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E se i fratelli Kouachi fossero vivi...?
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«Tomba segreta e senza nome per i fratelli Kouachi», strombettava qualche giorno fa La Stampa di Torino, trombettina fra le più lige ai poteri forti. «La cerimonia, alla quale non avrebbero partecipati familiari di Cherif, è avvenuta sotto il controllo di un massiccio dispositivo di sicurezza e la tomba è stata lasciata anonima». Dunque né foto né immagini.

Sono morti, i fratelli terroristi islamici. Sono morti a Dammartin en Goele, il 9 gennaio; mancava poco alle 17 quando Hollande in persona ha dato l’ordine di attacco alle teste di cuoio, in simultanea con l’irruzione al mercato kasher di Parigi, «perché Coulibaly, che aveva gli ostaggi nel negozio, aveva annunciato che li avrebbe uccisi tutti se i corpi speciali aggredivano i fratelli Kouachi a Dammartin». Del resto, sono stati i due fratelli «forsennati, ad aprire il fuoco sui gendarmi». Che hanno dovuto rispondere.

Ma a noi spettatori del Grande Spettacolo di specchi, che cosa precisamente ha fatto vedere l’Illusionista? Sostanzialmente, questa immagine:



È una bomba accecante-assordante, che fa il suo effetto nell’imbrunire del crepuscolo invernale, anche se non è del genere che viene usato per uccidere, se mai per paralizzare. Notiamo una cosa: lì, a Dammartin, le forze dell’ordine non hanno lasciato avvicinare le telecamere più di così. Tenute a distanza nell’imbrunire, da quella tipografia a 50 chilometri di Parigi. Non molto da vedere.

Tutt’altro atteggiamento che alla Porte de Vincennes, dove Coulibaly teneva gli ostaggi al mercatino kasher: lì le telecamere hanno potuto arrivare a pochi metri dall’azione,



Ci hanno mostrato persino in diretta l’avventarsi di Coulibaly contro la vetrina, solo per crollare crivellato dei colpo dei poliziotti che non sono di corpi speciali, e quindi sparacchiano nel panico. Anche se Coulibaly sembra piuttosto spinto da dietro, e cade come uno che ha le mani legate, forse ammanettato.



Scena molto più thrilling, senza dubbio; una pacchia per le dirette tv. E si trattava di salvare degli ebrei, capite? Certamente tutti i sayanim, spie, quinte colonne e gli agenti del Mossad (Netanyahu l’ha detto, se volete sono qui per aiutarvi) erano lì, e così non erano là a vedere se davvero i francesi uccidevano i fratelli Kouachi.

Ora, i miei fedeli lettori sanno che il vostro cronista (come fa anche Thierry Meyssan) tende a leggere l’eccidio di Charlie Hebdo nel quadro di una serie di ritorsioni e vendette fra servizi, francesi, americani ed israeliani. In questo quadro, diventa ogni giorno più probabile che i fratelli Kouachi non siano stati ammazzati, ma salvati dai servizi francesi. E che il povero Coulibaly sia servito come diversivo – e insieme come geniale vendetta – per rendere possibile il salvataggio, e quindi sacrificato.

Oso dirlo.

Sono ipotesi campate in aria? Aspettate e leggete gli indizi che porto.

Legionari combattono con Daesh

Non lo sapevate? Vi sembra impossibile? Sicuramente i vostri veridici media ve l’hanno detto, ma vi siete dimenticati. È accaduto nel febbraio 2012: quando l’esercito regolare siriano riconquistò Homs e strappò ai jihadisti anti-Assad il quartiere di Baba Amr, dove avevano proclamato un Emirato, fra le macerie catturò 19 ufficiali francesi che inquadravano i guerriglieri fondamentalisti della cosiddetta «armata libera siriana». Membri della Legione Straniera.

«Ex-legionari», precisò l’ammiraglio Edouard Guillaud, capo di Stato Maggiore delle armate francesi: il fatto però che l’ammiraglio medesimo venisse a prendere in consegna quegli «ex» alla frontiera siro-libanese, accogliendoli con tutti gli onori, nonché il materiale di trasmissione NATO di cui disponevano, depone per militari in servizio. Fu Sarkozy, allora, a trattare con Assad la liberazione degli uomini. Sembra infatti che quei militari non fossero più direttamente agli ordini dellla Difesa, ma in missione per l’Eliseo. Missione presidenziale, sotto la responsabilità del generale Benoit Puga, che è infatti il capo di s.m. di Hollande.

