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Una profezia di San Francesco sulla tribolazione della Chiesa
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Sono questi tempi in cui si scrutano le profezie. So anche di monsignori di curia che, conosciuto (e subìto) papa Bergoglio, hanno ripreso in mano le visioni che Caterina Emmerick confidò a Brentano:

«Vidi una forte opposizione tra due Papi… e vidi quanto funeste sarebbero state le conseguenze di quella falsa Chiesa… Essa diventava sempre più grande; eretici di ogni sorta arrivavano alla città di Roma; i chierici accrescevano il proprio lucro, vi era una grande oscurità…

Vidi che la Chiesa di Pietro veniva minata dal piano di una setta. Ebbi un’altra visione della grande tribolazione. I chierici chiedevano un permesso che non si poteva dare. Vidi alcuni sacerdoti anziani, specialmente uno, che piangeva e si doleva amaramente; alcuni pochi giovani anche si lamentavano. Ma altri, specialmente gli eretici, prontamente accolsero la richiesta. Era come se la gente fosse divisa in due bandi…

Vedo molti preti adempiere al loro ufficio in modo miserabile, preoccupandosi troppo di conservare una buona esteriorità e trascurando così spesso le cose interiori, essi pensano più o meno in questo modo: “Come vengo visto dal popolo?” senza preoccuparsi di come vengono visti da Dio!»

Vidi che un certo numero di pastori accettavano idee pericolose per la Chiesa. Costruivano una grande, strana e stravagante Chiesa. Chiunque veniva accettato a fine di unirsi e avere gli stessi diritti: evangelisti, cattolici, sette di qualunque credo. Tale doveva essere la Nuova Chiesa… ma Dio aveva altri progetti…»

Affascinante, certo. Di solito provo a sottrarmi al fascino delle profezie, o meglio alle interpretazioni erronee e tendenziose che è fin troppo facile darne. Spesso bisogna guardarsi non da esse, ma dalla suggestione che ne emana, che è una forma di soggiogamento. Guénon in questo ha ragione quando dice che spesso certe predizioni vengono messe in circolo proprio per creare suggestioni collettive, état d’esprit. Naturalmente questo non vale per le profezie canoniche, come l’Apocalisse o i passi in cui Cristo stesso ci fa balenare il futuro dei tempi ultimi: la conoscenza che danno, i suoi barlumi, sono un dono dall’Alto per prepararci e riconoscere i segni dei tempi.

Penso si possa considerare di questo genere, per così dire “autorizzato”, la profezia di San Francesco d’Assisi, risalente a poco prima della sua morte (3 ottobre 1226) che provo a “tradurre”.

Non sapevo che Francesco, stigmatizzato Alter Christus, fosse uomo di oracoli e previsioni. Devo tutta la scoperta all’amico Giacomo Maria Prati che, infaticabile ricercatore di documenti antiquari, mi ha fornito il testo. L’ha tratto da un libro pubblicato nel 1880 dall’Imprimerie de la Bibliothéque Ecclésiastique de Paris, Avenue D’Orleans 32, intitolato:

S. Francisci Assisiatis – serafici minorum patriarchae – Opera Omnia

Juxta editionem R:P. De la Haye in Gallia Minorum Procuratoris Generalis

Il testo è a sua volta contenuto nella Medi Aevi Bibliotheca Patristica, edita dalla suddetta Imprimerie, di cui costituisce il Tomus Sextus. La profezia in latino è a pagina 430.

Eccone la traduzione dell’amico Prati:

