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Renzi ha fallito! E tutti contenti…
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Già il 3 agosto Eugenio Scalfari (il miliardario del Papa) aveva liquidato Renzi prima di tutti: «Forse l’Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale». Ricorrendo al classico schema l’italiano che chiama in patria lo straniero, per farsi governare da lui – nell’illusione che sia meglio dei suoi. Che «i suoi» siano disastrosi, che questo Paese sia nel complesso incapace di autogoverno e di esprimere una qualunque classe dirigente, è un fatto. Che la Troika sia la soluzione, è demenziale. La Troika non fa gli interessi degli italiani (o dei greci); fa gli interessi dei creditori. E li fa, per giunta, malissimo: obbedendo ad un’ideologia la cui fallacia – dopo 7 anni di crisi europoide – dovrebbe essere chiara a tutti: austerità, deflazione, tagli lineari, «risparmiate all’osso per pagare i debiti», nessuna capacità d’immaginare politiche di rilancio (troppo sforzo intellettuale). La Troika ha fatto bruciare alla Grecia un terzo del prodotto interno lordo in cinque anni. Ci riusciamo anche da soli, grazie.

Resta vero che gli italiani sono periodicamente invasi ed occupati da stranieri, spesso chiamati da una fazione italiana contro l’altra; e oggi l’occupazione non è politica, ma economica. Come sapete non si fa più con gli eserciti (che vengono male in tv), ma con la compra dei beni e dei gioielli del Paese occupato (cinesi ed arabi si danno agli acquisti di tutto ciò che fa profitto o può darlo in futuro, e i cosiddetti imprenditori italiani vendono volentieri: i profitti, per naturale conseguenza, lasceranno il Paese). L’altro occupante è il potente «fratello europeo» che ci impone una moneta troppo forte perché fa comodo a lui, una deflazione criminale che è una causa primaria della nostra recessione, e – soprattutto – che ci impone il gioco secondo regole che non sono le nostre, sapendo benissimo che così ci rovina come concorrenti.

E noi ci siamo lasciati imporre il gioco – tanto crediamo al prestigio di chi ci dà le direttive, perché è straniero e non è un cialtrone come (lo sappiamo) siamo noi. Il gioco è inserito nel grande obbligo del liberismo: tutti i vostri sforzi – ci viene prescritto – siano volti a scatenare gli «animal spirits» del capitalismo, del «gusto del rischio» imprenditoriale... lo sforzo sia di togliere, sbloccare il lavoro troppo «protetto», snellire la burocrazia che vi ostacola.

Benissimo, è anche vero. Salvo un piccolo particolare: gli «animal spirits» in Italia sono storicamente asfittici. Gli «imprenditori» non hanno il «gusto del rischio» nemmeno nei leggendari Stati Uniti, figuratevi da noi. Da noi, non riescono a superare la misura familiare, non hanno cultura, non hanno onore e non hanno capitali – né la minima voglia di usarli, se ne possiedono. Capitalisti privati, da noi? Qualche nome: Calisto Tanzi (Parmalat), Ligresti, i capitani coraggiosi che si son visti regalare Alitalia e l’hanno ridotta dal male al peggio. È tutta gente incapace, senza la minima idea né visione oltre il suo naso, che aspira a vivere di rendita distruggendo il capitale che ha in mano (spesso prestato dalle banche, mica loro).

Ha ragione Nicola Porro del Giornale (questo articolo sarà folto di citazioni): «È un problema che potremmo definire ottocentesco: non ci sono capitalisti italiani. E quei pochi che ci sono si fanno i loro affari. Giustamente. Le operazioni di sistema, sulla carta ottime, sono fatte con i soldi delle banche, cioè dei correntisti, e quelli dello Stato, cioè dei contribuenti». Ad essere giusti, i nostri imprenditori hanno una qualità speciale, che non si trova altrove: la capacità di colludere coi sindacati per ottenere «la pace sociale» (aum aum). È un vantaggio competitivo, però, che non è richiesto all’estero.

Questo per dire che sì, bisogna stroncare il parassitismo pubblico ostacolante e liberare il lavoro dai ceppi, ma senza credere che ciò risvegli gli animal spirits: non ci sono, né mai ci sono stati, da noi. In Italia, è stato lo Stato che ha avuto la visione e l’ha data. Ciò, nei rari suoi momenti migliori, giustamente oggi bollati come il Male Assoluto. Il punto è che non solo oggi lo Stato non ha più la competenza, né la minima rettitudine richiesta. Ma anche se l’avesse o la recuperasse, l’Unione Europea e il Protettore USA con i suoi gendarmi della globalizzazione liberista, FMI, WTO eccetera, non lo permetterebbero. Questo voglio dire: siamo costretti a giocare un gioco con le regole che vogliono loro, con la moneta che vogliono loro, con gli handicap che ci hanno messo addosso; per forza siamo smarriti e diretti verso il collasso finale dell’economia. Quello che finisce con le file di mendicanti davanti alle mense popolari, in concorrenza coi rom (che ti passano sempre avanti, difesi dai magistrati e dalla Caritas).

