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Dopo il Caro Leader, il buio
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«Caro Direttore, vorrei qualche informazione di ‘quelle delle tue’ sulla Corea del Nord. La descrizione di questo Paese mi sembra oberato da troppi pregiudizi propagandistici. Poche sono le cose certe leggendo qui e lì: in primo luogo l’estrema chiusura al mondo esterno (è vero che non hanno ancora internet?), l’autarchia, l’economia completamente collettivizzata salvo le joint-venture di brezneviana memoria. Dove va la Corea? Rimane chiusa nel suo isolamento o è stata già scelta un’apertura di tipo cinese? E’ di questi giorni la notizia che Kim Jong-il sta male: i suoi successori continueranno la politica di chiusura che ha fatto della Corea del Nord l’ultimo Paese rimasto dietro la ‘cortina di ferro’ o le cose cambieranno rapidamente? E quale è la posizione della Corea del Sud in tutto questo? Nessuno sembra voler dare delle risposte decenti!»

No, non sono tutti pregiudizi propagandistici quelli contro il «Caro Leader». Il personaggio ha ridotto alla fame il suo popolo, anche peggio di Robert Mugabe, caporione dello Zimbabwe. La collettivizzazione agricola da stalinismo tragicomico provoca carestie ricorrenti, che richiedono il periodico invio di aiuti internazionali.

Il regime si basa sul terrore e su una psico-propaganda da far sembrare un ingenuo George Orwell: i nord-coreani sono allevati, in un perfetto isolamento, in un miscuglio di paura («Siamo circondati da nemici»), di militarismo (il «songun», il primato militare, è  la teoria ufficiale del regime, l’equivalente nord-coreano del maoista «grande balzo in avanti») e di folle orgoglio razziale («Siete la razza più pura dell’Asia»); il regime ha infatti, non bastasse il resto, venature razziste.

E’ ovvio che internet non abbia corso là; pochi avrebbero i mezzi per comprarsi un computer, e le linee telefoniche sono quelle degli anni ‘30. Le informazioni sono davvero poche, e per lo più vengono dal NIS (i servizi sud-coreani).

Basti dire che l’agenzia sud-coreana Yonhap, a proposito del presunto malore (si dice emorragia cerebrale) di Kim Jong-il, pubblica come informazione valida la seguente: «Kim è in grado di spazzolarsi i denti senza aiuto» (l’avranno saputo da un cameriere?).

La gravità della situazione (e il buio che circonda il regime) è testimoniata anche da questo fatto:  il presidente sud-coreano, il conservatore Lee Myung-bak, ha rinunciato alle vacanze (le feste di Chusok) per restare nella Casa Blu, il centro presidenziale, dove ha convocato una riunione di emergenza per essere pronto in caso di un passaggio dei poteri nella vicina dittatura, che ha un esercito di 1,1 milioni di uomini, un paio di testate atomiche, e che è pur sempre teoricamente in stato di guerra col Sud.

Il passaggio dei poteri può essere traumatico, ed anche imprevedibile.

Quando il Caro Leader successe al padre Kim Il-sung nel ‘94, il «giovane» (aveva allora 52 anni) era già stato preparato al comando da papà, che l’aveva nominato capo delle forze armate - la vera stanza dei bottoni del potere - e solo dopo è stato acclamato segretario generale del Partito.

Visto questo precedente, l’attenzione dell’intelligence si appunta sui figli di Kim Jong-il, cercando  di indovinare qual’è il prescelto alla successione della monarchia comunista.

Il primogenito, Kim Jong-nam, 37 anni, sembrava essersi squalificato da sè quando, sette anni fa, atterrò all’aeroporto Narita di Tokio con la famigliola, esibì un passaporto domenicano e spiegò che intendeva portare la famiglia a visitare Disneyland a Tokio. Fuga verso la libertà o squilibrio mentale, che pare essere un lieve difetto di famiglia?

