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British-Israelites: gli ossessi
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Il 2 giugno 1780 l’odio anti-cattolico esplose a Londra in violenze di massa, ferocissime, con centinaia di vittime. L’evento è passato nella storia inglese come «Gordon Riots» dal nome del suo istigatore e fanatico mestatore, Lord George Gordon (1751-1793). Il pretesto fu il varo di una legge, Catholic Relief Act, che attenuava le più brutali discriminazioni ed esclusioni a danno dei sudditi cattolici imposte dal Popery Act del 1698, che prevedevano – vale la pena di ricordarlo – il divieto di acquistare terreni, la privazione del diritto di ereditare, e il «perpetual imprisonment» , l’ergastolo, per chi «laico o clerico papista», osasse aprire una scuola. La norma offriva inoltre, a chiunque catturasse «un vescovo, prete o gesuita papista» e lo accusasse di «dire Messa in questo Regno», un ragguardevole premio, o taglia, di 100 sterline. Restarono in ogni caso in vigore le privazioni dei diritti politici; i cattolici ebbero la piena parità giuridica solo nel 1846.

Lord George Gordon
  Lord George Gordon
Né il relativo addolcimento era ispirato da alcuna benevolenza verso i cattolici, tanto meno da alcun senso di giustizia, bensì dalla necessità di arruolare i cattolici nell’esercito, «diritto» da cui prima erano esclusi come infidi. In quel momento le forze armate imperiali erano, si direbbe oggi, over-extended: erano in conflitto contemporaneamente con Francia, Spagna e nelle colonie americane, dove avevano appena subito la cocente disfatta di Saratoga (1778); i nuovi Stati Uniti avevano fatto alleanza con la Francia; c’era ragione di temere un’invasione francese dell’Irlanda, ad incitare la sollevazione della popolazione locale.

Lord George Gordon si gettò freneticamente ad impedire che la legge di Relief fosse accettata nelle altre parti del Regno Unito. Ci riuscì in Scozia; poi raccolse decine di migliaia di firme che reclamavano l’abolizione della nuova legge, e le portò alla Camera (House of Commons) alla testa di una folla vociferante che esibiva coccarde blu e cartelli con la scritta «No Popery». I parlamentari esitarono ad accogliere subito la mozione; i dimostranti, infuriati, si sparsero per Londra in una improvvisata caccia al cattolico.

Chiese cattoliche, nella capitale inglese, non ne esistevano, essendo state vietate da un secolo; esistevano però luoghi di culti all’interno delle ambasciate dei Paesi cattolico-romani. La folla irruppe nell’ambasciata del Regno di Sardegna, poi in quella del regno di Baviera, e ne devastò le cappelle; da lì, passò a cercare cappelle private nelle residenze di benestanti notoriamente cattolici, che saccheggiò ed incendio. Ad Holborn fu espugnata la grande distilleria di mister Langdale (un cattolico): le botti di alcoolici, almeno quelle che non finirono nelle gole protestanti, furono date alle fiamme; l’incendio minacciò di propagarsi a tutta Londra, allora in gran parte edificata in legno (era ancora ricordato con terrore l’apocalittico incendio che nel settembre 1666 aveva distrutto quasi interamente la capitale).

Il governo, fosse o no colto di sorpresa, lasciò fare per diversi giorni. Cominciò a reagire quando la rivolta anti-papista assunse tinte di classe e sociale: i manifestanti assaltarono le prigioni e liberarono i detenuti, distrussero le abitazioni degli esattori fiscali a Blackfriar’s, organizzarono posti di blocco ai capi dei ponti del Tamigi, estorcendo denaro come pedaggio ai passanti; furono prese d’assalto anche magioni di Lord, protestanti o no che fossero, comunque impopolari: da quella di Lord Sanwich, primo lord dell’Ammiragliato, a quella di Edmund Burke, il politico e filosofo della storia (che qualche anno dopo ci avrebbe lasciato le sue profonde critiche alla Rivoluzione Francese); lo stesso Lord North, il primo ministro, sfuggì a malapena al linciaggio ordinando al cocchiere di lanciare al galoppo i cavalli; nell’occasione perse il cappello, che fu fatto a pezzi distribuii poi alla folla come trofei.

