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Grillo, che ha torto anche quando ha ragione
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«Dobbiamo uscire dall’EURO il prima possibile»… «Raccoglieremo in 6 mesi un milione di firme per fare una Legge Popolare da portare in Parlamento».

«Vedremo in Parlamento chi è d’accordo. Magari saremo la maggioranza, chi lo sa».

«Faremo una legge popolare per uscire dall’euro, con 3, 4, 5 milioni di firme. Il Parlamento non è obbligato a discuterne, ma i 150 parlamentari del M5S lo costringeranno».

Da queste frasi sconnesse di Beppe Grillo si è ricavata la sensazione che il fondatore del 5 Stelle voglia indire un referendum sull’uscita dell’euro. Applausi dei fans. Ora, a parte mille altre obiezioni (la raccolta di firme per un referendum consultivo da sottoporre al Parlamento sei mesi dopo, sai che fulmine), ce n’è una così evidente, da aver vergogna a farla notare: oggi, un referendum sull’euro perderebbe. Anche a sperare che tutti i grillini e tutti i leghisti di Salvini votassero (e non è detto), il no-euro avrebbe il 30% al massimo. Andate a chiedere alla gente, e la vedete raggricciarsi di paura di fronte all’Ignoto: come, uscire dall’euro?! E cosa succede ai miei soldi?!, eccetera. Se si arrivasse davvero ad una campagna referendaria, tutti i poteri che ci vogliono tenere nella prigione dei popoli (detta UE) avrebbero tutto l’agio di rendere parossistica la paura di un popolo, di una massa di ignoranti, che, come i topi, vive di paure e di rabbia, di impulsi momentanei e irriflessi. La manipolazione di queste masse pecorili è ormai una scienza esatta (la chiamano «democrazia»), avete visto come hanno fatto funzionare la paura in Scozia per il referendum indipendentista.

E allora, si avrebbe un tonante «sì» al restare nell’euro. Per referendum. Ciò significa una cosa precisa: che essendo santificata dalla volontà popolare, scolpita nel bronzo di un plebiscito, la decisione di restare nella moneta che ci uccide, per un secolo non sarebbe più nemmeno permesso discuterne. Si resta nell’euro fino alla morte.

Questo sarebbe il risultato politico della bella pensata di Grillo. È l’ennesima applicazione della sua stupida (come chiarla?) utopia o fissazione, che la democrazia diretta funzioni, che la «gente» se interpellata sia infallibile, senza bisogno di leader e di guide e di autorità, anzi senza bisogno di riflettere ed essere informata. È la dittatura delle mille pance, che dà così belle prove di sé nel blog grillesco.



Francamente, l’inutilità del Grillo-Casaleggio sulla scena politica, il pressapochismo di dilettanti allo sbaraglio che non sanno cosa fare della serqua di voti che prendono, sta cominciando a stufare. Ci fanno perdere tempo, e tempo non ce n’è.

«La posizione economica dell’Italia è insostenibile, e sfocerà in un default a meno che non vi sia un'immediata e duratura inversione di tendenza sul piano economico», ha scritto Wolfgang Munchau sul Financial Times. Aggiungendo: «Una bancarotta comprometterebbe il futuro del Paese nell’Eurozona e l”esistenza stessa della moneta unica». «Il debito pubblico italiano raggiungerà un livello pericoloso il prossimo anno» quando «potrebbe essere superato il punto di non ritorno»: così Ambrose Evans Pritchard sul Telegraph. Sullo stesso giornale un altro esperto, Roger Bootle, spiega perché : «l’Italia è prossima a quella situazione che gli economisti chiamano “trappola del debito”, quando cioè l’indice di indebitamento comincia a crescere in modo esponenziale. Per sfuggire a questa trappola ci sono due possibilità: svalutare la moneta o fare default. Non disponendo di una valuta nazionale, l’Italia non può svalutare: quindi, se non ci saranno cambiamenti realmente significativi in tempi brevi, il default sovrano diverrà lo scenario più probabile».

Sembra che 1) la bancarotta sovrana italiana sia imminente e pure ineluttabile, nonostante quel che ci racconta Renzi, e che stiamo o no nell’euro. 2) Sembra che dall’euro ci faranno uscire a calci, causa bancarotta. 3) Sembra che tutta la faccenda per noi sia di qualche urgenza. Forse non c’è tempo di raccogliere «un milione di firme in sei mesi», o «3,4, 5 milioni di firme» come straparla il comico.

Come scrivevo qualche settimana fa, «faremo la fine dei topi». Non c’è molto da aggiungere. Anzi aggiungo precisazioni non mie, ma di esperti migliori di me. Per esempio il professor Roberto Orsi - PhD alla London School of Economics, docente e ricercatore all’Università di Tokyo, che spiega «perché l’Italia non ce la farà»:

Perché «La crisi in corso è strutturale, e che si può ritornare a crescere solo facendo le “riforme” (...). Il dibattito in corso, tuttavia, potrebbe suonare imbarazzante per chi vive in un Paese europeo meglio funzionante del nostro. La natura e la portata delle riforme proposte (Senato, pubblica amministrazione, giustizia, scuola, legge elettorale ecc.) dimostrano infatti che l’Italia manca delle fondamenta, di tutto ciò di cui un normale paese occidentale dovrebbe essere dotato da almeno sessant’anni. Più che di ricostruzione, si dovrebbe parlare di edificazione tout court. Ma il problema è che tutto questo discutere di riforme è una pura e semplice illusione. (...) Cambiare l’intero sistema politico, appare impossibile a meno che non si sostenga la rottura della continuità costituzionale e l’ascesa di un dispotismo illuminato».