Poco prima della sua morte, radunati i confratelli, li avvertì delle future tribolazioni dicendo: Andate avanti con coraggio e trovare conforto e sostegno nel Signore. Si affretteranno a venire incontro gravi tempi di tribolazione e di afflizione nei quali dilagheranno oscurità e pericoli sia materialmente che spiritualmente, la carità di molti si raffredderà, e sovrabbonderà l’iniquità dei malvagi. Sarà slegata più dell’ordinario la potenza dei demoni, sarà deturpata la purezza immacolata del nostro culto e di quello di altri, fino al punto che pochissimi fra i cristiani obbediranno al vero Sommo Pontefice e alla Chiesa romana: un tale, non eletto canonicamente, elevato al Papato nel momento della sua tribolazione, macchinerà di consegnare a molti la morte del suo delirio. Allora si moltiplicheranno gli scandali, la nostra Religione si dividerà, molti saranno da altri del tutto fiaccati tanto che non si opporranno ma si accorderanno con lo sviamento. Saranno le opinioni e gli scismi tanti e tanti nel popolo e nei religiosi e fra gli ecclesiastici che se non fossero abbreviati quei giorni secondo la parola del Vangelo indurrebbero in errore (se fosse possibile) anche gli eletti, se non che essi saranno guidati in così terribile tempesta dall’immensa misericordia di Dio. La nostra Regola e la nostra vita allora saranno da certuni violentissimamente attaccate. Piomberanno addosso tentazioni potenti. Coloro che allora resisteranno nella prova riceveranno la corona della vita. Guai invece a coloro che diventeranno tiepidi sentendosi sicuri nella sola speranza della religione, non resisteranno con costanza alle tentazioni permesse per provare gli eletti. Quelli che ferventi di carità con vero spirito e zelo per la verità staranno attaccati all’amor di Dio, subiranno persecuzioni e punizioni come fossero disobbedienti e scismatici. Infatti coloro che li perseguitano mossi da spiriti maligni diranno essere un grande omaggio a Dio annientare e togliere dalla terra uomini tanto nocivi. Allora tuttavia sarà il Signore sarà rifugio per gli afflitti e salverà coloro che spereranno in Lui. E per conformarsi al loro capo si comporteranno con fede e sceglieranno di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, e non volendo accordarsi con la falsità e la perfidia non temeranno in nessun modo la morte. La verità allora sarà da alcuni predicatori seppellita nel silenzio, da altri si negherà col disprezzo. La santità di vita sarà derisa da coloro che la professano e per questa ragione il Signore Gesù Cristo lascerà a loro non un degno pastore ma uno sterminatore.

È già avvenuta?


Prima di cedere alla suggestione che questa profezia del nostro patrono parli «dei tempi nostri», aggiungo che una nota dei curatori ottocenteschi francescani del testo, in buon latino, dice: «Molti trattano di questa profezia, fra i quali non c’è unanimità se essa sia già compiuta, o debba ancora compiersi. Marco Ulissi (?) propone, ed altri sostengono, che con queste parole l’uomo di Dio abbia predetto lo scisma che avvenne dopo l’elezione di Urbano VI, nell’anno 1378».

Il riferimento è al grande scisma d’Occidente, che divise la Chiesa per quarant’anni, fino alla ricomposizione nel 1417, durante i quali quattro successivi antipapi si opposero a cinque papi, fra colpi di mano, attacchi bellici, simonie per procurarsi i fondi per prevalere vendendo indulgenze, scandalo del popolo credente indotto a parteggiare e dubitare della grazia sacramentale. Quanto ad Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano, ecco davvero una figura che somiglia ad un certo papa dei nostri tempi: provocò lui lo scisma col suo cattivo carattere. Napoletano, arcivescovo di Bari, i cardinali lo elessero all’unanimità nel conclave del 1378, per la sua fama di «semplice, modesto, pio, caritatevole, duro con se stesso portando abitualmente il cilicio», di cui si conosceva la volontà di riformare moralmente la Chiesa, scrive lo storico ed abate Antoine Berault-Belcastel (1). «Appena fu in carica, che si smascherarono i suoi difetti».

Urbano VI
  Urbano VI
Vi ricorda qualcosa? Urbano si rivelò arrogante, dispotico, arbitrariamente autoritario. Già il giorno dopo la sua elezione «abbandonandosi al suo cattivo umore» , insultò i cardinali presenti alla Messa «in termini aspri e violenti», chiamandoli «tutti spergiuri avendo abbandonato le loro Chiese (diocesi) per risiedere alla sua corte», lasciando tutti basiti, visto che erano lì spesso per servizio al Vaticano; poco dopo invece avrebbe obbligati a risiedere a Roma anziché nelle loro diocesi, obbligandoli a svenarsi per restaurare di tasca propria le basiliche della capitale. Fu solo l’inizio: «Ogni giorno accadevano nuove scene da parte del capriccioso pontefice», scoppi d’ira e umiliazioni contro i cardinali. Al punto che cinque mesi dopo, gli stessi cardinali che l’avevano eletto dichiararono non valida l’elezione del Prignano, ed elessero al suo posto Roberto da Ginevra, che prese il nome di Clemente VII.

