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Tobin Tax: altra finzione. E la realtà
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È ben noto come gli eurocrati e i politici europeisti facciano i loro consessi – Ecofin, «vertici» di capi, eccetera: prima annunciano che si prenderanno decisioni risolutive per la crisi, stanzieranno le migliaia di miliardi per «stabilizzare i mercati», e poi non fanno nulla. O meglio: non volendo né sapendo fare le cose necessarie, i consessi europeisti fanno cose inutili. L’ultima, l’introduzione della Tobin Tax – la tassa sulle transazioni finanziarie – in undici Paesi europei. C’è anche l’Italia: e se Mario Monti, il delegato della Trilateral, ha detto sì è perché sa che l’imposta non sarà mai applicata. A parte le difficoltà enormi di applicazione (e i molti modi in cui la finanza creativa può aggirarla), una Tobin Tax che non sia universale è nulla. Specie una che non comprenda le tre piazze primarie della speculazione globale, Wall Street, Londra, Hong Kong.

I politicanti pro-euro, tipo Hollande, hanno fatto «qualcosa di sinistra» (la Tobin è un cavallo di battaglia dei no-global) a poco prezzo. Monti, sperando di rendere «di sinistra» il processo che persegue con la più dura coerenza: far regredire la società produttiva a forza di tasse e tagli al potere d’acquisto, per renderla «germanica» e competitiva (1). Stanno persino ventilando un fantomatico gettito di 57 miliardi annui, e discutono come dividerselo...

Del resto, una Banca Centrale europea governata da un delegato di Goldman Sachs, un Monti capo della Trilateral Europe, governi europei infarciti di membri del Bilderberg o della banche d’affari, immaginate che se ne starebbero tranquilli, se la Tobin Tax a 11 Stati fosse efficace?

L’economista-sociologo Paul Jorion (che è stato operatore finanziario in USA) ha fornito alcuni esempi, su Le Monde, di cosa succede quando si cerca di mettere davvero un freno alla finanza speculativa selvaggia.

In USA esiste un organo che dovrebbe regolamentare i «prodotti derivati»: è il CFTC, Commodity Futures Trading Commission. Questa commissione ha cercato di mettere un tetto al volume delle posizioni che un operatore può prendere sui mercati a termine delle materie prime, perché non possa squilibrarli da solo, disponendo dei mega-pseudo-capitali a leva della finanza speculativa. I titanici speculatori hanno prima fatto votare in Congresso – dai senatori repubblicani – una legge che negava lo stanziamento per far funzionare l’organo di controllo da creare; e infine hanno trascinato il CFTC in tribunale, pagando i migliori avvocati per seppellire i giudici sotto schiaccianti pareri «tecnici» contrari. Il 29 settembre scorso, il tribunale a Washington ha invalidato le misure prese dal CFTC.

Il G20 di qualche tempo fa era giunto alla mezza conclusione (o mezza presa di coscienza) che era necessario regolamentare il mercato del petrolio. Aveva affidato il compito allo IOSCO (International Organisation of Securities Commission), che è l’organo che unisce in federazione i regolamentatori nazionali sui mercati delle materie prime; eh sì, a nostra insaputa esiste un tale organismo internazionale. Ebbene: il 24 settembre scorso lo IOSCO ha annunciato che getta la spugna: l’OPEC, Total, Shell e persino l’Agenzia Internazionale dell’Energia (dell’ONU, ma evidentemente infarcita di «tecnici» alla Monti e Draghi) avevano costituito un «fronte del rifiuto»: le compagnie petrolifere avevano minacciato che, se si fosse regolamentato il settore, avrebbero cessato di comunicare agli organi di controllo i dati sui prezzi da loro praticati; rendendoli ciechi e sordi, quindi (ancora più) inutili.

Terzo esempio: la SEC (la potentissima Security and Exchange Commission, il soi-disant controllore di Wall Street) ha effettivamente messo a punto un pacchetto di misure atte ad impedire la replica del crollo dei mercati di capitali a breve (money market) come si è manifestata nel 2008, devastante, di cui subiamo tuttora – e subiremo ancora per decenni – le conseguenze. Ebbene: il 22 agosto, la SEC ha rinunciato, perché non è riuscita a raggiungere la maggioranza necessaria nel suo seno, dato che un membro (molto «vicino» a Goldman Sachs) ha votato insistentemente contro ogni minima regolamentazione.

