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Dove va questo Paese senza Cristo
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Da giorni cerco di scrivere di quel tizio che in Val Camonica, il 16 luglio, ha carbonizzato i propri figli, di 9 e 13 anni, per far dispetto alla ex moglie. Il tizio gliel’aveva minacciato più di una volta: «Mi porto via i bambini e te li ammazzo... è l’unico modo per farti del male». Dieci volte la donna l’aveva denunciato; le denunce, e magari le intimazioni dei poliziotti e del giudice, non hanno ovviamente potuto far nulla per ridurre una tale determinazione. Probabilmente l’hanno aizzata. Ora il tizio, 40 anni, è in fin di vita all’ospedale, ustionato egli stesso sul 90% del corpo, e per quanto ne so non è ancora morto.

Cercavo di calarmi in quella personalità, in quel cuore, in quel mostruoso egoismo cieco e chiuso, e viltà senza fine. Difficile. Nel frattempo, un’altra mezza dozzina di uomini «che non accettavano la fine della relazione», come scrivono i cronisti locali, e da mesi perseguitavano le loro vittime, usavano tutti i modi per far loro paura, le hanno ammazzate o ci hanno provato. L’ultimo in ordine di tempo – ma quando avrò finito è possibile che la lista debba essere aggiornata – è il tizio, un altro 40enne, che sul lungomare di Massa Carrara fra i turisti ha sparato alla moglie (con cui aveva due figlie di 3 e 10 anni), ha sparato all’uomo di cui era geloso, forse senza motivo, credendolo l’amico della moglie, e infine s’è sparato. Anche lui già denunciato per aggressione e violenza dalla moglie, a giugno. Anche per lui «la fine di un amore che non poteva accettare». Un amore.

Mi sembrano tipiche due cose. Quando una donna ha cercato di fermarlo, prima di spararsi il tizio le ha detto pallido e tremante, «Salutami tanto i miei, salutami tanto la mia mamma». La mamma.

L’altra è che il tizio aveva – come dubitarne? – il suo profilo su Facebook. Dove aveva postato il suo autoritratto e programma: «Perdono molto ma non tutto! Dimentico subito ma non sempre! Non porto rancore ma detesto chi mi prende in giro!». Questo si credeva buono, si credeva vittima: autorizzato a niente perdonare a portar rancore fino all’omicidio. C’è anche un’altra frase: «Si sbaglia sempre. Si sbaglia per rabbia, per amore, per gelosia. Si sbaglia per imparare». È di Bob Marley, la frase: narcisismo che deve prendere a prestito le parole. Tipico, mi sembra.

Nel frattempo è stato arrestato un trevigliano di 54 anni che tre giorni prima ha cercato di ammazzare l’ex moglie con l’accetta: provocandole danni irreversibili alla scatola cranica e alla spina dorsale. Pare lui non pagasse gli alimenti; che certo sono gravosi. Ha pensato di risolvere il problema.

Come tutti i verbalismi di sinistra – ossia ideologici – la parola «femminicidio» non spiega nulla, è uno pseudo-concetto, e mira solo ad auto-giustificazioni femministiche, «le donne» come vittime di classe di nuovo tipo. Infinitamente più feconda mi sembra la chiave interpretativa della «invasione verticale dei barbari». Questi cinquantenni che sparano alle donne con cui avevano relazioni o matrimoni, questi quarantenni che carbonizzano i loro figli, quaranta-cinquant’annni fa erano neonati e bambini: bambini da educare, che non sono stati educati. Barbari che sono nati tra noi (non venivano da fuori), a cui insegnare la civiltà, di cui non sapevano nulla. Ebbene: mamme e donne, padri, scuola, società tutta non gli hanno trasmesso la civiltà. I barbari innocui quando avevano cinque o dieci anni sono diventati adulti, restando barbari. E non può stupire che barbari adulti ammazzino chiunque a loro appaia opporsi ai loro impulsi primari e primordiali. Impulsi che non sono stati educati a disciplinare. Anzi che sono stati educati – al contrario – a soddisfare, a far fiorire, a coltivare ed esaltare come «libertà conquistate». Come «conquiste» della società permissiva, secolarizzata, emancipata dai terrori instillati dall’oscurantismo religioso, finalmente «superato»: l’aldilà non esiste, fate ciò che volete! Godete e divertitevi!

Il risultato è un tipo umano che, a 50 anni, è ancora «il bambino viziato». Ortega y Gasset ha vivisezionato questo tipo in un saggio che dovrebbe essere reso obbligatorio in tutte le scuole, a tutti gli educatori e ai politici: La Ribellione delle Masse.