E la cosa continua, visto che il Ministro attuale della Difesa, Jean-Yves Le Drian, ha confermato recenti informazioni di Radio France, secondo cui una decina di «ex-militari» francesi continuano a battersi insieme ai fondamentalisti musulmani in Siria. Nell’aprile 2014 degli «ex» militari francesi sono stati uccisi mentre, alla testa di gente «di Al Qaeda», assaltavano il villaggio cristiano di Sadniye. I cadaveri trovati dall’esercito di Assad portavano una bandiera francese tatuata sulla spalla. Jihadisti, ma patrioti.

Tutti questi ed altri particolari sono stati denunciati dall’Ambasciatore siriano all’ONU, Bachar Jafaari, nel luglio 2014, e non sono stati smentiti. È stato lo stesso Ambasciatore a spiegare le fasi del losco coinvolgimento francese. Meyssan riassume: «Nel gennaio 2014, Francia e Turchia hanno armato Al Qaeda per attaccare l’Emirato Islamico in Iraq e Levante (EEIL, Daesh). Si trattava allora di silurare il piano americano di creazione di un Kurdistan indipendente in Iraq e nel Nord della Siria. Ma a seguito di un accordo con gli USA, nel maggio 2014, la Francia cessava le ostilità contro lo EEIL. Nel giugno, questo diventa l’Emirato Islamico, proclama il califfato e compie pulizie etniche in una parte dell’Iraq. Con i combardamenti della coalizione anti-Daesh, Parigi e Washington hanno cura di respingere gli islamisti sulla linea loro assegnata (Piano Wright) senza infliggere loro perdite sostanziali».

Ma non è che Parigi e Washington vadano d’amore e d’accordo nel comune intento di liquidare Assad. Nel novembre scorso, un drone americano uccide in Siria un francese, David Drugeon, che la stampa USA, imbeccata dal Pentagono, dichiara da tempo essere un militare di Parigi infiltrato nelle file del jihadismo, l’uomo che capeggia il gruppo Khorasan di Al Qaeda. Dopo l’eccidio di Charlie Hebdo viene indicato dalle stesse fonti USA come «l’ufficiale che trattava i fratelli Kouachi e Mohammed Merah».

Merah è l’assassino solitario, giovane terrorista islamico, che fa strage in una scuola ebraica di Tolosa nel marzo 2012, per poi venir crivellato dalle teste di cuoio francesi perchè s’era asserragliato, voleva morire da martire, etc. etc. (la solita storia). A cadavere freddo, a Merah sono stati attribuiti anche l’assassinio di quattro parà francesi in divisa – ma di origine ed aspetto nordafricano – avvenuto pochi giorni prima sempre a Tolosa; omicidi compiuti da un uomo dal volto coperto dal casco di motociclista, dunque non identificabile, e sembravano chiaramente di matrice razzista: ma come mai Merah, faccia e origine algerina, dovesse avercela con soldati di faccia marocchina, è un mistero inspiegato. È la stessa persona che ha poi fatto irruzione nella scuola ebraica? O sono due persone diverse? Magari, di due «servizi» diversi?



E come mai gli americani dicono che i Kouachi e Merah avevano lo stesso ufficiale, il Drugeon che hanno ammazzato con il drone mentre si batteva in Siria fra i jihadisti?

Non aspettatevi una risposta. Stiamo ricostruendo un mosaico in cui ci mancano molte tessere.

Ma una tessera del mosaico c’è fornita da un titolo del popolare giornale belga Derniére Heure:

«E se Nemmouche non fosse l’assassino?».

E risuona un campanello.

Mehdi Nemmouche, 29 anni, francese di origine algerina, è il terrorista molto speciale (un vero professionista) che il 24 maggio 2014, ha ammazzato quattro persone nel museo ebraico di Bruxelles, fra cui i coniugi Riva, di cui si saprà che erano agenti del Mossad. Un uomo estremamente ben preparato, Nemmouche, come i massacratori di Charlie Hebdo: entra a passo elastico con una borsa da ginnastica, da cui estrae un kalashnikov; spara ed uccide persone; se ne esce tranquillo e deciso, con aitanza militare, a piedi; e fa sparire le sue tracce.