E sì che persino il professor Deaglio (Mario, quello meno cretino della famiglia), su La Stampa, evoca quella cosa lì che non si può nemmeno nominare, il dirigismo «Le cose cambiano davvero solo se esistono vere politiche di cambiamento. Anche la signora Thatcher, con tutto il suo iper-liberismo, impostò alcune linee guida per lo sviluppo dell’economia. Queste linee sono carenti nel programma di governo, ma, peggio, sono totalmente assenti dal dibattito pubblico». Come sempre, come troppo spesso, ricordiamo la corea del Sud: 45 milioni di abitanti e multinazionali di enorme successo globale, che mica sono il frutto del «liberismo»; sono il frutto delle direttive di Governi intelligenti, e soprattutto premuti dalla necessità di primeggiare da – da osa? – ebbene sì: dallo stato di guerra con il Nord. Che consente, se necessario, misure da stato di guerra.

In Italia c’è la guerra ormai da anni, ma non c’è stato di guerra. Tutto ciò che ostacola il Paese – i «diritti acquisiti» dei parassiti pubblici, le carte e le tasse, per non parlare del Parlamento – sono «legali»: hanno occupato la legalità. Quando la legalità è occupata da un potere illegittimo, la sola cosa da fare è la rivoluzione. Anche una rivoluzione dall’alto, che consenta di scavalcare la legalità con misure di guerra: il licenziamento, poniamo, di quei cialtroni criminali che non restituiscono i bagagli a Fiumicino ai turisti – turisti che non vedremo più. La decimazione senza pensioni dei burocrati più costosi del pianeta. Su fino ad arrivare alla chiusura del Parlamento, sostituibile comodamente con la legislazione che viene emanata dal Canton Ticino, da adottare senza discussione (è anche in lingua italiana).

Ma stiamo sognando. La realtà è davanti a noi «La recessione è tornata!», strillano i media (come se fosse mai andata via…), e tutti che fanno? Sono lì a dare la colpa a Renzi. E gongolare perché ha fallito, ed ora «arriva la Troika». Tv7 ha persino schiodato dalla bara Bersani, che gongolava degli errori di Renzi, ma non ha voluto dire che cosa avrebbe fatto lui al suo posto: forse perché non lo sa. A giudicare dalla sua inarticolata pochezza («tagli lineari no, redistribuzione okkèi... ma non così...») e a giudicare soprattutto dal fatto che, quando ha governato, ha obbedito a Monti, ossia alla Merkel, colpito i taxisti e i benzinari e fatto pressapochiste rovine.

Ora, diciamola tutta: Renzi è un parolaio. Ha fatto solo annunci di riforme. Ma anche solo per gli annunci ha avuto tutti contro, ostacoli, resistenze passive dei grand commis, della Corte costituzionale, delle magistrature, dei fancazzisti, del suo stesso partito. Pensate se avesse fatto una sola vera riforma; probabilmente sarebbero risorte – dai meandri del fancazzismo pubblico – le Brigate Rosse a sparacchiare e gambizzarle Renzi e i suoi giovani e buffi Ministri. Non si può fare nulla di serio, perché l’apparato rema contro, frena, annulla i provvedimenti ed ha tutti i mezzi «legali» per farlo. E perché «piccole categorie di lavoratori sono pronte a bloccare tutto», come i portabagagli di Fiumicino: delinquenti comuni non licenziabili, difesi dai sindacati.

E poi è bella questa Italia: dopo solo 33 settimane, un governicchio prima adulato ed esaltato alle stelle viene gettato nelle stalle: chiamiamo la Troika, cambiamo verso, che bello che Renzi ha fallito, se lo merita, è così presuntuoso... d’accordo, ma 33 settimane sono meno di un anno. In questa Italia bloccata, dove ognuno sta attaccato al suo ottuso, microscopico particolare (ed ha pure ragione, perché gli altri cercano di fotterti), che miracolo vi aspettavate? Il Governo Monti è durato dal novembre 2011 a fine aprile 2013, sempre incensato dai media mainstream. Persino il Governo Letta è durato di più. E durante questi governi, il Pil italiano è stato negativo ancor più che oggi. Vi posto una tabella di un nemico di Renzi, Maurizio Gustinicchi (Economia5Stelle).