Del resto «le riforme – fossero anche migliori di quelle viste sinora – arriverebbero comunque troppo tardi. Il Paese è esausto e si trova sull’orlo di un’irreversibile implosione demografica, economica e sociale. Le riforme dovevano essere fatte vent’anni fa, quando il contesto nazionale e globale era molto più favorevole e si dovevano introdurre i cambiamenti necessari per accedere all’Eurozona ancora in gestazione».

«In conclusione... L’Italia potrà essere tenuta a galla artificialmente per un periodo di tempo piuttosto lungo, ma non indefinitamente, perché nel frattempo l’economia reale continuerà a deteriorarsi e il rapporto debito/Pil continuerà ad aumentare. L’Euro non può certamente crollare dalla sera alla mattina. Potrebbe però verificarsi una graduale transizione verso un nuovo sistema monetario, probabilmente presentato come un “miglioramento” o un “completamento” della valuta comune: per esempio, attraverso l’introduzione di un regime duale in alcuni Paesi, la ridenominazione dei debiti nazionali e così via. In realtà, si tratterebbe del primo passo verso l’abbandono del sistema. Una strada accidentata, se vogliamo, ma preferibile all’esplodere di forze centrifughe difficilmente controllabili».

Qui sotto, posto uno stralcio di un’intervista a Paolo Cardenà (un blogger-economista vero) sul perché e come abbiamo già perso troppo tempo, e ridotto anche le nostre possibilità future di rinascita, perché abbiamo avuto paura di uscire dall’euro subito, almeno nel 2011 se non prima:

«Finora si è affrontata questa crisi con manovre di politica economica del tutto rituali, che hanno miseramente fallito e aggravato la situazione. Quello che non comprendono i nostri governanti (e anche molti economisti) quando azzardano previsioni di crescita del Paese (sistematicamente fallite), è un fatto molto semplice, anzi banale. Loro, più o meno colpevolmente, pensano che l’Italia, considerate le diverse componenti del Pil, possa crescere esprimendo per ciascuna componente lo stesso potenziale di contribuzione espresso nel periodo precedente la crisi, ignorando la distruzione intervenuta in questi anni. Mi spiego: se prima dalla crisi 100 persone producevano 1000 euro di ricchezza, oggi, ad esempio, le stesse persone esprimono un potenziale di contribuzione alla crescita non più di 1000, ma magari di 900, o forse meno. Questo perché, quelli che gli economisti chiamano “agenti economici”, per via della crisi, hanno subìto una forte riduzione della potenzialità di contribuzione alla generazione di ricchezza.

Solo per citare alcuni esempi: dall’inizio della crisi sono risultati insolventi nei confronti del sistema bancario oltre un milione di soggetti, tra famiglie e imprese. Costoro, allo stato attuale (ma anche futuro) non hanno alcuna possibilità di accesso al credito, né per effettuare investimenti in beni durevoli, né per finanziare qualche ipotetica iniziativa imprenditoriale. Anzi, nei casi più eclatanti vivono in condizioni di miseria o povertà assoluta. Quindi minori investimenti corrispondono a un minor PIL. Altro esempio. Sempre per via della crisi, molti soggetti (oltre a quelli sopra citati) hanno accumulato ingenti debiti tributari, perché non sono riusciti ad adempiere all’obbligazione tributaria, seppur legittimamente dichiarata nella denuncia dei redditi. Questi soggetti saranno costretti a vivere in condizioni di clandestinità fiscale e, anche in futuro, dovranno comprimere i consumi o rinunciare ad investire in beni durevoli, in case, o automobili, che altrimenti verrebbero aggrediti da Equitalia. Pensi, ancora, alla pressione fiscale, notevolmente aumentata dall’inizio della crisi, nonostante redditi reali in diminuzione. Un minor reddito, peraltro gravato da un maggior onere fiscale, corrisponde ad un minor reddito disponibile per sostenere i consumi.

Questi fattori e molti altri ancora, contribuiscono a comprimere le potenzialità di crescita del paese, con soggetti in ostaggio (e vittime, allo stesso tempo) della crisi e di un sistema fiscale che dovrebbe essere profondamente riformato. (...) Oggi, alla produzione della ricchezza nazionale auspicata (sognata) dal Governo deve contribuire una platea considerevolmente più ristretta rispetto al passato, sulla quale grava anche un onere fiscale maggiore. Fino a quando questi soggetti non verranno in qualche modo riabilitati o reintegrati nella sfera economica e sociale, qualsiasi previsione di crescita del Paese sarà destinata a fallire miseramente, sotto i colpi di posizioni ideologiche (da parte della politica) ancora ben lontane dal comprendere la profondità di questa crisi».

Posso aggiungere solo una tabella sul nostro grado di istruzione. Segnala il grado di istruzione terziaria (università), diviso per classi di età.

Vediamo: oltre il 60% dei giovani coreani e giapponesi ha la laurea, più del 50% dei canadesi, oltre il 40% americani ed inglesi. Gli italiani, il 20 per cento. Un po’ peggio dei messicani.

Forse ciò basta a spiegare perché siamo perdenti, in ritardo, avviati al destino di sottosviluppo sudamericano, pieni di paura, e crediamo che Beppe Grillo dia una soluzione.




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