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Non si fa (più) credito
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La velocità degli eventi supera quella della dattilografia con cui si cerca di segnalarli. Si comincia a scrivere: Ecco cosa avverrà..., ed è già avvenuto. Motus in fine velocior, domina la paura. Solo qualche spunto.

«I leader delleurozona hanno tramutato un problema greco di solvibilità da 50 miliardi in una crisi esistenziale da 1.000 miliardi. Non so se ridere o piangere»: così David Miliband, ex ministro degli Esteri britannico.tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt

Angela Merkel (quella a cui allude Miliband) ha fatto appello per una riorganizzazione dell’Unione Europea, naturalmente nel senso di una maggiore integrazione, come piace alle oligarchie.

«Ha sostenuto legami politici più stretti e norme più rigorose per i bilanci».

Nelle stesse ore, la tedesca CDU – il partito della Merkel – riunito nel suo annuale congresso, ha approvato una mozione da far diventare legge, che permette l’uscita dall’euro senza che ciò comporti esclusione dalla UE. Il che sembra un tantinello in contrasto con quel che la Merkel ha appena detto.

Berlino continua invece a vietare alla BCE di comprare i debiti pubblici che giungono a maturità e non trovano nè compratori nè rifinanziatori sui mercati, con moneta creata ex-nihilo. Ciò è male, finalmente lo dicono tutti – persino Berlusconi s’è accorto che la Banca Centrale Europea non è una vera Banca Centrale, perchè non può fare il prestatore di ultima istanza.

Ma come sempre, è in ritardo. Quando tutti finalmente capiscono che la monetizzazione è la soluzione, ha cessato di esserlo. Le cose sono cambiate in una notte. Una cosa era monetizzare (stampando moneta) piccoli debiti giunti a maturità, come quello di Grecia o Portogallo; tutt’altra cosa monetizzare il debito dell’Italia, il terzo debitore del mondo.

A questo punto, la compra da parte della BCE di BOT e di BTP a interessi bassi, farebbe qualcosa per consentire all’Italia di tornare sui mercati a tassi d’interesse sostenibili? È escluso: c’è una corsa da parte delle banche francesi e tedesche, oltre alle altre istituzioni e fondi, a liberarsi della loro esposizioni ai debiti sovrani, e per ora nulla li fermerà.

Avanza il dubbio che stia per implodere la più grossa bolla della storia, risultato di bolle accumulate negli ultimi 20 anni e rimediate (da Greenspan ad esempio) con la fornitura di denaro a tassi bassissimi, che creavano nuove bolle; anche l’Europa marginale ha vissuto di tassi bassi (quelli dei BOT germanici) indebitandosi allegramente; che questa piaga purulenta si curi semplicemente con la monetizzazione, stampando moneta, è solo illusione.

Sui mercati è apparso il cartello: Non si fa credito.

Il sistema bancario, stracolmo di titoli di credito e cambiali svalutate, non fa credito, e questo solo fatto fa sparire la liquidità, in quanto oggi sono le banche a creare moneta, indebitando. Hanno smesso di indebitare, ed è la deflazione. Ossia il congelamento e il crack dell’economia reale, del lavoro, delle vite, dei risparmi, dei valori immobiliari e mobiliari.

Per la prima volta nella storia, su un giornale britannico (il Guardian, è vero, di sinistra intelligente) appare un articolo dove si denuncia che la produzione della moneta, questa funzione essenziale dello Stato «è stata privatizzata». È un argomento principe dei cospirazionisti che denunciano da decenni questa usurpazione delle banche, e la truffa del credito frazionale, omologo alla falsificazione di banconote; è anche uno degli argomenti più censurati dai media. È un po’ tardi, ma meglio tardi che mai. (Money has been privatised by stealth)

I tedeschi vietano alla BCE di monetizzare per motivi uno più ottuso dell’altro: non vogliono pagare per le spese allegre dei Paesi-cicala, inseriscono il discorso moralistico («punire Atene, punire Roma, non condonare lazzardo morale») con cui mascherano loscamente i loro interessi più miopi di creditori. Ma anche loro, le loro banche, meritano di essere punite per il loro azzardo morale, aver prestato troppo e senza controllo alle cicale. Ed ora pensano di salvarsi da soli, abbandonando i debitori.

