina di fumo elevata dall’“industria della lavorazione delle menti” e ne anticipa le dinamiche.

Sono qui toccati e distrutti tutti i capisaldi dell’odierna società, quei tabù tanto cari all’ideologia imperante, che de Corte mostra nella loro orrenda funzione di strumenti preparati a tavolino per consentire satanicamente la “colonizzazione dell’anima e l’industrializzazione della mente”. Una conquista che, come spiega de Corte, fu possibile solo ed esclusivamente attentando prima al sacro, “che rappresentava un ostacolo contro il quale si spezza questa volontà di potenza, per questo bisognava distruggerlo, erigendo al suo posto la scienza positiva, che arriva solo al sensibile ed al misurabile, e ‘declergificando’ il sacerdote, nell’abisso in cui ruzzola quando subordina la contemplazione all’azione”.

Democrazia, tecnica e scienza disumana, disinformazione e propaganda dei mass media (il capitolo centrale del libro – “L’informazione deformante” – è uno dei più esaustivi, puntuali ed attuali mai scritti in tal senso), Concilio Vaticano II (l’attentato al “sacro”) – che de Corte denuncia come l’abisso dell’intelligenza – sono gli argomenti affrontati dal pensatore belga in questo suo capolavoro, che fa del recupero di un sano realismo del pensiero e dei “duri imperativi della realtà” un grido di speranza per un mondo soggiogato da “un ristretto numero di dominatori” (a cui noi sappiamo ben dare un nome).

Qualche esempio tratto dal libro sarà sufficiente a renderne l’idea:

“La democrazia è essenzialmente privazione di quel bene che la condizione umana esige, e che è la vita in una società organica, nata dalle esigenze della natura perfezionate dall’intelligenza. È dunque il Male, è dunque la Morte. Sostituisce il non essere all’essere. Non esiste o, più esattamente, non esiste che nella misura in cui distrugge l’esistenza dell’uomo”.

“L’uomo moderno si nutre di parole senza verificare se corrispondono alle realtà che significano. Evoluzione è una delle più efficaci. La sua influenza è in ragione diretta del suo carattere verbale, della sua vacuità sostanziale. Corrisponde ai bisogni di cambiamento, allo stato d’insoddisfazione continua dell’Io nei rapporti con se stesso. È proprio dell’idolo essere deludente. L’Io seduce ma illude di continuo. L’Io si lascia quindi trasportare da un movimento senza soste, in un’aspirazione infinita verso la sua immagine sempre mutevole. L’evoluzione n’è la giustificazione euforica che sottrae l’Io al suo fondamentale malessere, all’angoscia che prova davanti al suo vuoto interiore”.

“Quel che si deve fare è legare gli uomini fra loro, imprimendo nella loro immaginazione una stessa rappresentazione degli avvenimenti. Tutta l’arte di governare si riduce in fin dei conti a questo, ovvero a cogliere l’avvenimento che permetterà al Governo di ingannare l’opinione pubblica in suo favore. In tal modo ottiene l’adesione che gli è necessaria e senza la quale crollerebbe. Il prezzo da pagarsi è la deformazione permanente dell’informazione, la menzogna che si insinua nell’avvenimento e lo traveste. Quest’opera di volgarizzazione per mezzo dell’immagine segue evidentemente la linea di minima resistenza. Raggiunge quanto v’è di più plasmabile nell’uomo: la sua soggettività. Nulla infatti è più molle dell’io; è una materia amorfa che può prendere qualsiasi forma”.

“Mai l’illusione di ‘vivere’ in compagnia coi potenti del giorno, con le vedettes, le stelle, i campioni celebri, i re, le regine, i chierici di ogni religione e dell’ateismo, coi ‘mostri sacri’, i prìncipi di questo mondo e di partecipare alla politica universale, dall’O.N.U. e dal Concilio sino alla guerra arabo-israeliana, le sommosse, le conflagrazioni e deflagrazioni dappertutto, eccetera, è stata più endemica. Ci raggiunge, per riprendere l’espressione di Sainte-Beuve, in fondo alla nostra poltrona psicologica e nella nostra poltrona, semplicemente”.