Anzi no. Il terrorista islamico a Bruxelles sale su un pulmann di lunga percorrenza diretto a Marsiglia, mille chilometri più a sud. Qui, alla stazione dei bus Saint Charles, «casualmente» i doganieri scoprono che il personaggio ha nella borsa le armi con cui ha compiuto il suo lavoro. Diciamo che il professionista si è consegnato ai francesi. Con tutte le sue armi, il kalashnikov, un revolver cal-38, una maschera antigas, 330 proiettili, ricambi per le armi, ed una telecamera GoPro che s’è applicato al petto per riprendere – ossia per comprovare – i propri omicidi. A chi doveva comprovarli? A suoi superiori. Francesi. Nemmouche si comporta non da terrorista islamico, ma da soldato.

Anche lui risulta reduce dai combattimenti siriani a fianco dei jihadisti (dello EEIL), poi tornato in Francia; ma ha viaggiato ampiamente in Libano, Gran Bretagna, Malaisia,Turchia, benché «sia noto alla polizia» e i servizi francesi DGSE «abbiamo un dossier a suo nome»: sembrano fatti con lo stampino, questi takfiri della République.

Il Belgio ne chiede l’estradizione. I suoi avvocati dapprima si oppongono, poi cambiano idea. Da luglio, l’uomo è in carcere a Bruges. Il suo avvocato racconta a Dernière Heure: «Non ha quasi parlato. La sola cosa che ammette è la propria identità (ancora un comportamento militare, ndr.). Per il resto, nega di essere l’assassino del museo ebraico. E la borsa con le armi? Dice di averla rubata da un’auto senza immaginarne il contenuto».

Pare una difesa deboluccia... se non fosse che le autorità belghe tendono a sottoscriverla. Di colpo, non sono più tanto sicure che sia lui. Nelle immagini di sorveglianza «non si riconosce formalmente Nemmouche», e poi «non c’è DNA né impronta digitale» (per forza, portava i guanti). Ma soprattutto, forse «aveva un complice a Bruxelles», con cui «passeggiava a viso scoperto in una arteria della capitale quattro giorni dopo il massacro». Sicché la polizia belga ritiene adesso che Nemmouche abbia fatto «solo da appoggio logistico» ad un terzo uomo. Insomma, quasi innocente.

Noi, che non abbiamo i buoni rapporti da mantenere col DGSE come devono fare i belgi, abbiamo la certezza seguente: il «terrorista islamico» Nemmouche ha compiuto un’azione punitiva, una ritorsione o una vendetta contro i servizi israeliani – secondo gli ordini ricevuti. Probabilmente, per conto delle forze armate francesi e del DGSE. Era la risposta agli omicidi di soldati francesi attribuiti falsamente a Merah? Era per un altro episodio dello scontro fra servizi che non conosciamo?

Ricordiamoci che secondo Meyssan, Francia e Turchia hanno armato ed addestrato «Al Qaeda» (precisamente, Al Nusra) per attaccare l’«Emirato Islamico in Iraq e Levante» (EEIL, Daesh), allo scopo di mandare a monte il piano americano di creazione di un Kurdistan indipendente in Iraq e nel Nord della Siria», un progetto ebraico-americano molto caldeggiato da Israele. In quei giorni, a noi spettatori del Grande Illusionista, giungevano strane notizie: Al Nusra combatteva contro DAESH, anche se entrambi erano sorte per rovesciare il siriano laico Assad; poi che quando quest’ultimo dichiara il Califfato, ci è stato detto che «Al Nusra dichiara obbedienza allo Stato Islamico»: probabilmente ciò avviene dopo l’assassinio mirato del «capo di Al Nusra-Khorasan», il francese (ma «convertito», parbleu) Drugeon, lascia la formazione dei terroristi preferiti da Parigi senza capo.

È intuibile che questa sottomissione di Al Nusra (Francia) al Califfo (USA, Israele), abbia lasciato strascichi velenosi, e voglia di ritorsione.

I fratelli Kouachi già morti una volta

Arriviamo alla strage di Charlie Hebdo, in piena Parigi. Professionisti freddi e addestrati che hannno tutta l’aria di kidonim (hanno ammazzato 17 persone consumando solo 32 proiettili: chirurghi della morte) sparano, e fuggono – freddi, calmi senza sgommare – con la Citroen nera filmata dall’israeliano Amichai Stein che, per caso, si trovava sul tetto in quel momento.