Quando – per la seconda volta – i manifestanti provarono ad attaccare la Banca d’Inghilterra, la misura era colma. Fu organizzata una milizia di abitanti in difesa della proprietà, e furono messe in campo le truppe; gli uni e le altre soffocarono la rivolta a fucilate. Quasi trecento i morti fra i dimostranti, senza contare i feriti. Migliaia gli arresti: 62 i condannati a morte, di cui 25 furono impiccati davvero, fra cui quattro donne e un ragazzo.

Anche Lord Gordon fu arrestato e incriminato per alto tradimento; ma ovviamente, il suo destino fu più lieto. Difeso da un avvocato di grido, il futuro Lord Erskine, fu pienamente assolto: il suo difensore riuscì a convincere la Corte che non aveva avuto intenzione di provocare le violenze. Altri personaggi importanti non furono nemmeno incriminati. Lo stesso William Blake, il poeta e pittore gnosticheggiante, fu visto a capo di un’orda di spaccatutto, anche se lui poi negò.

Lord George Gordon
  Lord George Gordon giudaizzante
Ma che tipo umano era lord Gordon, l’acceso protestante anti-cattolico? I contemporanei lo descrivono come «un eccentrico, sfrenato nel fanatismo e nelle passioni»; tanto da meritare un verso latino da un avversario colto: «Nulla displicuit meretrix praeter Babylonicam» , ossia: gli piacquero tutte le puttane, tranne quella di Babilonia («prostituta di Babilonia» era per i protestanti la Chiesa di Roma). Meno noto – ma segnalato dall’Enciclopedia Giudaica – è il suo serio tentativo di conversione all’ebraismo dal 1786 e la sua vita da «proselita» giudaico, per cinque anni a Birmingham, dove abitò preso una famiglia ebraica vestendo in tutto come un giudeo, con barba, con boccoli, filatteri e cappello nero, mangiando rigorosamente kosher. Anche se alla fine non fu accettato dai rabbini.

In questo, Gordon non fu un eccentrico solitario; al contrario, fu solo un esponente del singolare filo-giudaismo che dominò le classi alte inglesi, in aperto contrasto con quel che avveniva nel resto d’Europa. Uno stato d’animo, un état d’esprit collettivo e travolgente: la nobiltà anglicana, in piena euforia imperialista, si identificava con il Popolo Eletto, convinto di condividerne la storia sacra, e investito dell’alto destino messianico di prendere il potere temporale sul mondo e favorire il ritorno degli ebrei in Terra Santa.

Già nel 1618 il dotto James Whitehall, docente ad Oxford, che aveva accompagnato come relatore sir Walter Raleigh nella sfortunata spedizione anti-ispanica dell’Orinoco, al ritorno cominciò a predicare apertamente l’ebraismo (presso il Christ Church College di Oxford dove insegnava). Nello stesso periodo un ministro anglicano di nome John Traske fondò un folto gruppo di giudaizzanti: predicava che le norme legalistiche contenute nel Levitico erano vincolanti anche per i non-ebrei, e osservava lo Shabbat e la Pasqua ebraica, ed ebbe molti discepoli.