David Miliband è ottimista: la crisi non è da mille miliardi, sono almeno 3 mila miliardi (tre trilioni) di cattivi debiti quelli che sono nella pancia d’Europa. Debiti che – lo si capisce sempre più chiaramente ogni ora che passa – sono inesigibili.

Se la BCE stampasse i 3 trilioni di euro per salvare banche e detentori di titoli, allora pagheranno i popoli che vivono di salari e pensioni in euro: pagheranno in potere d’acquisto diminuito di quei 3 mila miliardi, e inoltre pagheranno come contribuenti obbligati a fornire denaro per mantenere la finzione della solvibilità della stessa BCE.

Nessuno dei grandi media solleva ancora (magari fra un mese, o fra una settimana, chissà) l’argomento-tabù: perchè non cancellare quei 3 trilioni di debiti marci?

S’intende, non è una soluzione indolore, non ci sono soluzioni indolori al giorno d’oggi: siccome ogni euro di debito è un euro di attivo nei conti di qualcun altro, cancellare i debiti significa azzerare gli attivi.

Chi deve assorbire quella perdite? Tutto il vorticoso bordello visto fin qui ha lo scopo di far assorbire il debito alle masse, che i loro salari se li sono guadagnati col lavoro, anzichè a chi ha profittato speculando su attivi folli, come il debito greco o italiano. È questa la madre di tutti gli azzardi morali: sono coloro che hanno preso questi rischi per profitto privato che dovrebbero accollarsi le perdite.

Ciò significa che avrebbero danni i risparmiatori in BOT e in BTP (ma ai piccoli potrebbe essere data qualche garanzia) i fondi pensione e le assicurazioni; soprattutto, una quantità di banche sarebbero spazzate via e chiuse, ma la vita continuerebbe, anzi migliorerebbe non solo in termini di equità, ma di ripresa economica.

«Una botta e via», come diceva il boia Mastro Titta al Rugantino con il collo già sul ceppo.

L’alternativa è invece, che per mantenere al valore irreale i BOT e i BTP, ci facciano morire della tortura cinese dei mille tagli, sotto il lento strangolamento della torchia fiscale, sempre più stretta per strizzarci l’ultima finanziaria, visto che la precedente non è bastata a calmare i mercati… Se no perchè Monti avrebbe nominato ministro dello Sviluppo Carlo Passera, capintesta di Banca Intesa?... Le banche vogliono la vostra libbra di carne. Depressione sopra depressione, senza alcuna prospettiva d’uscita.

La Germania ha visto ancora una crescita relativamente buona nel terzo trimestre, più 0,5% rispetto al secondo. Ma gli ordini industriali tedeschi sono caduti del 4,3% da agosto a settembre, e gli ordinativi provenienti dalla zona euro sono crollati del 12,1%.

Ed Anton Boerner, il capo della BGA, la confederazione di 120 mila piccolo-medio industrie tedesche, dichiara: «La nostra economia è robusta. Il problema sono i Paesi sud-europei. Non è la Germania che deve affrontare la crisi, è lItalia. Il problema è un problema italiano, è la loro società».

Insomma: se la Germania non esporta abbastanza, è colpa degli Stati del Sud, dell’Italia a cui la Germania ha portato via il 40% delle sue quote di mercato, grazie all’euro forte. È che deve risolvere l’Italia, dice. Eppure il calo degli ordini gli sta dicendo che il problema si ripercuote sulla Germania troppo dipendente dall’export; il prezzo che Berlino non vuol pagare, lo pagherà in altro modo.

Questo Boerner dice anche alla BBC: «Quello di cui abbiamo bisogno è un mercato comune, non una moneta comune». Comodo, no? In ogni caso, la frase indica che davvero gli ambienti tedeschi che contano stanno progettando di cacciare fuori dall’euro i Paesi-cicala. Si tengono il mercato comune su cui spadroneggiano – così pensano loro – senza doversi accollare la moneta comune.

Intelligente, questo teutonico.

Ma per noi andrebbe meglio. Lo deduco da un’analisi di David McWilliams, un giornalista economico abbastanza reputato in Irlanda, che parla della fine dell’euro, e valuta: per noi andrebbe meglio di oggi. Ovviamente, il discorso vale anche per l’Italia, e vale la pena di citarlo.

