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A Parigi, in mostra l’omosessualità. Come psichiatria.
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Membri in erezione, peli pubici, scroti, ed ovviamente, natiche a centinaia. È inevitabile: le vedremo al Maxxi, il superfluo museo d’arte contemporanea di Roma. È letteralmente impensabile che la Melandrina, direttrice per meriti dalemiani, si lasci sfuggire l’esposizione attualmente esibita al Musée d’Orsay di Parigi, Masculin/Masculin - L’uomo nudo nell’arte dal 1800 ai nostri giorni. È troppo «trasgressiva e insieme banale», «sorprendente più prevedibile», «oltraggioso=normale», insomma ha tutto per adescare la mentalità di questi che hanno abbandonato il comunismo per darsi, corpo ed anima, al «luogo-comunismo». Le trasgressioni, da quelle parti, devono essere però ammesse, permesse dallo spirito dei tempi, dalla borghesia illuminata e da tipi creativi, come Oliviero Toscani.

I furbi gestori del museo d’Orsay (nato per ospitare impressionisti e post-impressionisti, ormai un po’ abbandonati dal pubblico) hanno pensato bene di cavalcare l’onda: l’omosex è uno stile di vita legittimo, è stato decretato dai Superiori Incogniti; è riconosciuto dalle istituzioni (le famose nozze gay, i cambiamenti di sesso registrati dall’anagrafe), va’ fatto affermare come «normale» – e anormali sono gli altri, difatti definiti «omofobi», casi psichiatrici come ogni altra «fobia».

Invece, guarda caso, la mostra propala ai quattro venti, del tutto involontariamente, le ossessioni e possessioni del vizio pederastico, masturbatorie e pornografiche.

La direzione del museo strizza l’occhio e ha apposto un avvertimento scritto alle ultime sezioni «Attention, certaines oeuvres présentées dans cette section de l’exposition sont susceptibles de heurter la sensibilité du jeune public» – Attenzione, certe opere presentate in questa sezione dell’esposizione possono urtare la sensibilità del pubblico giovane... Venghino signori, entrino nel padiglione buio, chi è minorenne non può... A metà fra il pedagogo e il losco lenone che un tempo, alle fiere, offriva in vendita foto sconce che teneva nascoste sotto la giacca: «Psst psst, interessano?».

In realtà, se c’è una cosa che mostra questa pretesa esaltazione del corpo maschile è che – quando esso è guardato o vagheggiato dall’immaginario omosessuale – è il kitsch, il pompierismo, il falso, in una parola: la dimostrazione che la concupiscenza pederastica, come ogni lussuria quando si esprime – esclude l’arte.

La scelta di quadri d’epoca (ottocenteschi) in base al criterio del nudo maschile come oggetto di concupiscenza, hanno obbligato a dar fondo ai magazzini museali di finti dei greci che furono in realtà veri ragazzi di vita della Belle Époque, finti guerrieri romani che furono modelli proletari spiati e vagheggiati, retoricamente ripresi da pittori di seconda scelta – Flandrin, Bouguereau, Basille – dai nomi giustamente ignoti; tanto che le didascalie esplicative devono assicurare, come mai quella produzione così mediocre sia esposta, che le loro opere scadenti «sono state icone nei circoli omosessuali di prima della Grande Guerra».

mostra_omo_parigi_1
William Bouguereau, Uguaglianza davanti alla morte, 1848
Tipico esempio di Kitsch, compagno inseparabile dell’erotismo omo


Ma la parte del leone la fanno le foto, foto di nudi porno «artistiche»: il mezzo tipico con cui l’impotenza artistica si auto-glorifica senza ritegno – la «foto d’arte» è l’estremo rifugio delle mezze calzette – non può che imperversare. È il piattume più scontato di membri e culi palestrati e ventri tartarugati, trasgressioni di languidi efebi tutte già risapute, noia, ripetitività. E persino i peggiori convenzionalismi della stampa benpensante: i negri ce l’hanno grosso, gli arabi sono bisessuali, eccetera.


Pierre e Gilles, Mercurio 2001 (modello: Enzo Junior)
Fotografia dipinta, pezzo unico. Il pompierismo imperversa... 



La «creatività» degli «artisti omosessuali» si rivela alquanto asfittica. Niente idee, se non a prestito da altri. Avrete certamente presente il quadro di Courbet che costui per scipita freddura titolò «L’Origine del mondo», il primo piano della gran vulva non depilata fra due grasse cosce di anonima prostituta parigina, che un diplomatico turco commissionò durante la Belle Époque e le cui riproduzioni fanno bella mostra nei bordelli. Ebbene: ben due «artisti» omosessuali al museo di Orsay vi si sono ispirati, un tale Lucien Freud (Parties de Leigh Bowery), e un tale Orlan: ovviamente – forse già lo immaginate – la gran vulva è rimpiazzata dal membro maschile. Orlan spinge la sua originalità a copiare il titolo, e titola il suo pene: «L’origine de la guerre». Che fantasia, che vulcani di idee.

