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Quando volevano fare a Franco la fine di Saddam
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Antefatto: suor Lucia, unica veggente di Fatima sopravvissuta, sosteneva di avere comunicazioni col Signore, di notte, durante l’adorazione dell’Ora Santa. Di una di queste scrisse all’arcivescovo di Valladolid, Garcia y Garcia:

«Il 12 giugno 1941 [il Signore] s’è lagnato specialmente della freddezza e rilassamento del clero di Spagna...[mi ha detto]: desidero ardentemente che i vescovi si uniscano in ritiro per accordarsi tra loro e determinare, di comune accordo, i mezzi da impiegare per la riforma del popolo cristiano e rimediare al rilassamento del clero e di gran parte di religiosi e religiose. [...] Ho bisogno di anime che mi servano sacrificandosi per me e per le anime» (1).

I vescovi non si riunirono. Dopo la disfatta delle forze atee e anticristiane nella guerra civile, nulla offuscava apparentemente la prosperità della Chiesa in Spagna, niente ne minacciava la libertà; anzi vi rifioriva una vera restaurazione cristiana, fede e devozione popolare erano forti e visibilissime. E del resto, l’incredulità della gerarchia per suor Lucia traspare con fin troppa chiarezza, e in fondo è comprensibile. Troppe «rivelazioni» ulteriori alle apparizioni della Vergine del 1917; troppi «segreti» taciuti e comunicati col contagocce, qualche profezia post factum; e soprattutto troppe locuzioni interiori, troppi messaggi divini, che questa suora dorotea quasi analfabeta diramava a vescovi e al Santo Padre come ordini a cui obbedire, imperiosamente... molto fastidioso, forse un sospetto: s’è montata la testa (2).

Il 4 maggio 1943, Lucia ripete la richiesta in una lettera a padre Gonçalves, suo padre spirituale. «La fine della guerra sarà presto, avuto riguardo all’atto che s’è degnato di fare Sua Santità. Ma siccome fu incompleta, la conversione della Russia è rimandata. Se i vescovi di Spagna non prestano attenzione ai suoi desideri, essa [la Russia] sarà ancora la frusta con cui Dio la castigherà».

La Russia castigherà «di nuovo» la Spagna? D’accordo, nella guerra civile spagnola Stalin aveva inviato armi, denaro, personale organizzativo comunista (fra cui Togliatti), carri armati e carristi sovietici a fianco del Fronte, egemonizzandolo. Ma ora, quasi al termine della guerra mondiale, come avrebbe potuto? Il generalissimo Francisco Franco aveva mantenuto la Spagna neutrale, non c’era motivo perché i belligeranti vincitori la minacciassero.

Invece, nella Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945), quella dove le potenze vincitrici si spartirono la Germania in quattro zone d’occupazione, Stalin fin dalla prima sera, durante la cena ufficiale, sbottò: «Franco è un tiranno, il nemico degli Alleati, un impostore, un usurpatore, un falsario... il nemico pubblico… il mostro d’Europa. Bisogna sbarazzarsene al più presto!».

Harry Truman, che era succeduto alla Casa Bianca a F. D. Roosevelt solo nell’aprile, non sapeva cosa dire. E nemmeno capiva, novizio com’era di politica mondiale: che cosa c’entra la Spagna? George Kennan, diplomatico, sovietologo e futuro Segretario di Stato, dovette spiegargli: «Il partito comunista sovietico e la sua polizia segreta si sono pesantemente impegnati nella guerra civile spagnola, molto più che in qualunque altra zona del mondo. Ed hanno perso [...] Il loro risentimento è immenso e non hanno nessuna intenzione di mettere una pietra sopra questo passato» (3).


Potsdam: Clement Attlee, Ernest Bevin, Molotov, Joseph Stalin, Harry S. Truman, etc.
 


Insomma fu chiara la dura volontà di Stalin di approfittare della vittoria sui fascismi per far cadere anche Francisco Franco, e lo pretendeva dagli Alleati. Churchill nicchiava all’idea. Stalin gli si avventò contro urlando: «Dite di non avere simpatia per Franco...provatelo! Se usciamo di qui senza condannare pubblicamente Franco, cosa diranno i popoli del mondo?... Lo ripeto, la Spagna franchista è un pericolo per l’Europa!». Truman disse: «Sono d’accordo». Churchill rimase in minoranza; del resto fu presto sostituito (avendo perso le elezioni nel Regno Unito) da Clement Attlee, il nuovo capo del governo, laburista apertamente simpatizzante per i sovietici.  Attlee si affrettò a dichiarare: «I compagni repubblicani spagnoli devono infine essere sostenuti di fronte al regime dittatoriale di Franco».

