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Anch’io voglio diventare un grand commis avariato
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Resta una domanda insoddisfatta: come si diventa un Giancarlo Giannini? No, non l’attore di fama internazionale, perché qui la risposta è facile: bisogna essere bravi. No, intendo il presidente dell’ISVAP – che sarebbe l’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni – definita come Istituzione «indipendente» però «dello Stato», ossia pagato carissimo da noi contribuenti. È quel Giancarlo Giannini a cui lo Stato aveva dato il compito di vigilare, e che per decenni non ha vigilato sull’impero assicurativo di Ligresti, aggravando la bancarotta, e in cambio chiedeva a Ligresti una buona parola con Berlusconi onde, finita la carica e lo stipendione all’Isvap, potesse saltare su un altro stipendione un’altra «authority indipendente» , tipo Antitrust. Intendo quel ripugnante Giannini che, dopo essere stato K-e-camicia con la famiglia Ligresti e averne coperto le malversazioni a danno degli azionisti, all’ultimo, per salvare se stesso, ha denunciato i Ligresti alla magistratura perché «ostacolavano l’attività di vigilanza»… quella vigilanza che lui non ha mai fatto.

Signori, la domanda è seria: come si fa a diventare un Giannini?

Ve lo confesso, perché anch’io vorrei diventare un grand commis avariato a 300 mila euro annui più benefit ed ufficio presso il Quirinale. D’accordo, io sono vecchio ormai per la lucrosa carriera di mascalzone pubblico; ma la domanda dovrebbe interessare tutti voi, se avete figli e nipoti. Pensate al loro futuro, e avviateli fin da giovani alla sola carriera veramente redditizia ormai rimasta in Italia. Come si riesce? Quali scuole d’alta amministrazione bisogna frequentare? Oppure: quali e quanti «concuorsi» bisogna superare per essere selezionati a vigilare sulle Assicurazioni? E se, come sembra, le strade per tale ascesa ai vertici dello Stato e come «indipendenti» d’alta eticità e fuori dai giuochi non comporta alte scuole dirigenziali e nemmeno concuorsi, ponete la domanda – per i vostri figli: con quali maniglie e complicità si sale a quei posti? Chi bisogna leccare, e come? Quali prove di turpitudine e basse furbizie bisogna aver dato negli anni, per attrarre la benevola attenzione dei potenti e venir scelti da loro come «indipendenti» di tutto riposo? Ed essere ripetutamente confermati da governi di «destra» (Marzano) e di «sinistra» (Bersani) come appunto Giannini?

Il curriculum di Giancarlo Giannini non dà particolari lumi. Anzi, nonostante le mie ricerche sul web, la sua biografia è scarna, laconica. Copio e incollo, spargendo miei commenti in corsivo:

«Nato a Roma nel 1939, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’università romana La Sapienza, svolge il servizio militare quale ufficiale di complemento dell’aeronautica militare (mei cojoni!, come dicono a Roma).

Nel 1964 inizia a lavorare in Assitalia di cui diventerà poi direttore generale (come? Quello era un ente pubblico, piacerebbe sapere come si saliva in carriere). Nel 1993 diventa amministratore delegato dell’Ina (altro organo di diritto pubblico: durante il fascismo, le assicurazioni sulla vita erano affare di Stato, non del mercato) e nello stesso periodo ottiene alcuni significativi risultati: la privatizzazione della società (ecco qua dove s’è guadagnato i galloni Giannini: ha «privatizzato» il colosso pubblico, regalandolo ai privati a cui faceva concorrenza: nel caso, alle Assicurazioni Generali) con la scissione delle funzioni pubbliche e la realizzazione, nel 1994, dell’offerta pubblica di azioni di circa la metà del capitale dell’istituto.

Fra le altre cose rilancia il gruppo attraverso un profondo rinnovamento e potenziamento della rete di vendita tradizionale e riequilibra l’andamento tecnico del settore danni attraverso l’attivazione e lo sviluppo di strumenti alternativi bancari e finanziari.

Infine, Giancarlo Giannini è stato membro del consiglio di amministrazione di numerose compagnie di assicurazione italiane e straniere, nonché presidente di BNL Vita ed Eurnetcity Spa (si partecipa, si sonnecchia e si beccano grassi gettoni di presenza) Attualmente è presidente dell’Isvap, l’Istituto che svolge funzioni di vigilanza sulle imprese di assicurazione e di regolamentazione del mercato assicurativo (speriamo almeno che si sia dimesso dai consigli d’amministrazione delle società di cui è diventato vigilante…).