Urbano VI lo scomunicò immediatamente denominandolo Anticristo. Il popolo romano cacciò Clemente espugnando Castel Sant’Angelo dove s’era rifugiato. Seguì una vera e propria guerra. Nelle cui vicissitudini Urbano VI si trovò ad essere assediato a Nocera da Carlo II re di Napoli, che era stato suo alleato e che lui (col solito carattere aspro, balzano, arbitrario) s’era gravemente alienato. Mentre era assediato, gli stessi cardinali che gli erano rimasti fedeli pensarono di deporlo.

«Il giurista Bartolino da Piacenza che era con loro, affermò che era giusto porre sotto la tutela di uno o più cardinali un papa capriccioso e ostinato che metteva in pericolo la Chiesa Universale. (...)», insomma che dava segni di squilibrio mentale. «I cardinali passarono all'azione: avrebbero attirato il papa nel convento di San Francesco , ai piedi della collina sulla quale sorgeva il castello. Qui l'avrebbero processato, dichiarato eretico e condannato al rogo, procedendo subito all’esecuzione. Il giorno fissato era il 13 gennaio 1385, ma il papa fu avvertito dal cardinale Tommaso Orsini e quando i congiurati giunsero al castello, furono arrestati e torturati e quindi deposti e sostituiti».

L’assedio a Nocera durò oltre sette mesi, «e il papa rifiutò qualunque proposta di accordo, sperando nell’aiuto promessogli dai genovesi (...) Il papa approfittò della cattività per maltrattare e torturare i cardinali prigionieri. Carlo fu costretto a porre una taglia di 10.000 fiorini sulla testa del papa, mentre il suo avversario quotidianamente affacciandosi alle finestre del castello lanciava scomuniche sugli assedianti». Infine fu salvato all’ultimo dai genovesi: «Il papa s’imbarcò su navi genovesi, alla marina di Paestum, pagando il loro aiuto con tutto il suo tesoro. Giunto a Genova fece eliminare tutti i cardinali prigionieri che s’era portato dietro. Non contento, alla morte di re Carlo III si pose alla testa delle sue truppe con l’intenzione di conquistare Napoli per il suo nipote Francesco Prignano. Per raccogliere fondi proclamò un Giubileo anche se erano trascorsi pochi anni da quello indetto da Clemente VI; ma morì prima, grazie alla provvidenziale caduta dal suo mulo, a Roma, il 13 ottobre 1389».

Insomma un papa pessimo. Ancorché, ahimè, legittimo.

Né la sua morte purtroppo pose termine alla lacerazione fatale della Chiesa, che spaccò l’intera popolazione europea in due obbedienze, e produsse un’enorme crisi internazionale; santa Caterina da Siena, che si schierò per il pessimo ma legittimo, anzi benché malatissima accorse a Roma per difenderlo, fu consumata dalle penitenze, dai digiuni e dal lavoro stremante offerto per l’unità della Chiesa e la ricomposizione dello scisma, quando morì a soli 33 anni a Roma, nel 1380. È da notare che un altro grande santo, il domenicano Vincenzo Ferrer di Valencia, militò invece per l’antipapa Clemente, con ottimi argomenti teologici contro la legittimità di Urbano; possiamo a malapena immaginare i conflitti di coscienza che lo scisma creò per quarant’anni fra i dotti e i santi stessi, per non parlare del popolino.

La domanda angosciosa fu naturalmente sulla validità dei sacramenti che il fedele riceveva da un prete o vescovo che obbediva ad uno dei due (ad un certo punto, tre) papi in concorrenza; era valida l’Eucarestia? Bisognava astenersene, nel dubbio? E l’assoluzione penitenziale era valida? e l’estrema unzione, efficace? Si può immaginare l’angoscia del popolo, allora massicciamente credente – al contrario dei nostri tempi.