Il dittatore rivoluzionario Oliver Cromwell, appena decapitato il re Carlo I e instaurata la repubblica nel 1649, si adoperò intensamente per riammettere gli ebrei in Inghilterra. Probabilmente era stato anche lui convinto da un libro che ebbe notevole circolazione, «Apology for the Honourable Nation of the Jews», il cui autore Edward Nicholas sosteneva che l’espulsione degli ebrei metteva a rischio il popolo inglese di «perdere il favore e la protezione di Dio». Un infaticabile promotore del ritorno degli ebrei in Inghilterra fu il rabbino Menasseh ben Israele di Amsterdam (1570-1644): fu invitato a Londra dal filosofo Robert Boyle, suo influente amico e convinto filo-giudeo. Quando arrivò a Londra a capo di una delegazione rabbinica, Menasseh e i suoi furono alloggiati con tutti gli onori spettanti ad ambasciatori, sullo Strand, come ospiti personali di Cromwell, il Capo Reggente.

Nemmeno il dittatore Cromwell riuscì alla fin fine a far riammettere gli ebrei (le potenti gilde dei commercianti inglesi temevano la concorrenza). Ma bastò perché nelle sinagoghe europee il rivoluzionario fosse definito «non tanto un uomo di carne e sangue, ma un composto divino disceso dall’alto»: il messia, o almeno un messia. Una delegazione di ebrei di Praga viaggiò fino ad Huntington, dov’era nato il dittatore, per appurare, consultando gli archivi parrocchiali, se Cromwell non avesse origine ebraica; in tal caso, erano pronti a dichiararlo discendente di David. Intanto fecero circolare un opuscolo dal titolo «Cromwell, Lion of the Tribe of Judah».

Fu una vera passione collettiva, uno stato d’animo infocato , continuamente alimentato da pubblicazioni, opuscoli e libretti a larghissima diffusione sulle «genealogie» ebraiche degli inglesi, e sul mito delle Tribù Perdute di Israele: che provocò anche manifestazioni visionarie «profetiche» con evidente, o sospettabile, risvolto psichiatrico. Nel 1650 Thomas Tany, un argentiere londinese, scoprì di appartenere alla tribù di Ruben e annunciò che presto sarebbe stato ricostruito il Tempio a Gerusalemme, con lui come Sommo Sacerdote. Nel 1714 il filosofo John Toland, noto come promotore di un panteismo materialista (fu avversato da Leibniz), invitò i vescovi anglicani ad ammettere gli ebrei nel loro senso, dato che era risaputo «che una parte considerevole degli abitanti britannici sono indubbiamente (...) discendenti di ebrei»: fra cui, diceva, «ragguardevoli Prelati, per non parlare dei Lord o dei Comuni».

Poco dopo usciva un saggio dal titolo «Jubilate Agno» il cui autore si definiva «lo scrittore delle novelle del Signore, l’evangelista scriba»: in tale veste egli rivelava che «gli INGLESI sono seme di Abramo e risalgono a lui attraverso Joab, Davide e Neftali (mentre) i GALLESI sono figli di Mefiboset e Ziba, con un misto di Davide fra i Jones». L’entusiastica accoglienza del pubblico a queste rivelazioni non fu affatto diminuita dal fatto che l’autore, Christopher Smart, scriveva da un ospizio per malati di mente.

Gran seguito ebbero alcune donne, come Joanna Southcott (1750-1814), figlia di un formaggiaio, che si autoproclamò «la donna vestita di sole» dell’Apocalisse 12,1, e pronta va dare alla luce il Messia. I suoi seguaci si tassarono per dare all’imminente Messia una culla degna di lui, spendendo 200 sterline per quest’opera di oreficeria, ed altre centinaia di sterline per «i cucchiai per la pappa». Mary Johanna Boon, moglie di un calzolaio analfabeta, ordinò ai suoi (numerosi) seguaci di considerare festivo il Sabato e fondò una nutrita setta nota come «i Johannas», che si facevano circoncidere pubblicamente. Un successore della visionaria, John Wroe, divise i seguaci in dodici tribù; ed inondò le librerie di sue rivelazioni a stampa, da «Vision of an Angel» (1852) da «A Guide to the People surnamed Israelites».

