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Putin, il garante di Westfalia
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Vladimir Putin è arrivato in Italia – provincia di Eurosòdoma – ovviamente fra le conformistiche deplorazioni e critiche di media e politici nostrani, appena temperate dalla speranza che i russi ci comprino qualche fabbrica («Interessa l’Ilva?», eccetera). Solo Berlusconi lo riceve in gran pompa, e forse è peggio di un insulto dato il livello comico-patologico del personaggio. Fra l’altro, la sola cosa utile che poteva fare il Cavaliere, era invitare i ragazzotti e «volti nuovi» che ha arringato domenica, ad accogliere Putin e i suoi 11 ministri ai lati delle strade con festanti bandierine – e ovviamente non l’ha fatta.

Quello che naturalmente non vien fatto capire a noialtri è la posizione di eccezionale autorità e influenza che Putin ha assunto nel mondo. Non solo Putin viene dall’accordo storico che è riuscito a imbastire fra l’Iran e l’ostile «Occidente» a Ginevra (1); né è solo l’Ucraina che ha accettato di entrare nella zona economica da lui fondata, liquidando un trattato con la UE che doveva firmare il 28 novembre (e ovviamente, i media dicono che «l’ha ricattata»). È che in pochi giorni, hanno chiesto di parlargli, e sono andati a trovarlo a Pietroburgo e Mosca (il 20 e il 23 novembre), personaggi disparati ma cruciali come Netanyau e Erdogan e il principe saudita Bandar, mentre il re dell’Arabia s’è intrattenuto a colloquio telefonico con lui. Netanyau, che insulta e straccia ogni giorno Obama e comanda al Congresso Usa, si guarda bene dal farlo con Vladimir: c’è del metodo nella sua follia.

Come mai tanta influenza dell’uomo del Cremlino? La risposta migliore, credo, l’ha data Fedor Lukianov, analista internazionale di prima grandezza, direttore del Russia in Global Affairs, nonché presidente del Council on Foreign and Defense Policy e membro del Russian Council for International Affairs.

«Quale la ragione del successo della diplomazia russa?», si domanda Lukianov, e risponde: «è che gioca secondo le regole. Quelle stabilite dal sistema internazionale di Westfalia centrato sulla sovranità degli Stati, e consolidate dai modelli geopolitici dei secoli passati».

Nel Trattato di Westfalia, 1648, per mettere fine alla guerra religiosa senza fine (dei trent’anni), gli Stati decisero di riconobbersi come «legittimi» l’un l’altro. Il che significa: rispetto assoluto della sovranità di ciascuno, della non-ingerenza, e degli altri corollari di civiltà che ne derivano. Per esempio, anche la guerra diventa da allora una «istituzione»: l’avversario ha da essere legittimo (uno Stato sovrano), i combattenti devono essere soldati in divisa (combattenti civili sono «partigiani» ossia illegittimi, e ad una popolazione che combatte senza divisa è lecito applicare la rappresaglia), le alleanze hanno la stessa forza di contratti fra adulti (un adulto è «sovrano» nel diritto civile), e anche la pace dopo la guerra è una istituzione con metodi e procedure accertate, contrattuali. Insomma, l’ordine di Wastfalia è la civiltà europea, il luminoso «diritto pubblico europeo»: quello che George W. Bush ha distrutto nel 2002, emanando la sua National Security Strategy. In breve, con questa «dottrina» (suggerita dai neocon) gli Usa si auto-dichiarano il solo stato legittimo nel pianeta; tutti gli altri stati sono diventati potenzialmente «illegittimi»: sono tutti passibili di «attacco preventivo» americano se, a insindacabile opinione del governo Usa, la loro esistenza costituisce una «minaccia» per gli Usa. Da questo nuovo Jus publicum sono stati inventati concetti come «Stato fallito» (failed state) incapace di sovranità e la cui indipendenza può e deve essere violata, e «Stato-canaglia» (rogue state), le cui azioni internazionali sono dichiarate da Usa e Israele sempre, e solo, «terrorismo». La guerra diventa «intervento umanitario» o peggio, operazione contro «terroristi»: i soldati degli altri Paesi aggrediti non hanno diritto di difendere la sovranità nazionale, se si battono sono criminali da incenerire: come a Gaza, in Siria, o in Afghanistan coi droni.

Risultato: l’unipolarismo dove la forza bruta è l’unica «legittimità», dove nessuno si fida di nessuno, gli alleati diventano servi da intercettare e spiare; dove il paese-guida fa paura ma non incute rispetto, dove sono la norma colpi bassi, false flag, menzogna (come ha detto Putin a Kerry, dispiacendosene seriamente), aggressioni e la sovranità è variabile secondo il grado di potenza o debolezza... in mondo attuale. La barbarie.

Riprendiamo Lukianov:

«Nel mondo d’oggi nulla è chiaro, e hanno luogo simultaneamente processi contradditori: globalizzazione e ritorno al ruolo di stati-nazione, erosione dei confini e sforzi dei governi di controllare gli affari interni usando nuovi metodi, l’emergenza di nuove forme di forza e ingovernabilità rapidamente crescente. In questo mondo, la diplomazia russa, sviluppa padronanza ma non è ingombrata da ideologia. È guidata da princìpi che sono associati ad una difesa senza condizioni della sovranità, incardinata in 300 anni di identità nazionale da grande potenza e dal desiderio di essere tra i grandi».

