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Dopo Mosca, Israele a Pechino. Contro l’Iran
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Due ore di presentazione di presunte prove che l’Iran si sta fabbricando la bomba atomica. «Tutto il quadro di intelligence di cui Israele dispone», ha detto uno dei diplomatici della delegazione israeliana che è andata a Pechino, per convincere anche il regime cinese a votare (nel Consiglio di Sicurezza) «sanzioni paralizzanti» contro Teheran. (Israel shows China evidence of Iran bomb program)

La delegazione è stata capeggiata da Moshe Ya’alon, ministro degli Affari Strategici. Lo accompagnava però Stanley Fischer, l’ebreo-americano che è governatore della Banca Centrale d’Israele: fatto significativo, dato il ben noto attaccamento cinese alle loro convenienze economiche.

Più che le «prove» dell’armamento nucleare iraniano, l’argomento su cui Fischer ha puntato è stato infatti duplice, come riporta Haaretz: «Un Iran nucleare farebbe rincarare il prezzo del petrolio», e l’offerta alla Cina di comprare il greggio «dagli Stati arabi ad un prezzo molto più basso di quello che paga per il greggio iraniano», come è stato promesso qualche mese fa – rivela Haaretz – dalla «Arabia Saudita e dagli Stati Uniti».

Moshe Ya’alon
   Moshe Ya’alon
Non è mancata una implicita minaccia: gli israeliani hanno insistito che «tutte le opzioni devono restare sul tavolo» (anche l’attacco preventivo contro Teheran), e che questo metterebbe in pericolo i grossi investimenti che la Cina sta impegnando in Iran, che assiste nello sviluppo dei giacimenti, in realizzazioni ferroviarie e stradali.

Com’è andata? «La delegazione è ripartita con la sensazione che sia andata bene: i cinesi hanno promesso di considerare seriamente le informazioni ricevute. L’atmosfera è stata amichevole, e Pechino ha sottolineato l’importanza delle relazioni con Israele e il desiderio di svilupparle di più».

Come si ricorderà (Israele celebra l’Armata Rossa, e Mosca la Shoah), una settimana prima Netanyahu in persona era atterrato a Mosca per convincere il Cremlino a partecipare alle «sanzioni paralizzanti», e i colloqui (con Medvedev e con Putin) avevano lasciato alla delegazione giudaica un senso di euforia: fra l’altro, gli israeliani hanno promesso di elevare in Sion un monumento all’Armata Rossa, in segno di riconoscenza per il contributo alla lotta antinazista, e Putin ha promesso un aiuto per costruire in Russia un museo dell’olocausto.

A Pechino il livello della delegazione è stato inferiore, e così il livello delle personalità che gli ebrei hanno incontrato. Il più alto in grado fra i cinesi è stato il consigliere di Stato Dai Bingguo.

Yukiya Amano
   Yukiya Amano
Ma Israele esulta anche per un altro motivo: finalmente, è scaduto il mandato alla AIEA di El Baradei, l’egiziano e Nobel per la pace che ha sempre smentito che il programma nucleare iraniano fosse di natura militare, respingendo più volte le false informazioni d’intelligence fabbricate dagli uffici sionisti. Adesso la poltrona della AIEA è occupata da un giapponese, Yukiya Amano, un uomo che gli israeliani hanno promosso, e che ha già fatto circolare un rapporto di minoranza in cui afferma «la possibilità che l’Iran stia sviluppando segretamente armi atomiche».

Un altro progresso nel senso della voglie israeliane è da registrare. Chi credeva che Israele avrebbe dovuto «andare da sola» all’attacco militare contro Teheran, assumendosi la responsabilità del crimine e delle sue conseguenze in termini di destabilizzazione dell’area da cui proviene la maggior parte delle fornitture energetiche del mondo, ora si deve ricredere.

John Kerry
   John Kerry
Il senatore John Kerry, l’ex candidato presidenzale che oggi presiede la Commissione Esteri del Senato, è andato a Gerusalemme ad assicurare che «Israele non andrà da sola sull’Iran», e che USA e Israele «la pensano nell’identico modo» sul programma nucleare iraniano. Ai giornalisti, Kerry ha fatto capire che è andato a implorare Netanyahu di rimandare l’attacco unilaterale, e di lasciare tempo a quel che «gli USA stanno cercando di ottenere con la diplomazia». (Senator Kerry: Israel won't go alone on Iran - U.S is on same page)

Nelle stesse ore, il segretario di Stato Hillary Clinton ha inviato un messaggio al governo di Beirut, del seguente, pietoso tenore, umiliante per la cosiddetta ultima superpotenza rimasta: «Gli Stati Uniti non riusciranno a trattenere Israele dall’attaccare il Libano, se non smette il contrabbando di armi a favore di Hezbollah». Israele minaccia ogni giorno una replica dell’aggressione con cui, per combattere Hezbollah nel sud, distrusse tutte le infrastrutture del Libano. (US tells Lebanon can't stop Israeli strike)

Zbigniew Brzezinski commenta questa situazione nel suo ultimo articolo su «Foreign Policy» (l’organo del Council on Foreign Relations, già centrale ideologica della politica mondiale americana) con un’amara ammissione: benchè consigliere di Obama in politica estera, e benchè appoggiato da Robert Gates (il ministro del Pentagono), lui, Zbig, non riesce ad imporre ad Obama le sue visioni strategiche, perchè il presidente è controllato dalla lobby ebraica.