A me sembra che questa tabella vada a favore di Renzi: potrebbe persino vantarsi di stare riducendo la caduta annuale del Pil. I suoi predecessori hanno fatto peggio

Anzi, ecco un’altra tabella del nemico di Renzi, Gustinicchi:



Essa mostra come l’Italia abbia distrutto capitale, e ne investa sempre meno. Una caduta ineluttabile, che ci sia Renzi o Monti (anzi...). È che abbiamo voluto stare in Europa, giocare secondo le loro regole, anche se abbiamo un’altra storia, un altro modo di giocare. È che (cito da Scenari Economici) che «la ricetta dei Governi degli ultimi 4 anni è completamente fallimentare e non poteva essere altrimenti, essendo vincolata:

- esternamente da politiche di bilancio eterodirette in modo insensatamente rigido, e da una moneta supervalutata rispetto alle nostre capacità competitive.

- internamente da un blocco sociale parassitario composto da una fetta della Pubblica Amministrazione, dai sindacati e dalle Regioni che impediscono ogni riforma effettiva.

Da questa crisi si esce in due modi, o con un mix dei due:

a) Uscendo dalla gabbia dell’euro e delle politiche di bilancio europee, in modo da poter riallineare la moneta con la nostra realtà competitiva, facendo pagare a tutti, anche se sarebbe più giusto far pagare in particolar modo a qualcuno, lo scotto della nostra inefficienza.

b) riformando radicalmente lo Stato non con le finte riforme della PA ma con una reale e profonda riforma che affermi un principio essenziale in questo momento: le esigenze della parte attiva della società vengono prima di quelle della pubblica amministrazione, che deve cessare di essere un inutile freno ma deve esistere in questa fase solo ed esclusivamente per essere un incentivo ed un aiuto a quei pochi cittadini che si intestardiscono nel voler investire e condurre un’attività economica in Italia.

Sogni, ancora sogni.

Il sognatore di cui sopra sta sognando – che Dio ci scampi – due decisioni politiche. Addirittura sovrane. Ovviamente, sono anche due decisioni «illegali», perché è illegale uscire dall’euro, ed illegale ridurrei parassiti pubblici al servizio dei cittadini: si scontra coi loro «diritti acquisiti», con la loro «autonomia», si viene inceneriti dalla Corte Costituzionale se ci provate.

Decisioni? Qualunque politico che provi a proporle avrà contro tutti, la Magistratura lo incarcererà preventivamente cercando poi un’accusa, e il popolo italiano sparso qua e là a dire la sua, e criticare, a prender le distanze...

Fra la canea, si distinguono i sarcastici che «Ora direte che è tutta kolpa dei kattifi tedeski...». No. Non è «tutta» colpa dei tedeschi. Ma è anche colpa dei tedeschi.

Sono loro che obbligano la BCE alla deflazione, ossia a violare il suo proprio mandato del 3% d’inflazione



È questa deflazione, più grave nel nostro Paese che in Germania, a rendere impossibile ogni recupero del debito pubblico; puoi anche tagliare e fare le spending review, ma il debito in rapporto al Pil aumenta, meccanicamente e ineluttabilmente , per la sola deflazione. Senza aggiungere che la deflazione congela i consumi, già artici da noi.

Furbi, questi tedeschi? Un’altra citazione:

«Qualche ora prima del (disastroso) dato sul PIL italiano, l’istituto di statistica tedesco ha fatto sapere che in giugno la produzione industriale germanica è crollata del -3,2%, dopo che a maggio era stata già del -1,6%. Cosa sta accadendo alla potente locomotiva teutonica? Elementare: i Paesi in deflazione in eurozone aumentano e non consumano più quanto avrebbero voluto e desiderato gli amici tedeschi: -10,2% l’export verso il resto della UE. Questa è la volta buona che dovranno DAVVERO cominciare ad esportare verso Cina ed India, essì, perché sino ad oggi ci hanno raccontato BALLE COLOSSALI: la sola Grecia, ai tempi belli, importava dalla Germania 4 volte più dell’India (12 milioni di abitanti contro 1200), mentre con la Cina la bilancia commerciale germanica è stata SEMPRE in passivo strutturale, tra i 20 e i 30 miliardi di dollari l’anno….Beata ignoranza: ti dicono che l’asino vola e anziché informarti provi a volare anche tu» (Roberto Nardella).

Non si potrebbe dir meglio. Dopo 33 settimane, «il modello non funziona», proviamo il modello opposto. Prima: «Tagli!», ora: «Basta tagli!». Proviamo la Troika.

