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Dall'Askatasuna all'Officina 99: le palestre di chi sfregia il Paese
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Piccola mappa inadeguata dei centri sociali italiani

È una galassia evanescente e in continuo movimento. Li chiamiamo «centri sociali» per identificarli, ma a volte sono gruppi coagulati soltanto dai social network su internet o dai tam-tam dei telefonini. Luoghi e non-luoghi spesso trasformati in palestre di arrampicate ideologiche, cattedre di cattivi maestri che catalizzano odio e rancore alimentati dal disagio sociale. Come testimonia l’ormai tristemente noto comunicato pubblicato sabato dal sito Indymedia che a Roma invitava a «combattere» e «portare con sé di tutto per prendere e tenere la piazza» perché «da parte nostra ci sarà e deve esserci l’intento conflittuale».

Occupano edifici pubblici abbandonati, e se vengono sgomberati ne occupano altri. Aggregano mille sigle dalle mille diverse sfaccettature: anarchici, autonomi, no-global, antagonisti, disobbedienti, tute bianche, incappucciati, insurrezionalisti, black bloc. Impossibile dire con precisione quanti siano questi centri né quanta gente li frequenti. Come rileva un libro recente che ricostruisce la presenza degli anarchici in Europa (Anarchy in the EU, Agenzia X), gli stessi sociologi «mappano» un centro sociale soltanto se resiste almeno tre mesi. È un magma sfuggente, e non può essere che così.

Secondo le stime del Viminale, sarebbero attorno ai 10mila i giovani «okkupanti». Frequentano assiduamente i circa 200 centri sociali autogestiti censiti dai servizi di informazione dell’Interno. Che in realtà sono assai più numerosi. Il sito Wikipedia ne elenca 51 nella sola Emilia Romagna: 23 a Bologna (spiccano la Fabbrika, il Riva Reno 122, il Teatro polivalente occupato, il Livello 57), 9 a Modena, 5 a Ravenna, 4 a Parma e Forlì-Cesena, due a Reggio Emilia e Rimini, uno soltanto a Ferrara e Piacenza.


(cliccare per ingrandire)

A Roma sono una trentina. Alcuni hanno una certa storia alle spalle: il Forte Prenestino a Centocelle, il laboratorio autogestito Acrobax project che combatte il «precariato metropolitano», il Corto circuito a Cinecittà, lo Strike di Portonaccio. Il lavoro di coordinamento è sulle spalle di due emittenti, la storica Radio Onda Rossa di via dei Volsci (che ieri si scagliava contro la «caccia alle streghe» e le «perquisizioni intimidatorie» condotte con «furia repressiva») e la più recente Radio Vostok: una navicella spaziale sovietica nel nome e una stella a cinque punte nel simbolo. Radio Action è invece l’organo di Action-Diritti in movimento, un collettivo che occupa le case sfitte, raccoglie precari e migranti, e ha mandato propri rappresentanti (Nunzio d’Erme e Andrea «Tarzan» Alzetta) in consiglio comunale.
Accanto ai siti web come Indymedia, Global Project, Isole nella rete, Anarcopedia italiana, le radio sono uno strumento fondamentale per la rete antagonista.

In Lombardia trasmette Radio Onda d’urto e in Veneto Radio Sherwood, e con lo streaming di internet e le trasmissioni via satellite possono essere ascoltate in tutto il mondo. Radio Sherwood è la colonna sonora dei collettivi veneti: il Bocciodromo e il Ya basta! di Vicenza, il Pedro e il Gramigna di Padova (alcuni attivisti di questo centro sono in carcere dal 2007 perché sospettati di fiancheggiare il terrorismo brigatista), il Morion e il Rivolta di Mestre-Marghera, culla di Luca Casarini e Tommaso Cacciari (nipote del filosofo Massimo). Il Rivolta è un ibrido tra antagonismo e apertura alle istituzioni, dalle sue file è uscito l’assessore veneziano Beppe Caccia.

Una trentina sono i centri sociali a Milano, guidati dal capostipite Leoncavallo, che pur di non essere sfrattato (la giunta Pisapia ha concesso recentemente un nuovo rinvio) ha pagato l’Ici e redatto un bilancio sociale, e poi il Deposito Bulk, il Micene, gli anarchici del Ponte della Ghisolfa, fino alla Cascina Torchiera, il Cox 18 di via Conchetta e il centro sociale Vittoria. Lo Spazio occupato Blackout, ha denunciato ieri l’ex vicesindaco Riccardo De Corato, occupa gli ex locali del settore parchi e giardini del comune. A Brescia è sempre in grande attività il Magazzino 47.

Le frange più irriducibili presidiano l’Askatasuna di Torino, vero motore invisibile delle manifestazioni contro l’alta velocità ferroviaria in Val Susa assieme al centro El Paso che ha appena organizzato una serata «a sostegno della cassa antirepressione delle Alpi occidentali». Altri ritrovi «caldi» sono il centro sociale Murazzi e il Gabrio, il cui sito internet invoca il «diritto all’insolvenza» dopo aver accolto il visitatore con una «G» fatta a falce e martello e un puntino sulla «i» a cinque punte.

Gli antagonisti liguri si raggruppano soprattutto attorno al centro sociale Zapata e al Laboratorio Buridda di Genova. A Firenze, dove ieri le forze dell’ordine hanno fermato sei anarco-insurrezionalisti con martelli e passamontagna, si segnalano i ritrovi della Riottosa occupata, di Villa Panico, l’Asilo occupato e il Centro popolare autogestito Firenze Sud. L’Officina 99 è il vanto degli antagonisti di Napoli per aver regalato alla musica italiana il complesso dei 99 Posse: tra i vari appuntamenti, la festa antiproibizionista della semina e del raccolto con mietitura di piante di cannabis. Più a sud, in Calabria, gli irriducibili hanno basi al centro sociale Cartella di Reggio Calabria e al Filo Rosso di Cosenza; in Sicilia, dove è vitale la Rete antirazzista siciliana, ci si ritrova al Laboratorio Zeta.

Fonte >  Giornale.it


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