Ma qual è, precisamente, la competenza professionale di Giannini, quella che l’ha fatto scegliere a vigilare su tutte le assicurazioni, compito che ha svolto con grande soddisfazione dei Ligresti? Dalla qua permanenza all’ISVAP, sembra che la sua vera specialità fosse nel fare il pesce in barile. La sua vera competenza, stava nell’arte di procrastinare e rallentare la vigilanza, non sapere e non voler sapere, se proprio non vi era spinto a calci. Nel 2005, quando imperversarono i furbetti del quartierino e UNIPOL , l’assicurazione delle cooperative rosse, guidata da Consorte, cercò di incamerarsi la BNL (Banca Nazionale del Lavoro), Giannini vigilante aveva l’obbligo di dare un parere: può un’assicurazione comprarsi una banca? Giannini fece sapere che stava studiando il problema. Lo studiò per cinque mesi. Fino a quando il parere lo diede Bankitalia, altra «autorità» che doveva pronunciarsi. Avuto il parere della Banca d’Italia (favorevole: il governatore era Fazio, che coi furbetti se l’intendeva), anche Giannini emanò il parere dell’ISVAP: favorevole, chi l’avrebbe detto?

È una tattica costante, che Giannini ha usato con determinazione e successo. Ogni esposto che arrivava sulla sua scrivania, riguardante malversazioni e conflitti d’interesse in società assicurative, lui studiava il problema. Aspettando per lo più che l’altro ente obbligato a dare il parere – fosse Bankitalia, fosse la Consob, fosse un’altra Authority – rendesse pubblica la sua decisione: allora si accodava, perché il suo parere era ormai irrilevante e dunque non urtava i potenti. Molte, molte altre volte, gli azionisti danneggiati che facevano denunce all’ISVAP, se non erano particolarmente ammanicati con poteri temibili, ricevevano la risposta-standard: l’Isvap «non ha ritenuto rientrare nelle proprie competenze l'adozione delle iniziative sollecitate nell'esposto», visto che per quanto riguarda i collegi sindacali l’autorità «non rinviene specifici, diretti propri poteri di vigilanza e di intervento».

Già nel 2003 Giannini sapeva del buco miliardario che i Ligresto’s avevano aperto nella loro assicuratrice a forza di trucchi contabili, ammanchi e premi colossali assegnati a loro stessi e ai loro complici. Gli ispettori dell’ISVAP – i suoi dipendenti – gli avevano fatto un preciso e allarmato rapporto sugli «elevati livelli d'indebitamento» del gruppo, su «solvibilità negative» da oltre un miliardo di euro e su ammanchi da «650 milioni nelle riserve sinistri». Niente, Giannini non vede la necessità di vigilare. Nel 2006, Marchionni, l’amministratore delegato de Ligresti (FonSai) fa comprare a FonSai la Liguria Assicurazioni, operazione costosa e senza spiegazione. Oggi si sa, dalla deposizione del successore di Marchionni, che Marchionni acquistò la Liguria «per trovare un posto di lavoro alla sua amante». Giannini che fa? Telefona a Ligresti per chiedere il noto favore: raccomandami con Berlusconi, qui sto in scadenza, vorrei la poltrona dell’Antitrust. Fatto interessante, non la ebbe. Non è un caso, ha detto il teste-chiave Erbetta, «il fatto che Giannini ha mollato Ligresti proprio quando questi non disponeva più di quella forza imprenditoriale e politica che aveva espresso prima del 2010». Infatti Giannini denuncia i Ligresti all’autorità giudiziaria solo nel 2011: ostacolavano la sorveglianza.

Signori, almeno due cose paiono chiarissime. Una è che, contrariamente a quel che continuano a pensare troppi ingenui lettori, gli altissimi stipendi dati ai grand commis di Stato non servono ad attrarre i migliori ingegni e a pagare i più competenti. Al contrario: 300 mila ed oltre più benefit, autoblu e tutto il resto, attraggono proprio i mascalzoni superiori in specialità come «Pelo sullo stomaco» e «Ammanicamento con chi conta». C’è tutta una genia che si dice: dare 300 mila a un competente?, siamo matti? Che poi scopre che noi non siamo capaci di far nulla, abbiamo una qualunque laurea in legge alla Sapienza e nulla capiamo del campo che siamo chiamati a guidare? Facciamo rete per tenere alla larga i migliori di noi!

