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Obama e le mele atomiche
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Obama: «Al Qaeda con l’atomica un disastro per l’intero mondo».

«Solo la più piccola quantità di plutonio, delle dimensioni di una mela, può uccidere o ferire centinaia di migliaia di persone innocenti. Network terroristici come al Qaeda hanno cercato di entrare in possesso di materiale per armi atomiche e se dovessero riuscirci sicuramente le userebbero. In questo caso sarebbe una catastrofe per il mondo, provocando un’enorme perdita di vite umane e segnando un duro colpo per la pace e stabilità globale».

Così Obama a chiusura del vertice contro la proliferazione nucleare, secondo Repubblica.

Ed ora leggiamo quest’altra notizia: «ISRAELI EMBASSY IN NYC A RADIATION HOT SPOT», ossia: «L’ambasciata israeliana a New York City è un punto caldo radiattivo». L’articolo in questione narra come l’antiterrorismo americano abbia condotto una prospezione aerea con elicotteri sulla città di New York per identificare eventuali fonti di contaminazione radiattiva. Ne ha scoperto un’ottantina (per lo più vecchi ammassi di rottame ferroso e un parco pubblico), ma una in particolare, molto forte: «Una forte punta di radioattività dall’area della ambasciata israeliana a Manhattan East Side».

Dico subito che è una notizia vecchia, del 16 ottobre 2006, riportata da giornali locali e ripresa solo dal Cleveland Indymedia Center, notiziario alternativo. Indymedia prevedeva che «il punto caldo (hot spot) radioattivo» dell’ambasciata sarebbe diventato «un punto caldo politico». La previsione non s’è avverata, il che non ci stupirà troppo: nessuno ha indagato sul come e il perchè l’ambasciata israeliana a Manhatta emanasse un così «stupefacente picco di radiazioni».

Può sorgere una domanda: l’ambasciata di Israele e New York cela delle mele di plutonio come quelle paventate da Obama, e che Obama chiama il mondo a mettere in sicurezza? Ovviamente i media non rispondono alla domanda. A cominciare da Repubblica e dal Corriere, si limitano a dichiarare «il successo» del presidente Obama al summit in cui ha riunito i capi di 46 Paesi, senza rilevare l’assurdità - anzi, l’insensatezza - del comunicato ufficiale che hanno copiato tal quale.

Anzitutto, nessuno ha rilevato che una mela di plutonio non è un oggetto che un terrorista di Al Qaeda possa mettersi in tasca per fare  «un attacco nucleare in una grande città». Il maneggio della sostanza, fissile e velenosissima, richiede complesse e costose attrezzature di sicurezza (fra cui servomeccanismi per la manipolazione a distanza) di cui, poniamo, «Al Qaeda in Somalia», «Al Qaeda in Yemen» o «Al Qaeda in Maghreb» non sembrano in grado di disporre,nè tanto meno di manovrare. Magari bisogna appuntare i sospetti su Al Qaeda in Pentagon o Al Qaeda in Dimona?

Come assicura Obama, «Materiale nucleare che può essere venduto o rubato e usato per armi nuclari esiste in decine di Paesi. Il rischio di un confronto nucleare tra nazioni si è affievolito, ma il rischio di un attacco nucleare è aumentato».

Un suo esperto di non-proliferazione, tale Robert Gallucci, ha dato manforte a questo allarme dichiarando, a margine del summit, che ritiene «probabile» che presto o tardi  i terroristi facciano detonare una bomba atomica «in qualche città da qualche parte, non necessariamente negli Stati Uniti o in Europa», ma per esempio in Pakistan. (Experts: Nuclear Terrorist Attack on Major )

E’ per questa ragione che il presidente Obama ha riunito una cinquantina di capi di Stato, a cui ha fatto promettere che entro quattro anni metteranno in sicurezza le mele di plutonio sparse  per i loro territori, e non sorvegliate.

Ma come questa risoluzione possa essere vantata come un successo del presidente, non si capisce: anzitutto, si tratta di una risoluzione «non vincolante» (non-binding) per i contraenti. Non è stato precisato se l’uranio sparso per giardini e laboratori sarà conferito ad un ente sovrannazionale (quale? La AIEA? Un ente da costituire?) o i proprietari delle mele se le terranno in casa, pronti però ad esibirle alle ispezioni internazionali.

Ma soprattutto, l’impegno è vanificato dall’assenza di Israele, che le mele di plutonio le possiede, che non ammette di possederle, che per di più dispone di tutti i mezzi e i vettori per lanciarle nel mondo, o di depositarle all’ambasciata di New York, e che si rifiuta ad ogni ispezione.

