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Nel DNA c’è una seconda lingua (fermate Monsanto!)
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Nel DNA esiste un secondo codice, celato nel primo – quello noto da 40 anni. Il «linguaggio» del DNA, ci hanno raccontato dal 1960 o giù di lì, è formato da 64 «lettere» (triplette di nucleotidi), la cui sequenza dà le «istruzioni» per la produzione delle proteine che formano un organismo, esclusivamente delle proteine. Oggi si è scoperto che alcune di queste «lettere» hanno (contemporaneamente) anche un altro significato, e in questo «linguaggio» vengono controllati i geni. Una lingua del tutto ignota.

John Stamatoyannopoulos
  John Stamatoyannopoulos
La scoperta è del gruppo di genetisti della University of Washington guidato dal professor John Stamatoyannopoulos, il quale ha spiegato: «Adesso sappiamo che, quando leggevamo il genoma umano, ci perdevamo la metà del testo. La nostra scoperta mette in luce il fatto che il DNA è una “memoria di massa” di informazioni incredibilmente potente, e che la natura la sa sfruttare in modi inattesi». Inoltre, «il fatto che il codice genetico può scrivere simultaneamente due tipi di informazioni significa che numerose varianti del DNA che sembrano alterare sequenze proteiche possono effettivamente causare delle malattie interrompendo programmi di controllo dei geni o anche simultaneamente entrambi i meccanismi».

I genomi contengono sia un codice genetico che specifica la serie degli aminoacidi che un codice che detta le regole ad uno specifico fattore di trascrizione (Transcripting Factor, TF ) per il riconoscimento delle sequenze. Abbiamo usato il marcamento genomico della desossiribonucleasi per mappare la disposizione dei nucleotidi a livello di TF nell'exoma di 81 tipi diversi di cellule. Abbiamo scoperto che circa il 15% dei codoni umani sono codoni con doppio uso (o duoni ) i quali specificano contemporaneamente sia gli aminoacidi che i siti di riconoscimento TF. I duoni sono protetti ad alto livello ed hanno modellato l'evoluzione delle proteine ed i limiti imposti dal TF sembrano essere una delle forze principali che interagiscono nell'uso dei codoni. Successivamente, il codice che regolamenta è stato svuotato in modo selettivo dal TF che riconosce i codoni che bloccano. Nei duoni, il legame col TF viene direttamente modificato da variazioni superiori al 17% di singolo nucleotide. Questa doppia informazione, onnipresente, di codifica degli aminoacidi e di regolamentazione sembra essere una caratteristica fondamentale dell'evoluzione del genoma (traduzione di Massimo Frulla). Questa la fonte della notizia.

La scoperta è così grossa che anche i media ufficiali ne hanno dovuto parlare. Ma il più brevemente possibile, e guardandosi dal lumeggiare le conseguenze di questa scoperta così rivoluzionaria.

La prima è un altro duro colpo alla teoria (o mito) dell’evoluzione per caso. È difficile sostenere che il DNA, con un simile sofisticato (e coordinato) doppio linguaggio, innestato l’uno nell’altro, sia il risultato di mutazioni casuali e cieche, di cui poi la selezione naturale mantiene e perpetua quelle «utili»; sarebbe come se un giocatore vincesse due volte al Superenalotto . Invece, il DNA sembra sempre di più rivelarsi un apparato estremamente complesso e finissimamente progettato.

L’ostinazione con cui si aderisce al mito dell’evoluzione per caso ha già prodotto quelle che possiamo chiamare vere e proprie cantonate; è il caso di domandarsi fino a che punto il dogma evoluzionista ha ritardato e ostacolato l’avanzamento scientifico.

Quando nel 1990 è stato lanciato dagli USA il Progetto Genoma Umano (e il big business lanciò la concorrente Celera Genomics per brevettare le scoperte e lucrarne), con l’idea di mappare il genoma umano – ossia il nostro patrimonio genetico completo – i ricercatori prevedevano di trovare nell’uomo almeno 200 mila geni. Alla fine ne hanno identificato e sequenziato meno di 30 mila: in pratica, il DNA dell’uomo non è decisamente più «evoluto» di una pianta priva di cervello anzi di sistema nervoso, circolazione sanguigna, muscoli, reni eccetera – e tuttavia munita di 28 mila geni, e vicino in modo imbarazzante al verme platelminto (18 mila geni). Diventava impossibile spiegare unicamente attraverso i geni la superiore complessità dell’Homo Sapiens rispetto alla Lattuga.