Nel disordine generale, Mosca appare come un punto fermo, paradossalmente, anche agli avversari – se non altro perché le sue posizioni sono comprensibili e razionali, e non pone la sua forza come prima ratio. (Russia's turnaround in the Middle East)

A questo proposito, si veda l’accusa della UE, secondo cui la Russia ha «ricattato» l’Ucraina per trattenerla nella sua zona di egemonia (2). È vero anche esattamente il contrario, come segnala John Laughland: «In settembre l’Armenia, che è piccola in confronto all’Ucraina e dunque è passata inosservata, ha varato l’unione doganale con la Russia e gli altri membri, Bieloruia e Kazakstan. Ed ecco che, immediatamente, Bruxelles ha dichiarato che ogni possibilità di associazione nella zone UE, per l’Armenia, era escluso. La UE ha reso molto chiaro che uno stato che firma con la Russia, non avrà il permesso di firmare anche per la UE: il perché è ovvio: è che da vent’anni l’Unione Europea persegue un progetto ideologico e geopolitico di espansione all’Est (...) E il messaggio dato all’Armenia era inteso anche per l’Ucraina. Non è per coincidenza che tutti i principali delegati della UE per trattare con l’Ucraina siano polacchi, l’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski, l’ambasciatore UE a Kiev è un polacco. È un vecchio sogno geopolitico della Polonia, che ha sempre guardato all’Ucraina come al cortile di casa». http://rt.com/op-edge/ukraine-eu-deal-russia-183/

Verissimo: la Polonia ha sempre avuto mire espansionistiche ed è stata spesso in guerra con il suo vicino, sicché è come minimo una mancanza di delicatezza, un errore (e una sciocchezza provocatoria) mandare polacchi a trattare. A trattare, sia chiaro, per sottrarre il grosso Paese alla Russia, non riconoscendo cioè una legittima zona d’influenza di Mosca che è vecchia di secoli. Il fatto è che l’Europa delle burocrazie goffamente imita la «dottrina Bush» senza averne la forza né la chiara decisione strategica: è odioso parlare di «ricatto» di Putin sull’Ucraina, quando è stata l’Europa come servente dell’egemonismo americano, espandersi nelle zone dell’ex patto di Varsavia. Inoltre, oggi, ha ben poco da offrire ai paesi dell’ex URSS; gli esempi della miseria greca, il collasso di Cipro e del mezzo disastro della Slovenia e Croazia (per non parlare del Club Med) hanno calmato molti entusiasmi europeisti nell’Est. La corsa alla sovrannazionalità burocratica, la follia economica dell’austerità imposta, il capitalismo terminale devastatore, l’ingerenza continua sopra i Paesi deboli della UE (si veda la demonizzazione del governo magiaro), stanno rivelando il vero volto dell’integrazione eurocratica a chi ha ancora la fortuna di esserne fuori.

Ricatto? Si ricordi quel che Putin ha detto non più tardi del 21 novembre sulle avances della UE a Kiev: «Non siamo contrari ad una scelta sovrana dell’Ucraina, qualunque sia. Noi parliamo di tutt’altro: se ci si dicesse, per esempio, che l’Ucraina aderirà alla NATO, saremmo effettivamente contrari, perché l’avvicinamento della struttura del blocco militare ai nostri confini rappresenta per noi un pericolo». Si può essere più chiari e retti di così? (Moscou contre l'Ukraine dans l'Otan sans contester son choix de l'UE (Poutine))

I media hanno diffuso l’indiscrezione secondo cui effettivamente l’ucraino Yanukovitch avrebbe detto, parlando al telefono che la presidente lituana Dalia Grybauskaite, di aver ceduto a pressioni russe. Un giornalista di Iunterfax ha posto la domanda a Putin che ha risposto: «Non ho alcuna informazione su cosa sia siano detti al telefono il presidente dell’Ucraina e il presidente della Lituania. Forse possiamo chiedere ai nostri amici americani, ma finora non ci hanno detto niente»: sarcastica allusione alle intercettazioni della NSA delle telefonate di tutti i leaders europei.




1) Si noti: poche ore dopo l’accordo con Teheran a Ginevra, l’ambasciatore Usa in Israele è tornato a minacciare «l’opzione militare» contro l’Iran, a nome degli Stati Uniti. L’ambasciatore di chiama Dan Shapiro ed è ovviamente un J. Il contrasto con la solida stabilità delle posizioni di Mosca salta all’occhio.
2) Ovviamente a Kiev sono stati scatenate manifestazioni di piazza contro l’accordo del governo con Mosca. Si gioca col fuoco, essendo l’Ucraina un paese storicamente diviso in senso religioso e anche linguistico, con oltre 11 milioni di russofoni e un milione di parlanti polacco. Gli ingredienti per fratturazioni già sperimentate nei paesi musulmani (fra sunniti, sciiti e cristiani e alawuiti) sono tutti già lì.




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