Il New York Times riporta che, alla conferenza stampa di chiusura (1), «mister Obama ha deliberatamente schivato (dodged) le domande riguardanti i tentativi di strappare al Pakistan la promessa di smettere di produrre plutonio arricchito a livello militare, o di far pressione su Israele e il suo arsenale nucleare». (Obama Vows Fresh Proliferation Push as Summit Ends )

Israele non era nemmeno presente al vertice, per mostrare fino a che punto si infischi delle preoccupazioni di Obama. Ora, siccome basta una mela di plutonio per provocare la catastrofe per il mondo intero a cominciare da una grande città, basta che uno solo dei proprietari delle mele di plutonio si sottragga ai controlli, per rendere possibile il paventato attentato nucleare o «sporco» di grazia, potrebbero il Corriere e Repubblica spiegare in che senso ritengono il vertice di Obama «un successo»? E perchè riportano asserzioni insensate come fossero normalissime, senza provare a capire che, quando dalla Casa Bianca escono proposizioni così insensate, vogliono dire qualcosa d’altro?

La nostra ipotesi – che ammettiamo essere arrischiata, ma non tanto insensata come gli articoli del Corriere – è che le frasi di Obama configurino una minaccia implicita. Ci sarà un attentato atomico «in qualche grande città del mondo». L’attentato sarà sicuramente, senza alcun dubbio, compiuto dall’entità che dal 2001 in poi si conviene chiamare «Al Qaeda». E siccome «Al Qaeda» sta per «musulmani in generale», l’attentato prossimo venturo con la mela di plutonio potrà essere il pretesto per mettere in riga qualche paese musulmano, dal Pakistan all’Iran, che la lobby preme perchè siano privati dei loro impianti nucleari (2).

Bernard Baruch
   Bernard Baruch
Un’altra ipotesi è che Obama stia tentando di rimettere in vigore il «Piano Baruch», liquidato nel 1946. Il finanziere, miliardario ed eminenza grigia Bernard Baruch (1870-1965), finanziatore  e consigliere di sei presidenti (da Woodrow Wilson ad Eisenhower), gestore dello sforzo bellico-industriale americano  sia nella prima che nella seconda guerra mondiale (sotto il suo comando, tutta l’economia produttiva USA fu di fatto statalizzata e soggetta ad ordinativi pubblici d’imperio), nel 1946 lanciò l’idea di creare un ente sovrannazionale (Atomic Development Authority) con pieni poteri su tutti gli sviluppi del nucleare in corso nel mondo, e «con il potere di usare la minaccia nucleare per preevenire il sorgere di altre potenze nucleari». L’ente avrebbe dovuto essere affidato a un consorzio di banchieri capeggiato dai Rotschild e dei Lazard.

A quel tempo, solo l’America disponeva della Bomba, e il Piano Baruch prevedeva che le fosse sottratta per darla alla finanza mondiale: il presidente Truman, che doveva la sua elezione ai soldi di Baruch, accettò e mise due  discutibili esperti, David Lilienthal (poi passato alla banca Lazard) e il segretario di Stato Dean Acheson (Yale University, Skull and Bones, e protagonista della sistemazione monetaria mondiale a Bretton Woods) a lavorare per realizzare il progetto.

Il  piano Baruch fu silurato da Stalin: appena l’URSS ebbe la sua Bomba, non gli andò di conferirla. Adesso che l’URSS è scomparsa, può darsi che qualcuno ritenga sia tornato il momento per sottrarre le armi atomiche agli Stati nazionali e ai governi elettivi, per darle ad una entità fatta di potenti privati, cooptati e senza volto.

E’ il caso di ricordarselo, quando «Al Qaeda», venuta misteriosamente in possesso di una mela di plutonio, produrrà un disastro atomico in qualche grande città: un attentato abbastanza dimostrativo da indurre i governi a realizare il piano Baruch, a strappare al Pakistan le sue armi, e a bombardare l’Iran per incenerire i suoi impianti.




1) D’altra parte, non c’è praticamente stata una conferenza-stampa. Giornalisti e fotografi sono stati cacciati fuori «dopo due minuti», come scrive il Washington Post, che lamenta come in questa occasione «il disprezzo di Obama per i media abbia raggiunto nuove vette», persino «dando lezioni ai maggiori dittatori del mondo su come circonvenire la libera stampa». www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/04/13/AR2010041303067_pf.html
2) Coincidenza: proprio nelle stesse ore, Israele «ha chiesto ai suoi cittadini di uscire immediatamente dall’Egitto», se vi si trovano per affari o turismo, perchè prevede un grande attentato terroristico imminente contro l’Egitto. In questi giorni 35 mila turisti israeliani si trovano sulle coste del Mar Rosso, precisamente nel Sinai, un territorio che l’esercito israeliano occupò nel 1967, che ha dovuto restituire, ma a cui ambisce come parte del «Grande Israele». www.usatoday.com/news/world/2010-04-13-Israel-Egypt_N.htm?csp=34


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