La Citroen viene lasciata trovare con la carta d’identità – ci hanno detto – di uno dei due fratelli Koauchi. Dilettantismo madornale in esecutori prima mostratisi freddi e precisi come cardiochirurghi, o una trovate dei kidonim per incastrare i Kouachi? I quali infatti, appena si fa il loro nome su media, perdono la testa, scappano, devono rapinare una pompa di benzina perché non hanno soldi, e non sanno nemmeno dove fuggire o rifugiarsi.

Che differenza coi primi «fraelli Kouachi» che hanno operato a Charlie Hebdo. Ma come: vi preparate per un atto clamoroso, di terrorismo, perfettamente equipaggiati di tuta nera d’ordinanza, giubbotto antiproiettile, porta-caricatori, mitragliatori d’assalto e passamontagna per non farvi riconoscere, e poi portate con voi la carta d’identità? E la dimenticate nell’auto della fuga? E non avete pensato a dove rifugiarvi dopo l’azione, sapendo che sarete inseguiti da tutti gli agenti di questo mondo? Imprevidenti e dilettanti dopo, come erano stati previdenti e professionali prima.

Sembrano due gruppi umani diversi.

  
A questo punto – 88 mila poliziotti incalzano i due – interviene Amid Coulibaly: il giovane d’origine senegalese prende il negozio Kosher a Porte de Vincennes, in piena Parigi, con ostaggi ebrei: il 9 gennaio, alle ore 15 circa. Il grosso dell’attenzione mediatica viene ovviamente concentrato su quel piccolo supermerato ebraico dove è in corso una tragedia nella tragedia. Si sa che Coulibaly è stato radicalizzato dalla sua compagna, fidanzata o moglie oppure seduttrice, Hayat Boumeddiene: nè è innamorato pazzo. Questa Boumedienne appare con lui in foto coperta da chador nero. In altre foto del suo curriculum, appare una belloccia in bikini abbrancata al suo negretto.

Le autorità francesi hanno fatto credere che la bella Hayatt fosse con Coulibaly nello Hypercasher, decisa a morire da martire con lui. Solo a cose fatte si è saputo che la seduttrice non aveva alcuna intenzione di restare incastrata nella tragedia. Se l’era filata da giorni: prima a Madrid il 2 gennaio, poi a Istanbul, e da lì (dicono) passata in Siria l’8, per unirsi ai guerriglieri. Ad Istanbul, non è stata arrestata «perché i servizi segreti francesi non avevano condiviso i dettagli della sua identità con i colleghi turchi». La fondamentalista islamica franco-algerina, scoprono i turchi, «ha soggiornato nel quartiere Kadikoy di Istanbul con un uomo chiamato Mehdi Sabry Belhoucine, un francese d’origine nordafricana. Hanno lasciato l'hotel solo due volte durante il loro soggiorno» . More uxorio. Già dimenticato il povero Coulibaly, tanto innamorato da morire per lei e l’Islam. Avevano infatti eseguito insieme, l’idea era stata di lei, dei sopralluoghi scuole e negozi ebraici, per decidere l’azione. .un classico agente provocatore.

Intanto le teste di cuoio francesi si occupano dei fratelli Koauachi, asserragliati nella tipografia di Dammartin en Goele. Con pochi testimoni, telecamere lontane, sull’imbrunire. Dicono che i Koauchi sono voluti morire, si sono lanciati allo scoperto sparando e urlando Allahu Akbar. Certo, come no. E non è nemmeno la prima volta che muoiono: secondo testimoni nell’armata libera siriana, sarebbero rimasti uccisi mentre erano in Siria, combattenti islamisti, durante un attacco sferrato dalla coalizione anti-Califfo. Quando? Nell’ottobre 2014. Naturalmente i fratelli Kouachi hanno poi compiuto la strage di Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015. O gente con le loro fattezze e la loro identità.

«Uccidere» i Kouachi e fornirli di nuova vita e nuove carte d’identità, magari dopo lieve plastica facciale (ma anche no), non è difficilissimo per la potente DGSE.

Questa informazione – la morte già avvenuta in ottobre – non è confermata. Potete quindi credere che i fratelli siano stati davvero uccisi dai corpi speciali quella sera. Ammettete però che non ce n’era alcun bisogno, non avevano ostaggi (un addetto della stamperia era nascosto al piano di sopra, ma loro non lo sapevano), li si sarebbe potuti prendere vivi e interrogare... ma no, non sia mai.