Conclusione di Jorion: la finanza speculativa ha accesso a così tanto denaro (spesso dei contribuenti, chiamati a «salvare le banche»), che può agevolmente bloccare ogni tentativo di assoggettarla a qualche regolamento, anche se tali misure sono fatte a suo stesso favore, ossia mirano ad impedire che la finanza selvaggia scateni eventi capaci di far collassare l’intero sistema finanziario globale, di farlo implodere come un Buco Nero, speculatori compresi.

Una simile catastrofe viene sfiorata, a nostra insaputa, ogni giorno. Il 5 ottobre, un solo operatore non-identificato ha mosso il 4% del mercato azionario di Wall Street, ossia una percentuale enorme in un mercato titanico. Non si sa chi sia né perché l’abbia fatto, ma è certo che si tratta di un algoritmo in un super-computer: ha piazzato ordini di acquisto ogni 25 millisecondi, cancellandoli subito dopo. Gli ordini sono stati dati a ondate crescenti, prima 200, poi 400, poi 1000. Alle 10.30 del mattino l’operatore robot ha smesso di operare di colpo, e non s’è più fatto vivo. (One Algorithm Made Up 4% Of All Trading Last Week, And No One Knows Where It Came From)

Il senso di questi «scambi ad altissima frequenza» (high frequency trading) che richiede enormi investimenti in supercomputer piazzati, per giunta, vicinissimi al computer centrale di Wall Street (nonostante la velocità della luce, la distanza in metri conta quando si piazzano migliaia di trading in millisecondi) sarebbe questo: far da esca contro operatori umani interessati a comprare una specifica azione e obbligandoli a rivelare le loro posizioni. Quando questi rendono nota la loro offerta d’acquisto, il robot ad alta frequenza cancella gli ordini e lascia l’operatore umano nella peste. Di solito il trucco serve come preparazione ad un’altra e più occulta strategia di high frequency trading.

James Tobin
  James Tobin
Questo è il genere di comportamenti distruttivi e destabilizzanti che il Nobel Tobin, con la sua proposta di tassazione per ogni trading, mirava a frenare. Ma ai tempi di mister Tobin non erano entrati in Borsa i supercomputer: oggi, sarebbe come il proverbiale tentativo di prendere il passero (o l’avvoltoio) mettendogli il sale sulla coda.

Ciò che occorrerebbe sarebbe semplicemente sopprimere – vietare – tutti gli strumenti usati per realizzare, di fatto, delle scommesse sui prezzi, che non sono veri investimenti nell’economia reale: vietare le vendite allo scoperto, vietare di indebitarsi per realizzare acquisti speculativi, chiudere l’accesso dei mercati a termine ai puri speculatori, proibire i CDS nudi, ossia le assicurazioni contro rischi che non si corrono in proprio; acquistare un CDS senza detenere la cosa assicurata (titolo pubblico o azione) è come assicurare a proprio vantaggio l’auto del vicino...Vietare, ovviamente, gli high frequency trading. Vietare anche la quotazione continua delle Borse, oggi in corso 24 ore su 24 nel mondo intero.

Non sono provvedimenti impossibili. In fondo, entrano nella più vasta categoria del gioco d’azzardo, a cui il diritto non ha mai dato protezione. In Francia, già nel 1629, una ordinanza di Luigi XIII (articolo 138 del Codice Michau) dettava: «Dichiariamo tutti i debiti contratti per il gioco nulli, e tutte le obbligazioni e promesse fatte nel gioco nulle, comunque mascherate, nulle e senza effetto, e prive di tutte le obbligazioni civili e naturali».

Memorabile la motivazione con cui Napoleone, nel 1801, rese un delitto penale le vendite allo scoperto e le speculazioni sui «pubblici effetti», ossia sui titoli del debito di Stato:

«Non si devono considerare come dei malfattori coloro che, per svilire gli effetti pubblici, si impegnano a consegnarne ad una data convenuta in considerevoli quantità ad un corso più basso di quello del giorno? Luomo che offre di rimettere fra un mese a 38 franchi dei titoli di rendita che si vendono aggi al corso di 40, non proclama e non prepara il discredito? Non mostra almeno che personalmente non ha fiducia nello Stato, e lo Stato non deve trattare come suo nemico colui che si dichiara tale da sé?».