David McWilliams
  David McWilliams
McWilliams comincia a ricordare che, quando l’Irlanda aveva la sua valuta nazionale agganciata al marco tedesco (come la lira italiana, eravamo nel serpentone europeo) «abbiamo svalutato sei volte in 13 anni nello sforzo di restare competitivi rispetto ai tedeschi. Per contro, quando siamo entrati nelleuro e non possiamo più svalutare, abbiamo perso il 30% di competitività rispetto alla Germania». L’Italia ha perso il 40%.

Continua McWilliams:

«È chiaro che tutti (si noti quel tutti) i Paesi periferici necessitano di un cambiamento del valore delle valute per rendere le nostre imprese più competitive, e più esportatrici. Abbiamo anche bisogno di rendere le importazioni più costose, in modo da non importare troppo. Il tasso di cambio debole realizza entrambe queste cose. La svalutazione funziona».

E ricorda come la Finlandia e la Svezia abbiano conquistato una competitività stabile (non temporanea) dopo aver svalutato nel ‘92.

Senza svalutare, continua l’irlandese, «non possiamo tener testa alla Germania e questo rende la promessa UE di convergenza economica difficile da ottenere senza prendere pesantemente in prestito... Adesso nessuno di noi riesce a ripagare questi prestiti».

Pura e semplice realtà, quale nessuno che conti in Italia sta dicendo.

La proposta che ne viene è limpida:

«Quindi ci occorre un condono del debito o qualche rinegoziazione di esso. Il nuovo euro (del Sud, o dei Paesi periferici) andrebbe accompagnato da una massiccia cancellazione del debito, perchè se si riduce il valore della moneta in cui la gente viene pagata senza proporzionalmente ridurre il valore dei loro debiti in essere, la gente semplicemente non sarà in grado di pagare e il Paese farà default dopo la svalutazione. Le due cose vanno fatte insieme».

McWilliams preconizza ovviamente un euro-debole separato dall’euro-forte, che resterebbe ai tedeschi e ai loro satelliti.

«Il nuovo euro-debole si negozierebbe, diciamo, al 70% del vecchio. Il che significa che, in rapporto ai tedeschi, il nostro livello di vita sarebbe ridotto di un terzo da un giorno allaltro».

Tragedia sociale? Sì, ammette l’irlandese. Ma non dimentichiamo che le politiche attualmente imposteci dalla UE, dalla Germania e dal Fondo Monetario puntano esattamente a farci arretrare nel livello di vita.

«Otterremmo in un giorno ciò che le attuali politiche cercano di fare in cinque anni».

«Una botta e via»: è meglio della lenta garrota eurocratico-bancaria. In compenso, «diverremmo un luogo che attrae investimenti perchè il nostro costo del lavoro sarebbe a più buon prezzo». Naturalmente non si deve dimenticare che i redditi della gente sarebbero ridotti di altrettanto.

Un bel vantaggio sarebbe nella riduzione di tutti i debiti del 30%. Le banche che hanno prestato in euro forti, e dovessero essere ripagate in euro deboli, «sopporterebbero grosse perdite di cambio». Ma le banche nei Paesi passati alla nuova moneta potrebbero emettere titoli garantiti dalla UE e riscattabili in nuovi euro (deboli) presso la BCE.

«Questi titoli possono essere considerati capitale, in modo che le banche non falliscano».

McWilliams si preoccupa anche dei risparmiatori, che hanno i risparmi in euro-forte e li vedrebbero convertiti in euro-deboli, al 30% in meno. E prevede una soluzione:

«Ai risparmiatori si possono dare nuovi bond indicizzati sullinflazione emessi dallo Stato e redimibili presso la BCE, ma non immediatamente».

Ciò non è anormale, in quanto generalmente la gente lascia dormire i risparmi in banca; bisogna dare un incentivo a questo comportamento, e gli Stati «dovrebbero assicurarsi che i nuovi titoli siano credibili abbastanza, che i detentori non desiderino incassarli a tambur battente».