La Direzione ci mette del suo. Sotto un quadro in stile realismo sovietico di tale Paul Camus, «Le Bain», precisa che i due ragazzoni lì ritratti si lavano «après l’amour», dopo l’amore, aggiungendo il piccante che di per sé non c’è.



Per il resto: cosa escogitano gli «artisti omo» per dare un po’ di pepe all’insipido, al retorico e al pornografico? Quello che già immaginate: la parodia blasfema del sacro, l’offesa gratuita alla fede. Persino una commentatrice molto di sinistra, Rosa Llorens, se ne dice urtata: nella mostra «si afferma una volontà cinica di degradare tutto quel che è religioso, comune oggi – del resto – a tutta l’industria della propaganda, a cominciare dalla pubblicità». Ancora una volta, viene a mente Oliviero Toscani e simili. Per esempio: il tema della Deposizione di Cristo viene dato solo come preparazione alle foto più schifosamente omosessuali. Culminanti in quella, di un tal Kelinde Wiley, dove un negro solleva pietosamente il velo (che lo copriva «lì») ad un altro negrone, che guarda lo spettatore... Titolo: «Ecce Homo». Avete colto il gioco di parole? Ecce Homo, che acuto doppio senso. Applausi. È proprio vero: i gay, gli Homo, sono più intelligenti di voi, più creativi, più liberi.


Il Martirio di San Sebastiano
, scopriamo, è sempre stato un tema che ha ossessionato i finocchi: nel santo martire che, trafitto dalle frecce legato alla colonna, volge gli occhi al cielo, «leggono» a modo loro, i segni dell’ambigua voluttà. Dunque il tema è sviluppato da un tal Alfred Courmes con una foto che titola «Ex-voto à saint Sébastien» che ritrae un giovane nudo ma con berretto a pompon alla marinara, con il culo nudo ben in vista, stile pubblicità di profumi for men… Non ci si può far niente, i marinai sono un oggetto di desiderio fantasmatico per costoro. E la tipica fantasia patologica rivelata da Lucio Dalla: «Ma come fanno i marinai a baciarsi fra di loro ma rimanere veri uomini però»… evidentemente non fanno che chiederselo, i pedé.



Ce n’è anche per l’Islam. Un tal La Chapelle, fotografo omoerotico, mostra un negrone (sempre loro: ce l’hanno grosso, si sa), col sesso ben in vista, legato a terra come un Gulliver da 72 bamboline Barbie. Perché 72? Lo spiega il titolo in inglese (fa più cool): «Wouldbe Martyr and 72 Virgins». Possibile martire con 72 vergini. Insomma la famosa storia degli arabi che si fanno saltare perché credono alla promessa di godersi, nel paradiso di Allah, le 72 vergini (gli arabi sono insaziabili, si sa. E gli piace farlo anche con gli uomini, è ben noto).



Nessuna icona è risparmiata dalla voglia di parodiare ed abbassare: persino la celebre foto di Marilyn Monroe nuda che si stira avvolta in una seta rossa, è messa in parodia da un tal Lèonard con una mega-foto titolata: Pin-up. Jennifer Miller as Marilyn Monroe, dove ovviamente ad avvoltolarsi voluttuosamente è un transessuale. E una didascalia esplicativa rende noto al pubblico che «sul piano estetico, il corpo maschile ha la meglio su quello femminile». Già, perché dall’esposizione spira senza maschere un odio radicale alla femminilità, che è esso stesso un sintomo, e che la già citata commentatrice Llorens nota con progressistico dispetto: questa malsana «glorificazione del corpo maschile integra ciò che c’è di più contestabile nella visione della donna – la riduzione del corpo ad oggetto erotico – annettendosi i suoi caratteri specifici, e con ciò escludendo la donna in modo radicale». Ben detto. (Masculin/Masculin: y a-t-il encore une place pour les femmes dans la culture unigenre?)

La grecità naturalmente eccita senza fine i fantasmi erotici di costoro e li spinge a rivedere senza posa i miti greci in versione aberrante, con l’impulso incoercibile a schernire ed abbassare.