Spiccavano in questa particolare letteratura gli studi scientifici volti a comprovare la somiglianza caratteriale fra britannici ed ebrei, fra cui «quell’irritante spirito di indipendenza» e la comune lotta contro «la prostituta di Roma e i Gesuiti». Letteratura che è durata anche nei secoli seguenti: nel 1869 ebbe successo un libro, di tal R. Govett, sulle tracce di ebraico presuntivamente rintracciabili nella lingua inglese, «English derived from Hebrew, with glances in Greek an Latin». Io stesso ho avuto fra le mani in America un libretto, pubblicato da «British Israelites» locali in occasione della operazione Desert Storm, in cui si sosteneva che l’invasione dell’Iraq era il compimento delle profezie apocalittiche e del compito messianico degli inglesi. Il tutto, sostenuto da etimologie come: la parola «Saxon» indica che il popolo sassone discende dagli ebrei, infatti sarebbe una contrazione di «Isaac Sons»; il nome della bandiera inglese, «Union Jack», significa «Unione di Giacobbe», e così via (1).

Del resto, è avvenuto di peggio nel tardo ‘700 un tale Grey (oltretutto irlandese) uccise il proprio figlio: al solo scopo, come spiegò ai giudici, di poter perorare pubblicamente, al suo processo, la causa della riunificazione degli ebrei in Terra Santa, di cui era un entusiasta.

Un Richard Brothers (1757-1824), ufficiale della Marina militare, scoprì al ritorno da una missione in mare che sua moglie aveva generato figli con un altro uomo, con il quale conviveva: Brothers ne concluse che il mestiere delle armi era contrario all’insegnamento di Cristo, divenne vegetariano e si diede all’infaticabile stesura delle sue altre rivelazioni. Nel vasto volume Revealed Knowledge of Prophecies and Times, annunciava al mondo che lui, Brothers, discendeva direttamente da Davide per via di Giacomo, il fratello di Gesù; e che il Secondo Avvento del Messia sarebbe avvenuto il 19 novembre 1795: data nella quale lui stesso sarebbe stato riconosciuto Principe degli Ebrei, ed avrebbe riportato in Palestina le Tribù Perdute, oggi risiedenti, come «ebrei invisibili», in Inghilterra.

«Il governo della nazione ebraica, sotto il Signore Dio, sarà affidato a me», scrisse. Per questo fu incriminato davanti al Consiglio Privato della Corona e messo in manicomio. E tuttavia, il successo del suo volume profetico fu immenso (ancor oggi iol suo nome è segnalato nel Dictionary of National Biography); personaggi importanti furono suoi discepoli, dal deputato Nathaniel Brasset Halhet, che fu anche un esploratore in Oriente, fino a William Sharp, celebre incisore ed amico di William Blake. Costui incise il ritratto di Brothers e volle scriverci sotto: «L’Uomo che Dio ha designato».

Ma lo stesso William Blake, la cui strana pittura ed arcani poemi hanno suscitato tanto interesse nei contemporanei – che vi vedono un precursore dello spirito dei Preraffaelliti, nonché del Surrealismo e del New Age – era completamente imbevuto di queste convinzioni. E le espresse nel suo scritto Jerusalem, che intendeva profetico, in modi che riportiamo qui sotto:

«Gerusalemme, l’Emanazione del Gigante Albione! Fu britannico il primo suolo della Religione Patriarcale? (...) E vero che Gerusalemme era, ed è, l’Emanazione del Gigante Albione. E’ vero e non può essere confutato. Noi siamo uniti, o abitanti della terra, in un’unica Religione: la Religione di Gesù, il Vangelo più antico, eterno e per sempre. I malvagi si trasformeranno in malvagità, i giusti in giustizia. Amen! Huzza! Selah! (…) Tutte le nazioni iniziano e finiscono nell’antica costa rocciosa druida di Albione. I tuoi antenati discendevano da Abramo, Heber, Sem, e Noè che erano druidi, come i templi druidici (che sono i pilastri patriarcali e boschetti di quercia) su tutta la Terra a testimonianza di questo giorno. (...) L’Uomo anticamente conteneva nei suoi potenti confini tutte le cose in Cielo e sulla Terra: hai ricevuto ciò dai Druidi. Ma adesso i Cieli stellati sono colmi dei potenti figli di Albione», eccetera.