Ebbene: ci conforti sapere – anche nella crisi dei tempi nostri – che tutte le Comunioni date, da qualunque dei preti obbedienti da qualunque dei papi o antipapi, furono valide. «In relazione ai singoli fedeli, è indubbio che potessero ricevere i Sacramenti dai sacerdoti e vescovi che obbedivano ai tre papi; ed è altresì indubbio che potessero assoggettarsi legittimamente alla loro autorità in quanto non si riscontrava in nessuno dei tre una deviazione dalla fede: unico caso previsto dai cànoni che giustifichi la disobbedienza all'autorità papale. Tanto è vero che due grandi Santi si divisero sulla legittimità del successore di Pietro» (Stefano Filiberto, dottore in Storia Medievale, nel Bollettino di Una Vox, 9 /1997).

Ecco forse il punto: in quello scisma, papi e antipapi combatterono solo per ripicche personali e sete di potere politico (chi elesse gli antipapi erano nostalgici «avignonesi»), pretendendo di anteporre i loro presunti diritti alla dignità e unità della Chiesa. Ma in nessuno dei tre si verificò deviazione dalla fede. Nessuno dei contendenti pretese di imporre «novità» alla dottrina.

Ed oggi? C’è deviazione della fede in un Papa di cattivo carattere e di personalità scissa, prodotto ideologico compiuto del modernismo ecclesiastico al potere, che è ritenuto legittimo, ma la cui elezione è contestata?

È sulla base di questa domanda che, a rileggere la profezia di San Francesco, rinasce il dubbio che essa non parli solo del 1378 e del grande scisma di allora, ma dei «nostri tempi».

Lì si dice che questo «aliquis non canonice electus, ad Papatum assumptus», macchinerà di dare a molti la morte (spirituale) «coi suoi errori». La parola «errore» come la fonte dello scisma è costantemente ripetuta, segno che si profetizza di deviazioni dal dogma, dal contenuto della fede. «Sarà deformata la purezza della religione» . Si dice che molti saranno oppressi dagli altri che consentiranno all’errore, invece di contrastarlo; segno di una persecuzione interna alla Chiesa stessa.

Soprattutto è suggestiva la previsione che «la nostra regola di vita – francescana – sarà da chiunque violentemente attaccata» (acerrime impugnabitur); non risulta che nel grande scisma del 1378 la comunità francescana abbia subìto pressioni o «riforme» indebite da qualche antipapa; dunque viene irresistibilmente alla mente l’accanita sopraffazione che papa Francesco commette contro Fancescani dell’Immacolata, certo gli ultimi a seguire senza attenuazioni l’antica regola di Francesco.

Si dice che saranno tenuti per scismatici proprio quelli che resteranno fedeli alla verità, quelli che si rifiutano di aderire al falso, che rigettano la perfidia, ossia il tradimento della fides. Impressionante, se si pensa che il Commissario-persecutore dei francescani azzurri è un cappuccino, la frase Vitae sanctitas a suis professoribus habetur in derisum: proprio chi ha fatto professione di seguire la santità di vita, l’avrà in derisione, se «professoribus» sono coloro che hanno dichiarato apertamente, canonicamente, la loro adesione alla Chiesa.

Vengono in mente e Kasper, i Forte, i modernisti cardinali che hanno forzato il Sinodo. Walter Kasper, nel suo «Gesù il Cristo», dubita apertamente che Egli sia figlio di Dio: «Questa confessione di Gesù Cristo Figlio di Dio… anche oggi viene accolta con notevole diffidenza da parecchi fedeli. Secondo l’obiezione più corrente, che è poi anche la più importante, qui ci troveremmo di fronte ad un residuo di mentalità mitica passivamente accettata» [p. 223.].

Ovviamente non crede sia risorto: «Gli enunciati della Tradizione neo-testamentaria della risurrezione di Gesù non sono affatto neutrali: sono confessioni e testimonianze prodotte da gente che crede. Dobbiamo supporre che non si tratti di cenni storici, ma soltanto di artifici stilistici, escogitati per richiamare l’attenzione e creare suspance». Ciascuno può vedere la distanza tra la fede che s’è impegnato a professare come sacerdote, vescovo, cardinale, e le sue asserzioni. Ma eppure è il «gran teologo», il buon teologo, il preferito da papa Francesco.