Si coprono a vicenda, secondo un sistema collaudato di favori ricambiati e di posti scambiati. Lamberto Cardia, presidente della Consob, è un pari di Giannini all’Isvap: la sua Consob ha permesso ai Ligresti di fare strage in Borsa; anche lui doveva «vigilare», ma con che cuore poteva? Don Salvatore Ligresti aveva assunto il suo amato figlioletto Marco Cardia, avvocato, come pagatissimo consulente. Anche se «non mi è parso un luminare del diritto» (Jonella Ligresti). Adesso, Cardia-padre è presidente di Ferrovie, dove continua a far danni come grand commis marcito. Anche Giannini ha un figlio con gran carriera in assicurazioni (Fondiaria poi FondiariaSai di Ligresti), e non basta: Giannini ha un figlio che è capo della Digos di Roma, e un fratello Mario che è – tenetevi forte – direttore generale della Banca Centrale di San Marino.

Come hanno fatto? Come si fa?, mi domando – ammetto con una certa invidia. Come si fa a salire grazie a tanti appoggi, maniglie e salvagenti, verso stipendi colossali?

L’altra domanda è: l’ISVAP, quanto ci costa a noi contribuenti? La sua inutilità come istituto statale di vigilanza, «indipendente» per di più, salta agli occhi anche ad un cieco nato. Sappiamo a malapena che Giannini prendeva 300 mila euro; quanto prendono i consiglieri, i dirigenti, i 350 (trecentocinquanta) dipendenti?

Se non ci fosse l’ISVAP a vigilare (oggi ISVASS, ma è la stessa zuppa) cosa può succedere di peggio alle assicurazioni, di quello che già è successo? Tanto vale abolire questa «authority» e, invece, porre l’obbligo di scrivere sulle polizze il detto latino : «Caveat Emptor», stia in campana il compratore. È la scritta (invisibile) che secondo gli operatori campeggia sul frontespizio della Borsa di Wall Street: caveat emptor, significa: qui non c’è legge, qui trionfano trucchi disonestà e colpi bassi, qui se ti fregano vendendoti una ciofeca, non puoi appellarti ad alcun diritto, è solo colpa tua. Stai in campana. Caveat Emptor.

Le domande possono espandersi: a che servono le altre 12 authorities statali «indipendenti» che attualmente paghiamo? Le loro migliaia di dipendenti strapagati valgono la spesa? Giudicate voi. Vi dò l’elenco da Wikipedia, giusto per ridere:

• Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) – (ah beh, questa è buona)

• Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (CGS) - (Questa è veramente umoristica: ditelo ai cittadini di Genova, che subiscono lo sciopero totale dei fancazzisti dei trasporti da quattro giorni...)

• Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM, più noto come Antitrust) - (No comment).

• Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) (Abbiamo i costi energetici più alti del pianeta...)

• Garante per la protezione dei dati personali (anche detto Garante per la Privacy) (Ah ah ah... intercettazioni a manetta).

• Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) (risata, mi scompiscio!)

• Commissione nazionale per le società e la Borsa (Consob: basta la parola).

• Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni

• Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) (Gli esodati ringraziano).

• Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) - (Ah ah ah! No per favore! Non riesco a smettere di ridere!)

• Autorità di regolazione dei trasporti (Booh bohh, mi fanno male le ganasce dal ridere).

• Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA) – (Utilissima, attivissima. Infatti abbiamo prostitute 14enni e alle ragazzine di 12 che si fotografano la patonza col telefonino e poi vendono l’immagine per una ricarica...)

Insomma, sono tutti enti inutili. E peggio: per pagare questi enti, ciascuno coi suoi presidenti a 300 mila più benefit, non ne abbiamo per pagare ricercatori, italiani bravi e competenti, che sono in Usa e persino in Svezia. Lo stipendio di Giannini da solo basterebbe a pagare un piccolo centro di ricerche avanzate; i suoi 350 dipendenti potrebbero essere sostituiti da un MIT italiano... Potremmo allevare decine di premi Nobel potenziali, produrre centinaia di brevetti, dar lavoro qualificato a cervelli oggi in fuga, creare nuove industrie basate sulle idee, come fanno coreani, cinesi (di Formosa) e americani, persino svedesi e lettoni…

Ma lo sappiamo già che non succederà mai. I grand commis putrefatti hanno occupato tutti i posti e i denari, sono lì a fare muro per difendere a vicenda la loro nullità e turpitudine. Sono «esperti in ignominia», tecnici della vergogna, e tanto basta in Italia.

Per cui la domanda resta quella dell’inizio: come si diventa un Giannini? Come posso avviare mio figlio alla carriera più lucrosa disponibile per farabutti incapaci a spese dello Stato?



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