Viziare qualcuno è «non limitare i desideri, dare a un essere l’impressione che tutto gli è permesso e nulla gli è imposto. A forza di risparmiargli ogni pressione dell’ambiente, ogni scontro con gli altri esseri, arriva a credere effettivamente che soltanto lui esiste; si abitua a non tener conto degli altri, soprattutto a non considerare nessuno come superiore a sé».

Impressionante nella sua completezza l’identikit che Ortega stila in anticipo di questi ammazza-donne, vertice mostruoso dell’uomo-massa.

«Vive nella civiltà come il selvaggio vive nella Natura», convinto che i prodotti che gli viziano la vita (l’auto, i medicinali, il sistema giuridico, la polizia eccetera: l’organizzazione materiale e sociale di una civiltà avanzata) siano dati «naturali»; mentre sono il risultato «di sforzi geniali di individui eccezionali» vissuti nel passato. Di conseguenza, non si sente responsabile di mantenere la civiltà.

«Si sente perfetto», e «non esige nulla da sé stesso»; inoltre, «la sua vita manca di programma». «Indocile, non sa farsi dirigere». E questi barbari non sono pochi: sono legione – sono orda – e questa orda «ha l’audacia di affermare il diritto alla volgarità e lo impone dovunque. La massa travolge tutto ciò che è differente, egregio, qualificato, selezionato». L’orda dei barbari verticali impone dovunque il suo livello – basso – e le sue «idee», che poi non sono idee, dato che questo tipo umano «è costituito di meri idola fori», di luoghi comuni che ha ascoltato nella piazza del mercato, tipicamente (ma non solo) la tv.

Figurarsi oggi che a questo barbaro viene insegnato, da tutte le agenzie pubbliche, che lui, per il solo fatto di essere adulto, ed avere quindi increzioni aumentate di testosterone (se donna, follicolina) ha «diritto all’amore», diritto al «sesso felice»: sesso reso più «libero e felice» dalla separazione legale e dalla «conquista del divorzio». Poi scopre che il sesso è rapporto con l’altra, quindi sempre difficile e problematico; un’altra che spesso è insopportabilmente ineducata in quanto neo-barbara, e che non interessa di lei nulla, se non gli organi sessuali (che lei espone seduttivamente, come le è stato insegnato); scopre che il divorzio sarà anche una «conquista», ma solo per gli attori da rotocalco, che hanno i soldi: per le persone comune è un disastro costoso, un cumulo di spese, di rancori, di liti avvocatizie e di devastazioni familiari, di ritorni a casa dalla mamma a 40, a 50 anni, eccetera. Scopre, il barbaro, che la vita che gli era stata promessa facile, godereccia e libera, è irta di spine, rabbie, egoismi barbarici che si scontrano, duri come pietre, contro il suo egoismo infantilmente primitivo. e siccome è «adulto», ha «diritto al porto d’armi». E spara.

Nessuno gli ha detto che l’amore sessuale non è un diritto generale ma un premio raro e un veleno sopraffino, per Tristani ed Isotte e dannati di lusso. Che «fate l’amore e non la guerra» è il contrario della verità, l’amore essendo guerra e inducendo guerra. Ma se qualcuno glielo dicesse, come appunto fa ancora la Chiesa, la sua reazione è di rabbia e rivolta, revulsione: «Vuole togliermi un mio diritto! A morte!».

Come si vede, l’uso della categoria «barbari verticali» spiega ciò che «femminicidio» non spiega. Va molto oltre, nella spiegazione dei nostri immani problemi, del «femminicidio» o d’altri ideologismi scemi a ipocriti. Come schema interpretativo, comprende benissimo anche il macchinista spagnolo di alta velocità che ammazza 90 passeggeri: da barbaro verticale, che non capisce l’eccezionale potenza e rischiosità del mezzo che gli è stato dato nelle mani dalla civiltà avanzata; un neanderthaliano alla guida sarebbe stato sicuramente più cauto, perché il neanderthaliano aveva appreso dalla vita che la vita è limitazione, fatica, sottomissione alla fame al freddo, difficoltà e non facilità assoluta, men che meno velocità senza limiti e sesso senza limiti...

Ortega y Gasset, davanti al macchinista della sua Spagna, non avrebbe avuto dubbi: ecco un barbaro non-civilizzato, che è stato viziato dalla civiltà stessa. «Un uomo di seconda classe, limitatissimo», che ha questo di fatale: «È incapace di conservare l’organizzazione stessa che dà alla sua vita questa ampiezza e soddisfazione su cui si fonda tale affermazione della sua persona».

Incapace di conservare la civiltà. È questo l’allarme che lanciava Ortega: «La massa, per desiderio di vivere, tende sempre a distruggere la cause della sua vita». Con la profezia definitiva:

«Se questo tipo umano continua ad essere il padrone d’Europa ed è colui che decide, basteranno trent’anni perché il nostro continente retroceda alla barbarie».