Aggiungiamo alcuni elementi che sono forse indizi, forse no.

Charlie Hebdo ha sede in rue Nicolas Appert n.6. Lì sono o sarebbero penetrati i fratelli Kouachi per la strage, verso le 11.30 del 7 gennaio.

Tre ore più tardi, i fratelli Kouachi fanno uno spuntino a 130 chilometri di distanza, al ristorante «Quick» di Laon. Indirizzo: 6, rue Nicolas Appert.



Ora, come fa notare un blogger, su 36700 comuni francesi, solo 73 hanno una strada dedicata a Nicolas Appert (l’inventore delle conserva in scatola): ossia lo 0,2%. È una stranissima, improbabilissima coincidenza? Forse. Ma può essere anche qualcosa di diverso. Somiglia ad una «casella postale» precostituita, dove – in emergenza – agenti dei servizi possono recarsi dover telefonare prima, per previa intesa, a riceve istruzioni o soccorso.

Rotschild: ho comprato Charlie Hebdo prima della strage

Questo è un titolo del giornale olandese Quote – un serio giornale economico – che ha intervistato il barone Philippe de Rotschild. La famiglia possiede già Liberation. «C’è stata discussione sull’acquisto di Charlie da parte di mio zio Edouard», spiega Philippe. «Alcuni membri della famiglia erano contrari, perché questo settimanale ci avrebbe dato un potere politico, e noi vogliamo evitare ad ogni costo questo. Noi non vogliamo assolutamente mischiarci di politica, almeno non in modo così appariscente...».

Alla fine, i Rotschild hanno deciso di fare una buona azione: Charlie Hebdo era ridotto al fallimento, vendeva sì e no 15 mila copie. Dopo la strage, il numero ha venduto 7 milioni di copie. I pecoroni se le sono contese, pagano persino il doppio per strapparsi una copia. La buona azione s’è trasformata in buon affare. Non per niente si è Rotschild.

Somiglia alla fortuna di quel Larry Silverstein, ebreo e palazzinaro in grande, che affittò le Twin Towers per 99 anni, pagando la prima rata, e poi arrivarono i terroristi arabi a distruggergli le sue Towers. Per fortuna Silverstein le aveva assicurate entrambe, separatamente, per impatto aereo... ha ricavato centinaia di milioni dalle assicurazioni.

È fiuto, cosa credete? Se sospettate un’informazione previa (dal Mossad?) su quel che avrebbe portato il settimanale a fama mondiale, dissociatevi fortemente dai vostri pensieri. Sono malsani, antisemiti, negazionisti dell’Olocausto.

Jean Marie Le Pen accusa la CIA, e ha la casa a fuoco


«L’esecuzione di Charlie Hebdo porta la firma di un’operazione dei servizi segreti. Ma non ne abbiamo le prove. Non penso che gli organizzatori di questo crimine siano le autorità francesi, ma queste hanno permesso che il crimine avesse luogo. Per il momento, è solo una supposizione»: così ha parlato Jean Marie Le Pen. Il vecchio fondatore e presidente del Front National e papà di Marine, intervistato il 16 gennaio dalla Komsomolskaya Pravda, cosa fa? Potrebbe unirsi al coro comune di indignazione contro l’Islam fanatico, che odia la nostra civiltà, che crea insicurezza nelle nostre città... dopotutto, il suo partito è cresciuto proprio sulla paura ed ostilità anti-immigrati. E invece, il vecchio soldato (ha combattuto in Indocina) se la prende coi servizi. Occidentali. Anzi, a mezza bocca, sembra accusare la CIA.

E subito dopo, ecco cosa gli succede: «Va a fuoco la casa di Jean Marie Le Pen....». È avvenuto il 7 gennaio: «L’86enne è stato sorpreso dalle fiamme nella sua abitazione di Rueil Malmaison, nelle banlieue parigine. Le fiamme erano altissime, non resta praticamente più nulla, i danni sono impressionanti», ha commentato ancora sotto shock il vecchio capo del FN . Dal partito fanno sapere che lo stato di salute del fondatore del Front National non suscita preoccupazioni e l’uomo verrà solo medicato per le ferite al volto, dopo essere «caduto mentre fuggiva alle fiamme». Era solo in casa, con un operaio che armeggiava nella canna fumaria. Da lì è scoppiato l’incendio.

Solo una coincidenza, sicuramente.



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