«Capisco che non è di moda dirlo», scrive Zbig, «ma l’attuale ostilità contro gli USA in Medio Oriente viene dall’appoggio che diamo» agli isrealiani «nel sanguinoso e annosissimo conflitto con gli arabi. Il rifiuto di negoziare in buona fede coi palestinesi aggrava il problema».

Zbigniew Brzezinski
   Zbigniew Brzezinski
Secondo Brzezinski, l’Iran, anzichè minacciato e antagonizzato, andrebbe guadagnato alla parte americana in vista del confronto con i veri, ultimi avversari degli Stati Uniti: russi e cinesi. Ma dobbiamo invece seguire una politica dettata da Israele, lamenta Zbig, per via dei membri della lobby che circondano il presidente: Rahm Emanuel, il capo dello staff, Dennis Ross che affianca Hillary Clinton, «noto per i suoi stretti legami con Israele e per premere per politiche sempre più aggressive contro l’Iran», e che è stato promosso direttore del Consiglio di Sicurezza Nazionale.

Brzezinski non si sottrae a fare nomi e cognomi, come si vede. «I due consiglieri speciali di Obama, David Azelrod e Rahm Emanuel, partecipano a tutte le decisioni significative. Erano entrambi presenti all’incontro di Obama con Netanyahu del settembre scorso», e gli effetti si sono visti nel «rifiuto di Netanyahu di aderire alla richiesta di Obama, di congelare gli insediamenti» illegali nei territori palestinesi.

Insomma, gli ebrei fanno fare al presidente quello che vogliono loro: la pressione della lobby è troppo potente.

Come non bastasse, non passa giorno senza che qualche ministro di Sion non vada a Washington a fare pressioni dirette. Ehud Barak, il ministro della guerra, è andato prima dalla lobby per incitarla a fare di più, poi dalla Clinton e da Robert Gates (Pentagono), per assicurarsi che le sanzioni all’Iran siano davvero crippling, ossia tali da invalidare, da storpiare (to cripple) la società iraniana: insomma mettere gli iraniani alla fame come si è già fatto coi palestinesi di Gaza. O come sanno gli iracheni, che contano un milione di morti sotto l’occupazione americana, ed oltre 500 scienziati e docenti universitari eliminati uno per uno, con gli omicidi mirati di cui gli assassini del Mossad si sono specializzati: un massacro finalmente «crippling» per la nazione un tempo più tecnicamente avanzata dell’area.

«L’Iran non è una minaccia solo per Israele, ma per il mondo intero», ha ripetuto Ehud Barak durante i cinque giorni della sua visita. Pensate, ha aggiunto, la destabilizzazione che potrebbe operare un regime fondamentalista che, dotato di armi nucleari, «intimidisce i suoi vicini e legittima il terrorismo e l’estremismo»: e nessuno ha osato pensare (men che meno dire) che stava descrivendo Israele. No, tutti hanno applaudito: come già l’Iraq, l’Iran è una «minaccia esistenziale» per i giudei, e occorre che il mondo vada a un’altra guerra per acquietare le angosce psicanalitiche di Sion.

In questa frenetica attività, vale la pena di riportare i timori emersi a margine della Monaco Club Conference, tenutasi dal 27 febbraio al primo marzo, dove eminenti politici internazionali discutono del Medio Oriente e delle proposte francesi su una Unione del Mediterraneo.

Patrick Seale
   Patrick Seale
Qui Patrick Seale, un famoso giornalista britannico che è stato licenziato dall’Observer per le pressioni della lobby ebraica e della «Informazione Corretta» locale (si chiama CAMERA, Commitee for Accuracy on Middlea East Reporting), ha confidato agli altri giornalisti arabi che Israele sta effettivamente adoperandosi con tutti i mezzi per «trascinare gli Stati Uniti nella guerra contro l’Iran».

Il regime israeliano, ha precisato Seale, è convinto che, quando sferrerà il suo attacco preventivo da solo, in ogni caso l’opinione pubblica americana obbligherà la Casa Bianca a intervenire al suo fianco, specie se Teheran reagirà contro gli interessi militari nel Golfo (una «aggressione» che è fin troppo facile provocare). Israele non ha di mira solo l’Iran, vuole anche trascinare nella guerra gli staterelli petroliferi del Golfo, facendo in modo che vengano bersagliati dalle forze iraniane. Questi staterelli, benchè filo-americani, sono troppo ricchi e influenti, e costituscono perciò una minaccia esistenziale per Israele. (British journalist warns of Israeli plot to draw USinto war with Iran)

Attualmente Patrick Seale vive in Francia, e collabora con vari giornali del Golfo.



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