Da quando queste parole furono scritte (1930), di anni ne sono passati tre volte 30. Che significa?

Che ormai sono molte generazioni di barbari verticali, non-civilizzati, che hanno figliato barbari-non civilizzati: figli e nipoti di barbari hanno occupato tutto lo spazio, non civilizzati. Ed hanno devastato la civiltà, quella materiale e tecnologica, come quella giuridica e sociale, senza manco accorgersene: giudici-barbari che hanno distrutto il diritto, politici che hanno distrutto l’economia e vivono solo per locupletarsi, industriali che preferiscono vendere le loro ditte e diventare rentiers, statali che non lavorano, professori della Bocconi che si rivelano ignoranti come scarpe, «intellettuali» con falle culturali mostruose, medici approssimativi (ma del resto assunti come precari: tutti i soldi della Sanità vanno agli «amministratori»), incidenti d’auto idioti dovuti ai telefonini... è un’immensa marea di irresponsabilità, aggravata dalla vacuità e dalla generalizzata sensazione che siamo «in vacanza», che abbiamo «diritti acquisiti» e che non dobbiamo far niente per mantenere la civiltà.

Altro che femminicidi. Questa è una rovina generale, di cui i femminicidi non sono che sintomi fra gli altri. Quelli sono amebe morali, vermi ignobili e caratteri di palta; ma non diversi dai politici alla ribalta nell’ora presente, tragica, forti coi deboli e senza energia davanti ai poteri forti; sono narcisisti forsennati, vivono di rancori e di invidie, come tutti; si sentono perduti davanti ad ogni scacco esistenziale. Al punto di non voler più vivere.

Ho sentito che a Rimini, l’altro ieri, una donna a cui è stato diagnosticato il cancro, s’è uccisa buttandosi dal 9° piano. Questo tipo di suicidi spesseggia. Ed ora si reclama a gran voce il «diritto alla buona morte», un magistrato è andato in Svizzera per farsi eliminare «legalmente» perché si credeva colpito da una malattia incurabile: si è poi appurato che era un malato immaginario, un pazzo o un cretino nichilista; ma viene proposto come figura esemplare, che ha combattuto per «il diritto all’eutanasia anche in Italia». Perché «l’unico Paese ancora in ritardo», eccetera eccetera.


Anche il concetto di “barbaro verticale” non basta in sé, rimanda ad una causa più profonda. Occorre spiegare come mai la società italiana ha lasciato crescere nel suo seno le ondate successive di barbari verticali, come mai ha cessato di trasmettere loro la civiltà, di educarli; come mai è diventata incapace – o priva di volontà , ossia colpevolmente inabile – a «consegnare» ai figli e nipoti le scoperte duramente guadagnate della civiltà. «Consegnare», in latino, si dice «tradere»: e come ha notato Ortega, il progressismo ideologico è «incapace di trasmettere il progresso».

Come sentiamo oscuramente tutti (anche se i più lo negano a se stessi, in malafede), a generare questi mostri è l’allontanarsi delle masse umane da Dio, la discessio che Paolo addita come prodromo anticristico (1). La svalorizzazione di ogni anche piccolo sacrificio, di ogni autodisciplina, di ogni sforzo; la disabitudine ad esaminare la propria coscienza di fronte ad un Padre che ci giudica da dentro e da sopra, la perdita del senso della vita come croce da portare con pazienza, della solidarietà fra uomini; per contro, il piacere come scopo da perseguire, la perdita della vergogna per sentimenti come la vanità o l’invidia e il rancore, che un tempo ci insegnavano a considerare ignobili – tutto questo ha un’ovvia ricaduta in forma di disordine sociale, di peccato incancrenito e collettivo in «strutture di peccato»; in arretramento della civiltà, e financo del benessere.

Detto in breve, questa crisi è una crisi di santi. Non solo le masse non sono più quel che erano quando nutrivano la fede – «gli umili» – e non si sforzano di perseguire un minimo di santità personale, non avendo più alcun timore dell’aldilà, convinti e contenti della propria natura zoologica; mentre dimostrano, con le loro azioni aberranti, che l’uomo non è una creatura zoologica; non può tenersi al livello zoologico, e quando rigetta la sua vocazione, scende al livello cui nessun animale giunge, al livello del mostro morale.

Ma crisi di santi è in altro senso. Soprattutto, mancano i santi tra noi, coloro che si offrono volontariamente in sacrificio «per il popolo»; le anime eroiche che, con estremo coraggio, salgono deliberatamente sulla croce per sviare la mano della Giustizia divina.