Ma no, anzi. La recessione ormai è in secondo piano, delle soluzioni non si parla nemmeno – un’altra tragedia italiana commuove le masse e specialmente i media:

Le stronzette di Aleppo

Vanessa e Greta. Anni 20 e 21. Andate in Aleppo presso i ribelli an ti-regime per un progetto umanitario. Progetto che, a quanto è dato dedurre, consisteva in questo: farsi dei selfie e postarli sui loro Facebook: su sfondi di manifestazioni anti-Assad, sempre teneramente abbracciate («Inseparabili», lacrimano i giornali), forse per fare intendere di essere un po’ lesbiche (è di moda), nella città da tre anni devastato teatro di una guerra senza pietà e corsa da milizie di tagliagole. La loro inutilità in un simile quadro è palese dalle loro foto, teneramente abbracciate, con le loro tenere faccine di umanitarie svampite – convinte di vivere dalla parte del bene in un mondo che si apre, angelicamente, grato e lieto al loro passo di «volontarie».

Una superfluità che i giornali traducono così: «Le due ragazze avevano deciso di impegnarsi in prima persona per dare una risposta concreta alle richieste di aiuto siriane». Vanessa è «studentessa di mediazione linguistica e culturale», Greta «studentessa di scienze infermieristiche»: niente-popò-di-meno! Che fiori di qualifiche! Due studentesse (m’hai detto un prospero!) che «bussando a varie Onlus erano riuscite a far finanziare il Progetto Horryaty, da loro fondato». Secondo una responsabile della Onlus che ha sganciato i quattrini alle due angeliche, «il loro progetto era finalizzato ad acquistare kit di pronto soccorso e pacchi alimentari, da distribuire al confine». Ostrèga, che progettone!

Nella loro ultima telefonata «chiedevano altri fondi». Pericolo per le loro faccine angeliche, o le loro tenerissime vagine? No, erano sicure: avevano capito una volta per tutte che i cattivi erano quelli di Assad, e loro stavano coi «buoni», i ribelli. E i buoni garantivano per loro. Si sentivano protette. Nell’ultima telefonata hanno detto che «avevano l’intenzione di restare lì».

Un Paese serio le abbandonerebbe ai buoni, visto che l’hanno voluto impicciandosi di una guerra non loro di cui non capiscono niente, in un mondo che a loro sembra ben diviso tra buoni e cattivi. Tutt’al più, candidarle al Premio Darwin (per inadatti alla lotta per la vita), eventualmente alla memoria... Invece la Farnesina s’è sùbito attivata, il che significa una cosa: a noi contribuenti toccherà pagare il riscatto che i loro amici, tagliagole e criminali, ossia buoni, chiederanno. E siccome le sciagure non vengono mai sole, queste due torneranno vegete, saranno ricevute al Quirinale, i media verseranno fiumi di tenerezza, e pontificheranno da ogni video su interventi umanitari, politiche di assistenza, Siria e buoni e cattivi di cui hanno capito tutto una volta per tutte. Insomma, avremmo due altre Boldrini.

I corvi sono cambiati

Ma sì, cambiamo discorso. Avete notato i corvi? Intendo proprio quegli sgradevoli uccellacci dal forte becco malvagio, da divoratori di pattume. Quando io ero piccolo, a Milano i corvi non c’erano, ne sono sicuro. In Italia c’erano le rondini e i rondoni, che riempivano il cielo di grida d’estate. I corvi non me li ricordo.

Fatto sta che adesso ci sono, sono tanti, becchettano immondi nei prati, si avventano sulla spazzatura, stanno scacciando uccelli più piccoli e simpatici, come i merli. Pazienza. Il punto è che qui a Milano hanno cambiato aspetto, in modo inquietante. I corvi sono sempre stati neri, spesso nerissimi, del colore dei velluti da pompe funebri, il nero mortuario, ed era già spiacevole. Adesso, quelli che vedo hanno sulla schiena fra le alacce una vasta chiazza di piume più chiare, marroncine... come descrivere quell’orribile colore? Un colore come quello delle jene, un colore che li fa sembrare calvi come certi avvoltoi africani; quel tipico lurido colore degli animali addetti, nell’ordine della natura, a ficcare il collo nella putrefazione, gli scavenger. Sembra che abbiano un sinistro scialle, come se si fossero buttati addosso uno strofinaccio lercio, un brandello di sudario lurido, afferrato spogliando non so che cadaveri abbandonati da qualche parte... sono anche più strafottenti e più aggressivi, se ne vanno nei prati camminando caracollanti con supponenza sulle loro zampette artigliate, non si lasciano scacciare facilmente, ti puntano addosso i loro occhiacci da ratto di fogna – oso dirlo – con sfida. Non so se siano una nuova specie che ha scacciato la precedente, quella nero-funerale, o sono quegli stessi che stanno cambiando colore, per una mutazione indotta dal cambiamento climatico, o dall’Italia che sta diventando a tal punto terzo mondo, da aver bisogno di scavengers, di sciacalli pennuti. Non lo so, domando.



Prima di darmi del visionario, guardate attentamente i corvi: sono cambiati, da voi?


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