Era una minaccia molto concreta, la prima assoluta di quelle che abbiamo visto nei nostri tempi: le «democrazie» che assistono «i ribelli» in Libia e in Siria. Migliaia di rossi e repubblicani, fuggiti dalla Spagna e rifugiatisi in Francia dopo il 1939, avevano rafforzato la loro organizzazione, con l’appoggio dei comunisti francesi, facendosi la mano in attentati terroristici contro l’occupazione nazista. Già nel settembre 1944 quasi diecimila di costoro avevano passato la frontiera-spagnola in armi ed erano giunti fino a Viella, per innescare la «liberazione antifascista». Era stato un disastro: la popolazione non insorse affatto, anzi i contadini si opposero con la forza i liberatori a fianco di una colonna dell’esercito spagnolo, comandata dal generale Yague, che ne catturò molti, ricacciando gli altri oltre i Pirenei.

I ribelli – come quelli d’oggi in Siria – avevano bisogno di un miglior aiuto dagli Alleati democratici, come auspicato da Attlee. La Conferenza di Postdam si concluse con un comunicato finale in cui – sorpresa – si rifiutava di invitare la Spagna a entrare all’ONU. I motivi addotti: «Il suo governo, a causa della sua origine [la vittoria anticomunista nella Guerra Civil], la sua natura [autoritaria, cattolica e tradizionalista] e la stretta associazione con gli Stati aggressori, non giustifica un tale invito».

Era la pennellata decisiva per fare di Madrid e del suo regime lo Stato-paria, lo Stato-canaglia: diretto da «un mostro», anzi dall’«orco d’Europa» (l’aveva detto Stalin), il povero, isolato Stato spagnolo veniva dipinto come «un pericolo per l’Europa»: non diversamente da come abbiamo visto ridurre il regime di Saddam Hussein (l’orco, per i nostri media) in Iraq «pericolo per il Medio Oriente», il regime di Gheddafi (il mostro), il regime iraniano «che configura la minaccia esistenziale per Israele». Il metodo fu già perfettamente collaudato 70 anni fa, contro uno Stato europeo che non minacciava nessuno. Erano i passi preparatori per giustificare moralmente e legalmente l’aggressione militare della Spagna, lo Stato-paria che non era nemmeno stato ammesso all’ONU.

Secondo programma, fu costituito in Messico, il 17 agosto ’45, il «governo repubblicano in esilio», radunando un centinaio di deputati delle defunte Cortes ispaniche. Il suo capo, il marxista José Giral (era stato capo del governo repubblicano nel 1936) si affrettò a guadagnare l’appoggio di Washington. Ecco cosa disse nel febbraio 1946 al potentissimo Dean Acheson, allora sottosegretario di Stato (e inoltre Skull & Bones, co-fondatore del Fondo Monetario, e poi, in quanto gestore del Piano Marshall, vero autore della Unione Europea senza democrazia):

«Disponiamo di depositi d’armi clandestini in tutta la Spagna, guerriglieri pronti a intervenire, i sindacati a proclamare lo sciopero generale, e i rifugiati spagnoli che hanno combattuto col maquis (la resistenza francese, ndr) sono ammassati alla frontiera francese ed attendono il nostro segnale. Se la pressione delle potenze si fa più forte, Franco comprenderà che la partita è persa per lui... anche l’esercito è con noi, undici generali in esilio aspettano di prenderne il comando».

Sùbito dopo Giral arriva a Parigi. Perché lì il ministro degli esteri della Francia liberata, Georges Bidault (un democristiano...) decide di bruciare le tappe – è il 28 febbraio ’46 – interrompe i rapporti con Madrid e ordina la chiusura della frontiera con la Spagna. E contemporaneamente, dirama un nota ai governi britannico, americano e sovietico, di questo tenore:

«L’attuale linea politica di Franco è una sfida ai princìpi del diritto internazionale, alle idee democratiche, e crea una situazione che mette in pericolo la pace e la sicurezza internazionale».

Praticamente era la richiesta di intervento armato per la sicurezza internazionale, e per la «pace». François Hollande non è che un tardo allievo di tali maestri. Prontamente Stalin «dichiara il completo accordo col governo francese», anzi esige «un esame urgente della questione [spagnola] al Consiglio di Sicurezza dell’ONU».