Da allora, nei codici francesi, «le scommesse fatte sul ribasso o rialzo dei titoli pubblici» furono punite (da due mesi a un anno di galera), e si considerava «scommessa vietata ogni convenzione di vendere o consegnare effetti pubblici che il venditore non proverà avere a sua disposizione al momento dellaccordo», ossia la vendita allo scoperto: così l’articolo 422 del codice penale napoleonico; abolito nel 1885, quando le grandi famiglie del denaro cominciarono a creare i «loro» governi, tramite la Massoneria. Non ho controllato ma leggi simili vigevano in Italia, dato che nessuno poteva essere trascinato in giudizio perché non aveva pagato debiti di gioco.

La regolazione della speculazione fu una delle grandi preoccupazioni della «volontà politica». Oggi, è impossibile perché tutti gli organismi – quelli europei soprattutto – mirano ad annullare la volontà politica e a sostituirla con meccanismi automatici (pseudo-legali) gestiti da «tecnici» scelti dalle moderne reincarnazioni della Massoneria: Trilateral, Bilderberg, Goldman Sachs...

In questo modo, la finanza è al comando, e impedisce ogni tentativo di ridurre la nocività delle sue pratiche; blocca persino le regole che possono salvarla dalla catastrofe, a cui segue immediata la catastrofe umana ed economica delle società.

Arnold Toynbee, il filosofo della storia, dopo aver esaminato decine di civiltà defunte, concluse: Le civiltà non muoiono assassinate; si suicidano. L’etnologo e storico Jared Diamond (non perdetevi il suo libro Armi, Acciaio e Malattie), nella sua ultima opera, Collasso (2005), ha analizzate anche lui il perché le civiltà collassano e finiscono, segnala l’opera di «processi di auto-distruzione il più delle volte inconsci». Fra i «fattori decisivi» del crollo delle civiltà, Diamond pone questo: quando «i governi e le élites non hanno i mezzi intellettuali per rappresentarsi chiaramente il processo di collasso in corso, lo aggravano adottando comportamenti di casta, continuando a proteggere i loro privilegi a breve termine».

Sembra quasi che l’etnologo abbia in mente la politica italiana, o conosca benissimo la Regione Lazio. Ma è lo stesso anche a Wall Street, alla Casa Bianca, a Palazzo Borbone o a Downing Street. Negli uffici Monsanto come in quelli Goldman Sachs. O a Berlino come Bruxelles. Le civiltà si suicidano. La nostra, sotto i nostri occhi impotenti.

Frattanto, secondo fonti del settore metalli preziosi, la Cina sta richiamando tonnellate di oro di sua proprietà, detenuto in USA, Londra e Svizzera, apparentemente allo scopo di rifondere le barre – denominate in once anglosassoni – in lingotti da un chilogrammo. La fusione non avviene esclusivamente in Cina ma anche, a quanto pare, in fonderie della Confederazione Elvetica, che hanno l’esperienza, la capacità e la riservatezza necessaria alla bisogna. È possibile che Pechino si prepari ad un nuovo sistema di pagamento degli scambi internazionali dopo la volatilizzazione di dollaro ed euro? O sta solo controllando quante delle barre d’oro che credeva di aver acquistato, conservate a Fort Knox, sono in realtà barre di tungsteno platinate? (China Launching Gold Backed Global Currency)

Forse, per coincidenza, le grandi banche cinesi hanno snobbato gli ultimi «vertici» consessi del Fondo Monetario e della Banca Mondiale. (China banks snubbing IMF, World Bank events)




1
) Già Maurice Allais, Nobel francese per l’Economia di cui corre il secondo anniversario della scomparsa (9 ottobre 2010), aveva denunciato «l’opinione attualmente dominante secondo cui la disoccupazione, nel mondo occidentale, sarebbe causata essenzialmente dai salari troppo elevati e dalla loro flessibilità insufficiente, dal progresso tecnologico nell’informazione e nei trasporti... Queste affermazioni non cessano di essere smentite dall’analisi economica come dall’osservazione. La realtà è che è la mondializzazione ad essere la causa maggiore della disoccupazione massiccia e delle ineguaglianze che non cessano di divaricarsi in quasi tutti i Paesi. Mai degli errori teorici avranno conseguenze così perverse...». Questi errori sono la dottrina dell’eurocrazia, di Goldman Sachs, di Monti e Draghi, della Merkel…


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