Ancor più m’impressiona questo passo quasi alla fine: «Veritas tunc a quibusdam praedicatoribus operietur silentio, ad alii conculcata negabitur»: l’accenno all’occultamento della verità seppellendola nel silenzio (il verbo operio significando «sotterrare, nascondere sotterra»), che sarà operata da alcuni predicatori, mentre da altri sarà negata con disprezzo («conculcata negabitur»): due atteggiamenti, il silenzio sulle ragioni altrui, l’autocensura opportunista e lo scherno dei veritieri, di fotografica «attualità» nel nostro mondo orwelliano. Tali che non erano nemmeno possibili nel ‘300, ma lo sono soltanto oggi nel flusso continuo della (dis)informazione e del rumore di fondo mediatico, che nasconde la verità e scredita chi la proclama. La frase sembra una vera e propria istantanea «dei nostri tempi».

Si aggiunga che si prevede che i fedeli vengano uccisi e sradicati da chi riterrà, così agendo, di rendere un servizio a Dio: pare la tipica situazione di un conflitto eretico interno alla Chiesa, di due posizioni opposte su cosa sia esser cristiani che si scontrano in odio mortale. E che tutto spira un’aria da grande tribolazione, di persecuzione finale della Chiesa da parte di una falsa chiesa. L’allusione allo «sterminatore» che Gesù manderà a costoro, i derisori ecclesiastici della verità, invece di un «degno pastore», ha una pregnanza apocalittica. Lo sterminatore è il papa che questi meritano, sterminatore nella Chiesa, o lo Sterminatore che si porrà sopra la Chiesa, l’Uomo d’Iniquità annunciato da Paolo?

La risposta verrà. Noi scrutiamo i segni dei tempi.

In fondo, è perfino illusorio indagare se san Francesco prevedesse lo scisma che sarebbe avvenuto un secolo e mezzo dopo, oppure la Chiesa dei nostri tempi «ultimi». Quando Gesù previde che del Tempio, di cui i discepoli gli additavano orgogliosi la grandiosità, che di quelli «Non resterà pietra su pietra che non sia abbattuta», parla insieme della distruzione sotto Tito nel 72 d. C.., e della grande tribolazione dei tempi ultimi, precedente la Sua seconda venuta: nella Sua mente divina gli eventi sono come il calco l’uno dell’altro.

I profeti non sono degli indovini di fatti determinati; ciò che vedono per grazia dello Spirito, è qualcosa come un archetipo ultracosmico che nei fatti ricorrenti si rivela. Allo stesso modo nell’Apocalisse: sempre quando i cristiani sono stati e saranno messi a morte, dietro il boia, il gigante sterminatore che è il potere politico totale, è dato intravvedere il Falso Agnello che gli suggerisce la strage e gli mette in bocca gli ordini: avvenne sotto Nerone quando gli ebrei attorno a Poppea istigarono alla persecuzione prima, avverrà sempre ogni volta.

In questo senso è indicativo che questa di San Francesco, come ogni altra profezia dei secoli ultimi (Maria Alacoque, Teresa Neuman, la Emmerik) ricalca lo schema di quelle apocalittiche pronunciate da Gesù la Settimana Santa. Come dice Prati, «è un segno di genuinità della profezia stessa, mostrando che la rivelazione particolare si fonda sulla rivelazione generale».

È facile identificare gli echi scritturali in Francesco d’Assisi, a cominciare dal «raffreddarsi della carità per il sovrabbondare dell’iniquità» (Matteo 24: 12), avvertimento che ci deve sempre invitare a guardare a noi stessi, noi dei tempi ultimi, anche quando abbiamo ragione.

Di specifico, nella profezia di Francesco, ci sono due punti: la non obbedienza dei molti a «vero sommo pontefice», forse implica che ce ne sia un altro, falso, nello stesso tempo? E l’aggressione violenta contro l’ordine francescano.





1) Abate Berault Belcastel, «Storia del Cristianesimo», Tomo XV, Venezia MDCCCXXIX. L’abate esordisce così: «Urbano VI, ossia Bartolommeo Prignano, sarebbe passato pel soggetto più degno del papato, se non fosse stato papa. Egli era di nobili natali, dotto, e in singolar modo uno degli uomini del suo secolo più versati nel diritto canonico, in fama di uomo sommamente dabbene, modesto, pio, caritatevole (...). Ma poco mancò che l’amarezza del suo zelo o del suo cattivo umore nol precipitasse dalla Sede apostolica, e diede luogo allo scisma che pel corso di cinquant’anni desolò la Chiesa».




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