Dio, che rispetta ogni nostra volontà, non «forza» questi suoi atleti; sono loro che si offrono per noi. Per cinquant’anni l’Italia ha avuto padre Pio, uno che ogni mattina ripeteva la Messa sapendo che avrebbe sofferto le stesse prove del Crocifisso. A chi gli domandava cosa fosse la sua Messa, rispose: «Un sacro miscuglio con la passione di Gesù. tutto quello che ha sofferto nella sua passione, indegnamente lo soffro anch’io». E una precisa notazione, rivelatrice: «La mia responsabilità è unica al mondo». Gli chiesero perché tremava quando saliva, all’introito, all’altare: prevedendo quel che doveva soffrire? «Non per quello che devo soffrire, ma per quello che devo offrire».

Per i nostri peccati, per i vizi. È incalcolabile, e non lo sapremo mai quaggiù, quanto questo Paese è stato tenuto e salvato dai suoi santi, dagli eroi che si sono offerti in sacrificio per noi. Come la Polonia da padre Kolbe – cui la Vergine, da piccolo, offerse due corone, e scelse anche la rossa oltre la bianca – dalla Faustina Kowalska.

«Ho visto la collera di Dio sospesa sulla Polonia», scrisse nel gennaio 1938: «... Sono rimasta terrorizzata quando il Signore ha scostato appena un poco il velo! Ora vedo chiaramente che sono le anime elette a salvare l’esistenza del mondo, fino a quando la misura sarà colmata».

Ci sono ancora abbastanza santi, segreti crocifissi tra noi? O la misura è colmata? Quanti ancora si offrono per noi, domanda che dobbiamo rivolgere a noi stessi, così sfuggenti al dolore? Pilastri reggono la nostra società, che non vediamo; speriamo solo che ne esistano ancora.

Il farsi più frequente di omicidi, femmincidi e suicidi da viltà e da odio e da lussuria urlante par suggerire che le architravi invisibili siano ogni giorno più corrose da questi barbari, che si fanno strumenti del satanico – e che urlerebbero di rabbia se questo discorso, che stiamo facendo, giungesse loro. Si fanno più spessi i martirii dei cristiani; ce ne dev’essere il bisogno. Occorre forse compensare metafisicamente la perdita di contrafforti di resistenza?

Faustina, un giorno del 1934: «...dopo l’adorazione che si teneva per la nostra Patria, un dolore mi strinse l’anima e pregai in questo modo: Gesù misericordiosissimo, (...) benedici la mia Patria. Gesù, non guardare i nostri peccati, ma guarda le lacrime di tanti bambini, la fame e il freddo che soffrono. Gesù, per questi piccoli innocenti, dammi la grazia che Ti chiedo per la mia patria».

Terribile, e comprensibile solo nella fede – la fede nel Crocifisso – la risposta di Gesù: «Vedi figlia mia quanto mi fanno pietà! Ma sappi che sono loro che sostengono il mondo!». Il dolore dei bambini, la sofferenza innocente ha la sua insostituibile funzione nell’ordine del Regno; solo un giorno sapremo quanto dobbiamo loro, e arrossiremo. E c’è da tremare a constatare la forza maligna che nel nostro tempo insidia quelle innocenze, le sporca anzitempo con seduzioni sensuali, «sessualizzazioni» e cattivi esempi: la forza acutamente ci erode una architrave, toglie alla comunità forze spirituali su cui invisibilmente poggia.

Dobbiamo svegliarci, credo. Aggrapparci all’Eucarestia e alla Misericordia. E ricordare il nostro catechismo: poiché lo scopo dell’uomo sulla Terra è «adorare, servire ed onorare Dio qui, e goderlo in Cielo», una umanità che non adempie più a questo scopo, finisce. Come sale diventato insipido, non ha più ragione di calcare la Terra. È già successo, nei diluvi, nelle Torri di Babele. Abbiamo sostituito altre umanità di cui non resta che qualche frammento di leggenda.

«Quando tornerà il Figlio dell’Uomo, troverà ancora la fede sulla terra?».




1) È la celebre 2da Tessalonicesi: «Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio». «Apostasia», nel latino della Vulgata, è tradotta con «discessio». Fatto molto significativo: i «cristiani rinati» all’americana, i fanatici millenaristi non denominazionali, filo-isrealiani perché credono di accelerare il secondo Avvento , leggono «discessio» come «rapture», e vi vedono una profezia del rapimento in cielo di loro, che sono i buoni e gli eletti. Prima della «rivelazione dell’Iniquo», avverrà la loro «rapture», il loro rapimento in cielo che gli risparmierà la «grande tribolazione» che colpirà tutti gli altri uomini.

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