Ed effettivamente, l’8 aprile 1946, la Polonia sotto occupazione staliniana chiede che l’ONU metta all’ordine del giorno «la questione spagnola, minaccia alla pace fra i popoli» (sic). Urgentissimo, visto che la minaccia posta dalla Spagna al mondo è imminente e gravissima. Immediatamente, Washington accetta la richiesta. Si allestisce una sottocommissione d’inchiesta che, all’Assemblea generale, il 13 dicembre, fa votare la mozione che invita tutti gli Stati membri a richiamare i loro ambasciatori da Madrid. L’americano Alger Hiss, in quei giorni responsabile degli affari speciali al Dipartimento di Stato (più tardi si scoprirà essere un agente sovietico, e sarà condannato) ordina alla delegazione americana di votare contro Franco e ne avverte Mosca. Tutti gli altri, eseguono. I soli diplomatici che non obbediscono alla demonizzazione, e rimangono nella capitale sono: quello del Portogallo, il Nunzio, e l’ambasciatore elvetico. Onore a loro.

Frattanto, Stalin non ha certo aspettato le decisioni ONU. Da mesi a Parigi Bidault è affiancato dall’ambasciatore sovietico Bogomolov, che gli soffia sul collo e suggerisce le mosse per preparare la «rivoluzione» in Spagna. Lungo la frontiera basca si moltiplicano e ammassano gruppi armati inquadrati da funzionari sovietici. Attracca a Marsiglia la nave russa Klim Voroshilov, carica di armi e munizioni per i liberatori rossi spagnoli; lo scarico avviene alla presenza dell’ambasciatore sovietico, sotto la protezione della polizia e delle dogane francesi.

Tutto è pronto per l’intervento «umanitario». Volevano far fare al Caudillo la fine che poi hanno fatto fare al Rais.

Che cosa l’abbia rimandato, e alla fine sventato, non è molto chiaro. Per di più, è stato il rapido peggiorare delle relazioni USA-URSS, diventato quasi subito «guerra fredda». Per alcuni è stata la legge di successione proposta nel luglio ’46 da Franco (e dal suo ministro Carrero Blanco), che confermava la restaurazione futura della monarchia: sottoposta a referendum, la norma fu approvata dal 93% dei votanti, che furono l’89%. Una manifestazione di compattezza e rifiuto di avventurismi da parte della popolazione, che avrebbe legittimato il regime franchista, tanto più che le auspicate (ed incitate) ribellioni interne in Spagna non si produssero... Franco ne fece allusione diretta in un suo memorabile discorso, dove evocò anche i crimini e le persecuzioni che i regimi comunisti commettevano nell’Est europeo. Forse fu anche il timore a finire come un satellite di Mosca (quella di Stalin, dell’holodmor e del Gulag) a trattenere la Spagna di allora sull’orlo dell’abisso.

Per Padre Joaquin Alonso, il sacerdote che è stato archivista ufficiale di Fatima per sedici anni, raccoglitore di tutta la documentazione (solo in parte pubblicata) e con accesso diretto a suor Lucia, non ha dubbi. Nel suo «Fatima, Espana, Rusia» ha scritto: «È la Vergine che ha allontanato dalla Spagna il flagello comunista che la minacciava “per la seconda volta”. Alla fine della seconda guerra mondiale i vergognosi accordi di Yalta e Potsdam ci avevano consegnato inesorabilmente nelle mani della Russia.. .Dio per intercessione della Vergine di Fatima ci ha liberato da questo infame castigo».

Come che sia, è una storia istruttiva. 