«La Scuola di Platone» è il titolo di una grande tela di un certo Delville, dove Platone è raffigurato come Cristo circondato da dodici piacenti discepoli androgini e languidi. Due «creativi» di nome Pierre e Gilles (devono essere come Dolce & Gabbana, ma meno di moda) rimpiazzano il mito di Leda fecondata da cigno con il Ganimede pubere che si fa «fecondare» dall’aquila. Un tal George Platt Lymes mette in scena in un fotomontaggio «la seconda nascita di Dioniso». Nel mito, Dioniso nasce dalla coscia di Zeus. Qui, costui ha cura di fare che Zeus sia privato di tutta la sua maestà classica; si torce nei dolori del parto come una mamma, ridicola fantasia omoerotica che in tutto l’Occidente viene oggi sancita per legge, con le adozioni di coppie gay.

A onor del vero, va detto che in Francia le critiche non sono state trionfali. «In questo festival delle natiche, le opere accademiche purtroppo abbondano», ha scritto Télérama, segnalando l’overdose indigesta di kitsch. Marianne, settimanale molto a favore delle «nozze per tutte», si chiede sconsolato come mai kitsch ed omoerotismo sembrino una coppia (gay) inseparabile. Il sito Le Grand Soir, di estrema sinistra (pubblica articoli del nostro Manifesto) si domanda perché «la glorificazione del sesso maschile appaia come una causa eroica da difendere, dietro alla quale ogni cultura e credenza religiosa diventano derisorie, e perché deve passare avanti alle lotte di liberazione dei popoli». Sic, ma è la domanda giusta che a sinistra fanno bene a farsi. Come mai una volta essere rossi significava lottare per gli oppressi e gli sfruttati, ed oggi per il «diritto» dei pedé, che nessuno peraltro contesta? Anche il progressista-conformistico Le Monde ha dovuto parlare di «una esposizione confusa, perché sprovvista di ogni riflessione storica». Insomma, pur a malincuore, un pollice verso per la mostra che il Museo d’Orsay presenta come «un progetto innovatore e ambiziosissimo» sulle «dimensioni e i significati del nudo maschile nell’arte».

Se ve ne ho parlato qui, è per denunciarne il carattere di «sintomo»: sintomo delle patologie che l’egemonia invertita vuol far passare per normale stile di vita, e sintomo di promozione furbesca e pruriginosamente disonesta, del suddetto «stile di vita» coinvolgendo nella propaganda, la cosiddetta «cultura», eventualmente «di massa». Naturalmente, su questo piano, il fallimento non può essere più completo, perché i curatori tralasciano totalmente – e non sembrano nemmeno avvertirne l’esistenza – della questione fondamentale, profondamente infitta nel cuore della civiltà europea, anzi indo-europea: il nudo virile come epifania del sacro. I sommi scultori ellenici non hanno mai rappresentato donne nude, se non in epoca tardo-ellenistica, quando la Venere di Milo mostra, nella sua snella perfezione, un tralucere di concupiscenza; il corpo femminile è sempre sentito come oggetti di desiderio maschile, e quindi inadatto al sacro. Le dee e le fanciulle, appaiono sempre panneggiate. Al contrario, la nudità maschile è stata sentita profondamente come soprannaturale. Chi guardi i Bronzi di Riace o il Poseidon nel museo di Atene vede forze numinose e temibili, non maschi da concupire (anche perché la misura degli organi è rimpicciolita apposta, e certo delude gli omosessuali che guardano appunto per prima cosa, «lì»). Questa sacralità del nudo virile è radicalmente ( e io credo esclusivamente) «ariana». Gli artisti del Gandhara adottarono la velata nudità ellenica per i loro Buddha, appena ne vennero a contatto con i greci di Alessandro Magno.



Shiva è invariabilmente rappresentato nudo asceta-atleta, e tutti gli yogi indù hanno da tempo immemoriale denudato il corpo come prova di santità, rinuncia e consacrazione (alcuni che arrivarono in Grecia furono detti «gimnosofisti», filosofi nudi). Le prime raffigurazioni di Cristo lo danno vestito e tunicato, probabilmente finché la sensibilità semitica fu dominante; ma ben presto – sia stato per il prestigio dell’arte ellenico-romana, sia per la diffusione della conoscenza della Sindone – è stato raffigurato come il trentenne atleta suppliziato che adoriamo oggi nelle chiese: immagine che cinesi e giapponesi, poniamo, non possono se non a fatica accettare a tutta prima come venerabile. Qui c’è un alto mistero ed un insegnamento – proprio l’«altezza» a cui l’omosessualità, in quanto chiusa nel basso livello della patologia, è cieca e sorda.

(Attenzione: questo articolo non va pubblicizzato; contiene psico-reati passibili di condanna penale. In realtà, non anderebbe nemmeno letto. Va inteso come samizdat da far circolare clandestinamente fra dissidenti fidati)

 

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