William Blake
  William Blake
Ognuno giudichi se si tratta di una mente sconnessa o di un grande visionario. Blake sosteneva di aver visioni – o allucinazioni – fin dagli otto anni, quando disse di aver visto un albero pieno di angeli che “cospargevano ogni ramo di lustrini simili a stelle”. Un’altra volta, sua moglie gli ricordò che lui un giorno aveva visto il volto di Dio “proprio fuori dalla finestra”: la visione, rammentò la donna al marito, “Ti fece gridare all’improvviso”. Del resto, erano gli anni in cui in Francia cresceva, non meno travolgente ed ossessivo, l’état d’ésprit collettivo che sboccò nella Rivoluzione. Come ha scritto Sedlmayr, «siamo nei decenni in cui molti artisti vengono posseduti da forze demoniache. Lo scultore X. Messerschmidt, spinto da un impulso interiore, atteggia sempre i suoi volti a una smorfia; nell’arte, spesso gelida, di J.H. Fuessli, sono innegabili gli elementi derivanti da una autentica allucinazione; in quell’epoca J. Flaxman ha la visione del volto del diavolo ch’egli, non so perché, chiama ‘lo spirito della pulce’ (ghost of the flea). È come se nell’uomo si sia aperta una porta verso il mondo degli inferi, e questo mondo minacciasse con la follia coloro che hanno visto troppo di quanto esiste in esso». (2)

Ho controllato: non fu Flaxman, peraltro grande amico di Blake, ad avere la visione dello «spirito della pulce», ma William Blake stesso. Secondo il biografo vittoriano dell’artista Alexander Gilchrist, egli vide lo spettro, «una orribile lugubre figura squamosa, picchiettata, assolutamente spaventosa». Blake raccontò di questa apparizione e la dipinse più volte come un rettile umano, sia in rapidi schizzi appena dopo l’allucinazione,



sia nel ricercato dipinto (in foglia d’oro su mogano) del 1819 conservato al Tate Museum, dove la creatura appare nell’atto di leccare una ciotola di sangue umano con la lingua da rettile,



E a cui appunto diede il titolo «Ghost of the Flea». Blake ebbe la visione nel 1790, mentre a Parigi saliva il Terrore. Negli stessi tempi a Madrid, Goya cadde colpito da una grave malattia la cui natura ci resta ignota, dopo la quale si diede freneticamente a produrre i propri incubi: i Disegni, i Sogni, dove l’uomo appare in balia di forze stregonesche, o semi-addormentato sotto una nuvola di pipistrelli e gufi. È il celebre «Sogno della Ragione genera Mostri»: un giudizio che restava, dopotutto, cattolico. Blake diede un’accoglienza più festosa (e disarmata) alle visioni che vennero a visitare i poeti, questi manometri della febbre della civiltà, in quegli anni; le salutò come l’annuncio della nuova era, in cui l’uomo avrebbe superato i limiti posti dai cinque sensi.

«Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito», scrisse. Ossia «Voi sarete come dèi». In inglese, la frase ( If the doors of perception were cleansed...»), è stata significativamente adottata nel mondo anglosassone .

Aldous Huxley, nel 1954, intitolò «The Doors of Perception» il libro sulle sue esperienze di allargamento della coscienza tramite la mescalina. Jim Morrison, nello stesso état d’esprit, ha nominato The Doors il suo complesso.





1) Maurizio Blondet, «Tutti i Complotti», capitolo «British Israelites», pag.83
2) Hans Sedlmayr, Perdita del Centro, Rusconi 1970, pagina 151.


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