“L’analfabetismo, l’incoltura e l’ignoranza (nel senso moderno dei termini) erano un tempo serbatoi di intelligenza vergine, non contaminata dall’illusione di sapere, ordinata per la salvaguardia della vita ai duri imperativi della realtà. L’irruzione della radio e della televisione in questo mondo di ‘civiltà tradizionali’, ne ha decimato i beneficiari più rapidamente del vaiolo, della tubercolosi e dell’alcoolismo. La diffusione dell’istruzione ha ovunque accelerato il processo di decomposizione dei valori eterni”.


[Con questo passaggio, dal coraggio svincolato da ogni “rispetto” per il politicamente corretto – caratteristica propria esclusivamente del genio – de Corte coglie un punto fondamentale, ricordato anche recentemente da Blondet; purtroppo, tocca pur dirlo, il fascismo non è del tutto esente da responsabilità in tal senso, con l’idea che aveva d’illimitato progresso e di proiezione in un futuro sempre più veloce, dinamico e tecnologico, attraverso l’alfabetizzazione e la socializzazione di massa “senza tante Ave Maria” (Mussolini), che hanno concorso, seppur in piccola parte, al progressivo sradicamento sopra denunciato].

“Il poeta e l’artista hanno voluto essere creatori, come Dio, e le loro opere sono dileguate nel nulla. Loro si sono riuniti ai tecnici e ai tecnocrati nel culto esclusivo dell’artificiale e della fantasia nella mistica e nella mistificazione del FARE sostituita a tutte le altre attività della mente”.

“Il pastorale non aveva scelta. Bisognava e bisogna che esso diventi a sua volta attività «poetica» dello spirito, fabbricatrice di un mondo nuovo, di una società nuova, di un uomo nuovo! Il «pastorale» di sua natura diventa sempre rivoluzionario, sovversivo, e, nella misura in cui promette forme immaginarie, mistificatore. Esso è diventato l’alibi e la maschera della volontà di potenza progressista e di una teocrazia che non osa dire il proprio nome, dissimulando la peggiore fra le teocrazie. Questo straordinario fenomeno di distruzione della Chiesa dall’interno e della civilizzazione da parte di coloro che in altri tempi la salvarono dal disastro, si svolge sotto i nostri occhi ed è vano cercare di attenuarne la solare realtà. La Chiesa, almeno quella di vertice, monopolizza l’informazione e folleggia nel guazzabuglio dell’aggiornamento, manifestando vergogna, indifferenza o disprezzo per il valore di verità dei concetti intellettuali e delle formule con cui essi li esprimono: rompendo il cordone ombelicale bimillenario che La univa alla filosofia aristotelica del senso comune, è entrata, al di fuori dei veli esterni, nella finzione”.


Come vedete, si tratta di un formidabile testo di disinganno dai mali moderni. Un antidoto al veleno che oggi, quasi inesorabilmente per la nostra intelligenza e la nostra stessa anima, ci viene pompato dai venditori d’informazione, di conoscenze, di nuova educazione.

Non potevamo pertanto esimerci dal ripresentarlo al pubblico dopo l’edizione degli anni ’70, tale è la sua portata e la sua attualità. Lo ripresentiamo con ogni diritto nella nostra linea dei “Classici del pensiero cattolico”, come sempre e puntualmente facendolo introdurre dal nostro don Curzio Nitoglia, uno dei pochissimi sacerdoti che oggigiorno continuano ancora a tenere accesa la fiammella dell’intelligenza filosofica e teologica.

Siamo di fronte ad un testo che deve assolutamente essere presente nelle nostre librerie di casa, e confidiamo che il nostro lettore, attento e ben formato com’è, non mancherà di apprezzarlo e farlo suo.

Grazie per l’attenzione.

Lorenzo de Vita

14,40 euro

(264 pagine con bandelle, con introduzione di d.Curzio Nitoglia)





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