1) Interrogata su cosa precisamente Dio lamentasse quale «rilassatezza e tiepidezza» del clero e dei religiosi, e cosa la Vergine chiedesse come preghiere e «sacrifici», suor Lucia precisò: «Soprattutto quei sacrifici che è necessario fare per evitare il peccato». E lo ha ripetuto: «...Trovandomi a mezzanotte in cappella col permesso dei superiori (per l’adorazione, ndr.) il Signore mi ha detto: “Il sacrificio che esige da ciascuno il compimento del proprio dovere e l’osservanza della mia legge, ecco la penitenza che chiedo ed esigo”». Stranamente, Nostro Signore pare esigere da ciascuno non tanto il «fare apostolato» o «andare nelle periferie esistenziali», quanto il perfezionamento interiore e personale. Da cui seguono le «opere».
2) La frase sulla Russia che «diffonderà i suoi errori nel mondo» era profetica alla data delle apparizioni di Maria nel luglio 1917, quando la rivoluzione bolscevica era agli inizi e non si poteva prevederne il trionfo; ma Lucia la rivelò, se non erro, solo nel 1941, quando la potenza, l’imperialismo aggressivo e l’atrocità del totalitarismo sovietico erano ben note a tutti e certo a suor Lucia, ormai adulta e in corrispondenza anche con grandi della terra. Gli altri due veggenti, Giacinta e Francesco, non erano più fra noi a confermare le memoria della superstite, che le ha messe per iscritto in quattro redazioni successive, inizialmente con reticenza laconica e molta resistenza interiore, che è diventata via via più loquace. Inoltre, si tratta spesso non di scritti di sua mano, ma di cose riferite , per esempio al confessore padre Gonçalves e canonico Galamba de Oliveira quando quest’ultimo intendeva scrivere un libro sulla vita di Giacinta. Ambienti massonici (ma anche cattolici progressisti) hanno espresso sospetti di una «gestione» di suor Lucia da parte del regime di Salazar (i due personaggi si conobbero e si stimarono) in funzione anti-comunista; gestione che sarebbe stata poi rilevata da Pio XII, l’ideatore della peregrinazione» della statuetta di Fatima in tutta Europa «contro il pericolo rosso così paurosamente vicino» (parole sue); d’altra parte, Pio XII non fece la consacrazione della Russia richiesta dall’Apparizione, nonostante le numerose lettere con cui suor Lucia lo tempestò con un’arditezza che sicuramente sarà stata presa per imperdonabile sfacciataggine. Nella Chiesa, un inferiore non può rivolgersi così ai superiori, né tantomeno una suora (di clausura dal 1948) scavalcare la ‘catena di comando’ per rivolgersi direttamente al Papa. La mia personale esperienza come giornalista di Avvenire mi conferma che i vescovi, appena hanno l’impressione di essere «tirati per la giacchetta» da un laico (zero nella gerarchia), fanno il contrario di quel che gli si suggerisce. Così, per esempio, giornalisti che hanno definito ad alta voce sbagliata la scelta, da parte di Ratzinger, del cardinal Bertone come segretario di Stato, ben conoscendone la rozzezza di maneggione, hanno quasi certamente allungato la durata della sua permanenza a quella poltrona a cui era così inadatto. La profezia di Fatima aveva inoltre melliflui, insidiosi e nascosti nemici in Vaticano. Lì si fece circolare una voce che attribuiva a Pio XII la frase secondo cui Fatima «era la più grande delusione del mio pontificato», tanto che lui dovette smentire. Il gesuita Dhanis, influente alla Gregoriana, espresse «il timore che una parte di fabulazione si sia insinuata nei suoi (di suor Lucia) racconti». Il cardinale Charles Journet derideva apertamente «la danza del sole» che si sarebbe vista a Fatima. Giovanni XXIII lesse il terzo segreto e, come ebbe a dire il cardinal Ottaviani, «lo depose in uno di quegli archivi che sono come un pozzo profondo, nero, al fondo del quale le carte cadono e nessuno vede più»; poi aprì il Concilio in sfida, come disse, ai «profeti di sventura». Papa Montini andò in visita a Fatima, ma – ci tenne a sottolineare «per le pressioni cortesi e ripetute dell’episcopato portoghese che ci ha obbligato ad intervenire, sia pur per breve presenza, al cinquantenario delle apparizioni della Vergine»; e bloccò bruscamente suor Lucia che intendeva parlargli, ordinandole di rivolgersi al vescovo locale. La gerarchia novatrice, tesa al Concilio con l’aggiornamento, all’unione coi protestanti e alla Ostpolitik, nonché alla svolta antropologica, s’è liberata con esasperazione e con sollievo da queste «profezie». Aggiungo solo che Padre Pio, ci credette fermamente, e accolse la visita della statua di Fatima, nell’agosto 1959, con commozione quando il simulacro della Vergine fu portato in elicottero a San giovanni Rotondo; e le attribuì l’improvvisa guarigione dalla grave malattia (pleurite essudativa) di cui aveva sofferto fino a quel giorno.
3) Si aggiunga l’odio ebraico inestinguibile verso la Spagna colpevole dell’espulsione dei giudei nel 1492. Un odio che non dimentica mai, un desiderio di vendetta incancellato nonostante il passare dei secoli: come sappiamo, è stata la comunità giudaica ad impedire alla Chiesa di beatificare la santa regina Isabella di Castiglia, a cui rimproverano ancor oggi l’espulsione. Inutile ricordare come gli ebrei fossero magna pars nel regime bolscevico.

 

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