Ancor peggio quando, nel sequenziare il genoma umano completo, s’è trovato che i geni codificanti sono solo il 3% dell’intero genoma. Il 97% (anzi, precisamente il 98,5) del nostro DNA, miliardi di altre basi azotate, era inattivo, silente, non si «esprimeva». Felicissimi, gli evoluzionisti proclamarono che questo confermava la teoria della selezione casuale: quella immensa massa di «lettere» silenti nel DNA erano residui fossili accumulati di antiche evoluzioni fallite, «rimasugli che nel corso della evoluzione hanno perso la loro funzione anche a causa di frammentazioni (altrettanto casuali) della sequenza codificante». E lo chiamarono Junk DNA, DNA spazzatura; o i più moderati, una specie di imbottitura separatrice delle sequenze utili, un’imbottitura fatta di un materiale qualunque, di scarto, come quello che gli imbalsamatori mettono nella pancia degli animali impagliati. Coloro che obiettavano all’idea che il genoma umano fosse fatto in così gran misura di spazzatura, furono relegati nella categoria dei «creazionisti»: ecco, voi bigotti non potete ammettere che la «creazione» non è perfetta!

Invece, adesso, col tempo, si scopre a poco a poco che questo «DNA spazzatura» svolge funzioni utilissime ben precise. Alcune di queste sequenze che sembravano silenti, per esempio consentono di determinare quando un gene è acceso o spento (ossia è codificante per una proteina o meno). Questa regolazione è ciò che fa comportare una cellula specializzata nel modo corretto (una cellula cerebrale continua a fare la cellula celebrale senza diventare una cellula renale). Nell’aprile del 2013 si è scoperto che una certa lunga sequenza non codificante è associata con una grave degenerazione neurologica, la malattia di Huntington

A poco a poco, emerge la realtà: che «esiste un meccanismo complesso svolto dal RNA non-codificante, di cui finora non si sospettava nemmeno l’esistenza», così complesso che «non è ancora compreso a fondo», ma che obbliga «a ridefinire il concetto stesso di gene». (Analisi del ‘DNA inerte’ ridefinisce il concetto di gene)

Ma il big business non ha certo voglia di aspettare una miglior definizione: la semplificazione che concepisce il DNA come collanina, in cui ogni perla (gene) codifica una specifica proteina, va benissimo al mondo degli affari: l’ingegneria genetica lucrativa si basa proprio su questa concezione antiquata e schematica, la Monsanto fa i noti affari miliardari spacciando sementi «modificate» con l’inserzione di tossine di batteri, o rese resistenti a specifici diserbanti (brevettati Monsanto). Attualmente, i diabetici ricevono insulina che è il prodotto di ingegneria gentica di un microbo, l’Escherichia coli, e similmente la somatostatina. Ancor più grandiosa la nube di speranze ed illusioni che, diffuse dagli uffici-stampa del big-business, vengono sparsi dai media entusiasti: le biotecnologie ci daranno la cura «mirata» del cancro, basta lasciare libera la ricerca; le «cellule staminali» stanno per donarci la salute e l’eterna giovinezza... l’ultima propaggine è la ridicola e tragica sceneggiata inscenata dal «professor» Vannoni (professore in Lettere) e dalla sua cura miracolosa, resa possibile dall’ignoranza crassa e congiunta dl Tar-del-Lazio e dei genitori dei piccoli pazienti neurologici, a loro volta nutriti di illusioni dalla «divulgazione» mediatico-ideologica.

Naturalmente, tutto il big business dell’ingegneria genetica si auto-presenta – e viene presentato dai media – come assolutamente innocuo; mangiare, e dar da mangiare agli animali con grani OGM è assolutamente senza conseguenze; l’inserzione di geni è «equivalente agli innesti» che facevano gli agricoltori, come ha detto mentendo il venerato maestro Luigi Veronesi...

È questa asserita innocuità che è gravemente scossa dalla scoperta del professor John Stamatoyannopoulos e del suo gruppo: la manipolazione forzata di materiale genetico estraneo non è solo un’alterazione (che si pretende puntuale e controllata) del «messaggio» contenuto nel DNA. E altera anche il secondo «linguaggio» appena scoperto, e di cui si sa ancor poco o nulla: in quale senso lo altera? Come cambia, per l’intervento bio-ingegneristico, il secondo messaggio occultato nel primo?

Sicuramente, lo degrada in modo incontrollato e finora imprevedibile. Da anni ricercatori non pagati dal big business Genetico stanno dicendo che avvengono mutazioni genetiche nel punto d’inserzione del materiale genetico estraneo, e che di queste mutazioni e dei loro effetti sull’organismo non si tiene conto. Invano: nel mondo, campi interi di pollini incontrollabilmente modificati infettano i campi naturali; granaglie OGM nutrono maiali e bovini; insulina OGM viene iniettata nei diabetici alla leggera. Alteriamo un linguaggio della vita che non conosciamo ancora, e forse non conosceremo veramente mai.




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