Non è una prospettiva allegra? Ma non c’è mai il miglior modo di uscire dalla crisi, «solo il meno peggiore». Quello dei due euro a due velocità, «almeno, scongiura il caos di unimplosione caotica e il ritorno in fretta e furia a troppe diverse valute».

Perchè è questo che avverrà, per come si sono messe le cose, e per come si applicano le terapie per conto del sistema bancario: una implosione caotica dell’euro, la vaporizzazione, e il ritorno confusionario e tragico a tante valute, ciascuno per sè.

McWilliams propone invece un’alleanza monetaria fra i Paesi periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, con una sola moneta, un euro-debole, e un taglio coordinato e controllato dei loro debiti tutti insieme.

E chi doveva chiamare a raccolta i Paesi vittime della Germania? Il più grosso dei periferici, ossia l’Italia. Se avesse avuto un minimo di autorità politica e una qualche credibilità internazionale.

Perciò non posso sopportare che Berlusconi oggi faccia sapere: «Vedete? Nominato Monti, lo spread non è sceso. Dunque non ero io la causa della crisi». Sì, è stato lui. Lui che negli anni di bonaccia non ha ridotto il debito pubblico, ma l’ha dissennatamente aumentato con spese da pessimo amministratore, mentre era prevedibile che il Paese col terzo debito del mondo, che faticava a servirlo negli anni buoni, alla prima crisi finanziaria seria si sarebbe trovato nei guai grossi, ossia senza credito. È stato lui a tralasciare quell’accordo e coordinamento fra Paesi periferici, che oggi bisognerà fare in fretta, e che nessuno qui sembra in grado di fare (noi pendiamo dalle labbra dei tedeschi, del FMI, della Goldman).

I giornali che il Cavaliere paga (Il Giornale e Il Tempo, Il Foglio e Libero) si sono scoperti una vena complottista svergognata: proprio loro che deridevano chi indicava le trame dei potere forti, strillano che i banchieri e Goldman Sachs ci hanno rubato «la democrazia» togliendo la poltrona a Berlusconi. Accade persino che alla Radio RAI di Stato si parli apertamente dei «tre di Goldman», Draghi, Monti e Papademos, si dia voce a persone che denunciano il gruppo Bilderberg, si fa il nome della Commissione Trilaterale, che fino a ieri nessun giornalista pronunciava o scriveva…

Come autori di volumi dal titolo Complotti, dovremmo rallegrarci? Invece no. Quando le teorie cospirative arrivano sui media, da una parte vuol dire che hanno perso la loro forza politica, dall’altra sono luoghi comuni fasulli: agitati oggi dal berlusconismo ormai impotente, e dalla classe politica in generale, come alibi per il suo fallimento.

Monti delegato di Goldman Sachs? D’accordo: ma voi avete forse fatto meglio? Avete fatto peggio. Saccheggio dei beni pubblici, ostacoli al Paese che lavora, mantenimento di eserciti di parassiti, fantastiche «lotte allevasione», servilità verso le lobby interne ed estere, mancanza di visione e prospettiva, e incompetenza; la mignotto-crazia di Berlusconi è stata solo l’ultima ditata (di cacca) sulla bancarotta della nostra vita politica. A tal punto, che la maggioranza oggi spera di farsi salvare da Monti e da Draghi proprio perchè hanno alle spalle Goldman Sachs.

Saranno delusi. Perchè ormai il crack avanza ad una tale velocità, che è dubbio che anche i poteri forti ultra-sovrani stiano agendo in base a un progetto, e non siano invece sotto l’effetto del panico.

Siamo nella fase che un famoso economista, Rudy Dornbusch (morto nel 2002) descriveva così:

«La perdita di fiducia ci mette più tempo ad apparire di quanto si pensi, ma poi compare più rapidamente di quanto ognuno possa credere. Gli Stati riescono a finanziarsi finchè, di colpo, non ci riescono più. Il non-rischio resta non-rischio finchè è solo rischio».

Era almeno dal 2007, quando scoppiò la Lehman, che bisognava approntare le difese, che bisognava denunciare Goldman Sachs e vietarne per legge le invenzioni speculative e le frodi. Oggi è tardi per credere di nuovo nella classe politica. Anche nella vita pubblica è appeso il cartello: Non si fa più credito.



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