Il giovane s’è poi stabilito a Macau, centro asiatico del gioco d’azzardo, dove appunto si dedica, come unica attività, al gioco (come il padre, si dice). Recentemente però è tornato a Pyongyang, forse perchè il papà ha dei piani su di lui.

Il terzo figlio, Kim Jong-un, pare troppo giovane (24 anni) per ogni carica pubblica, ma è fisicamente il più somigliante al paparino, il che può dargli qualche possibilità.

Il solo ad aver ricevuto un incarico nel regime è il figlio di mezzo, Kim Jong-chol, 27 anni. E’ stato fatto ministro nel Dipartimento Propaganda e Agitazione del Partito dei Lavoratori (eh sì, caro Orwell): una responsabilità grossa, ma non tale da prepararlo veramente al potere: è chiaramente l’esercito che bisogna avere in mano. Inoltre, questo figlio di mezzo viene indicato, da voci che giungono dall’interno, come «effeminato». Vuol dire che è omosessuale?  Ed è questo un ostacolo al potere?

Il papà Caro Leader ha tutti i vizi (whisky di marca, sigari cubani, diamanti, amanti ballerine) ma quello no (o forse sì?). 

Soprattutto: la voce è stata messa in giro dai generali per squalificare l’erede? Perchè, a quanto pare, sono quei generali che preoccupano i servizi sud-coreani.

Personaggi molto simili a quelli che hanno in mano il potere in Birmania, di cui non si sa quasi nulla, se non che l’arte del Caro Leader è stata quella di tenerli sotto controllo con un miscuglio di coccole e intimidazione, di premi, medaglie, casse di generi introvabili (whisky eccetera) e punizioni.

Essi vivono in un lusso e in un’abbondanza che la popolazione nord-coreana non può nemmeno immaginare; sono per questo il vero nerbo interessato alla  continuità del potere.

Ma è possibile che, morto il Caro Leader che li teneva sotto con bastone e carota, questi generali si mettano a combattersi a vicenda per il potere? O saranno ben lieti di mettere un figlio di Kim alla ribalta come fantoccio, dietro cui fare le loro manovre intestine e  godersi i privilegi del potere?

Il fatto allarmante che alcuni di questi generali hanno osteggiato l’accordo voluto da Washington per la rinuncia alle armi nucleari in cambio di aiuti e della cancellazione della Corea del Nord dalla lista degli Stati-canaglia, e dunque anche dall’embargo (che ha privato il Caro Leader di alcune delle sue marche di whisky preferite).

Questi, se prevalgono, porteranno ad un indurimento delle politiche dello stesso Caro Leader,  minacce contro il Giappone e la Corea del Sud, azzeramento della paziente politica di riconciliazione tentata dai sud-coreani, che ha già ora alti e bassi (soprattutto bassi).

Lo scontro fra generali può anche provocare qualcosa come una guerra civile, con la conseguente fuga di centinaia di migliaia di profughi dal Nord al Sud (o questo che preoccupa Seul), ma anche in Cina e in Russia (nella spopolata Siberia).

Non c’è dubbio che, se avvenisse un’apertura, la Corea del Nord  diventerebbe una tigre economica
sul modello cinese (o vietnamita); ma non sembra che questa ipotesi  sia ritenuta imminente.

L’ipotesi creduta più probabile è un indurimento «comunista» o un disordine grave e prolungato. Pare che per questo, a Washington  si facciano voti per il ristabilimento del Kim-Caro Leader: il meno peggio, forse, dopotutto.

Nel complesso, a quanto capisco, della Corea del Nord si temono soprattutto le possibilità di destabilizzazione, siano esse deliberate o volontarie. Il che è veramente troppo per un Paese da operetta tragica, guidato da un personaggio ridicolo circondato da generali da commedia nera, e irrimediabilmente marginale nonostante le sue testate atomiche.

Se poi esistono, perchè potrebbero essere un bluff del Caro Leader.


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