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Gran Torino?
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«Comprereste un’auto da Chrysler?»: il titolo dell’articolo di Business Week (1) contrasta fin troppo vistosamente con i peana elevati in coro dai media italiani per il trionfo Fiat, il capitano coraggioso Marchionne, la «ricerca» e i «nuovi motori» che la casa torinese porterà in dote a quella americana.  Armi segrete, di cui non avevamo avuto notizia fino ad oggi.

Con l’acquisizione, intonano i cantori nostrani, Fiat «torna sul mercato americano» (ne era fuori  dall’82,  forse anche perchè Agnelli  scelse come capo di Fiat-USA il noto Furio Colombo), e potrà avvalersi della «rete di vendita» Chrysler.

Tanto per cominciare, Business Week precisa: le vendite Chrysler in USA sono cadute del 46% «molto peggio del calo generale del 38% del mercato auto». Il crollo è dovuto, certo, alla restrizione americana del credito al consumo, alla recessione dilagante e alle voci di fallimento: pochi comprano auto da una casa che sta per fallire (anche se le Chrysler e gli altri suoi marchi, Dodge e Jeep, vengono via con sconti fino al 23%) per l’ovvio timore che scompaiano anche le garanzie sull’automezzo. Da notare che il governo Obama ha assunto su di sè le garanzie per chi acquista una Chrysler... il contribuente pagherà i tagliandi.

Quanto alla famosa «rete di vendita»: date le sue condizioni Chrysler, che attualmente ha in USA 3.150 concessionari, conta di doverne  tagliare  «1.200-1.500» . Ciò significa, spiega il settimanale economico, che «il concessionario a 15 minuti da casa vostra sparirà, e per la manutenzione del vostro veicolo avrete un concessionario a 45 minuti».

Il peggio è la questione della «affidabilità e della qualità» degli automezzi Chrysler, come sono valutati da valutatori indipendenti. La rivista «Consumer Reports» (la Bibbia dei consumatori americani) ad esempio, «non raccomanda alcuna Chrysler, Dodge o Jeep nella sua guida per l’acquisto di auto quest’anno». Stessi giudizio viene da JD Power & Associates, un’agenzia della editoriale McGraw Hill: non consiglia alcun veicolo Chrysler, e «valuta la loro qualità molto inferiore a quella dei veicoli concorrenti e della media del settore».

La suddetta agenzia sonda regolarmente i proprietari di auto per sapere da loro quanto sono soddisfatti. Più precisamente, chi ha una Chrysler da qualche tempo, se interrogato sulla esecuzione (Automotive performance execution) e sulla bontà della progettazione (Layout study), le assegna «un punteggio molto al disotto della media», e ciò per tutt’e tre le marche. In particolare, tre modelli importanti per la casa, Chrysler Sebring, Jeep, Liberty, e Grand Cherokee, «sono al punto più basso, o vicini al punto più basso, per la loro categoria». Quanto al «Dependability study», che misura quanto i clienti ritengano affidabile l’automezzo dopo tre anni di possesso, «la valutazione (dei clienti) è molto al disotto della media generale».
Niente paura, ci dicono i cantori di casa Agnelli (oggi Elkann): la Fiat soccorrerà l’agonizzante Chrysler con i suoi «nuovi motori» verdi, a basso consumo, che la «creatività italiana» ha già pronti in canna.

Business Week ha un altro parere: «Purtroppo, Fiat soffre degli stessi problemi di qualità di Chrysler. I modelli Fiat non riscuotono alti punteggi per qualità e per affidabilità negli attuali mercati di vendita, in Europa e Sudamerica. Le Fiat e le Alfa Romeo (della Fiat) vendute in Europa sono al fondo delle classifiche quanto ad affidabilità. Secondo la rivista britannica «Which?», che è l’analogo inglese di Consumer Report in USA, queste auto «hanno bisogno di migliorare in modo significativo per sollevarsi dal piano-terra». La rivista inglese «What Car?», che fa sondaggi sui possessori di modelli Fiat in Gran Bretagna, pone la Fiat all’ultimo posto su 28 marche per la soddisfazione dei clienti che possiedono un’auto da due anni. Come qualità e affidabilità, il punteggio è al 30%» su un indice 100.

Dunque, a credere alle pubblicazioni estere del settore, ben informate (e non pagate dalla pubblicità Fiat, come certe riviste italiane che vivono di quello) sembra che Fiat non abbia risolto i suoi problemi, ben noti ai clienti italiani che hanno smesso di comprarle (come il sottoscritto): qualità e affidabilità più che modesta. L’alleanza con Chrysler è dunque un’alleanza fra produttori sub-prime, in un mercato mondiale dove l’eccesso di capacità produttiva del settore è di 30 milioni di auto, e per di più dove le vendite sono in calo del 40%; dove soffrono campioni della «qualità totale» come Toyota.

Un tantino più clemente il giudizio di un articolo che Consumer Reports ha dedicato alla fusione Fiat-Chrysler in gennaio. A favore, cita il fatto che Chrysler non ha alcuna auto «piccola e di poco consumo», il che la lascia scoperta in un segmento del mercato «vitale, quello delle auto economiche». Conferma che Chrysler ha «la peggiore affidabilità di Detroit», ed è al 32mo posto su 34 marche valutate dal «nostro sondaggio sulla affidabilità». I suoi modelli danno un’esperienza di guida «opaca», e come linea e finiture, sono «sotto l’accettabile»; quanto a Fiat, «almeno in  USA, non è mai stata una marca celebre per affidabilità» (anche da noi, tranquilli).

E tuttavia, conclude l’autore (Jeff Bartlett), «le possibilità di risparmio dei costi dovuti alla condivisione di modelli e di tecnologia, alla distribuzione e alla forza contrattuale congiunta presso i fornitori, può fare bene ad entrambe le case a lungo termine» (2).

Ecco, magari, a lungo termine. Se un popolo di obesi, abituato ad auto obese e a cilindrate obese, a enormi pick-up e a mostruosi SUV, si convertirà alla Punto, Panda e 500. Magari lo dovrà fare per miseria, data la grande depressione in corso in America: ma con ciò, le auto Fiat non rischiano di fissarsi per sempre nella memoria collettiva come le auto della fame, o della sfiga? Come da noi le divise in orbace e Lanital di fabbricazione autarchica, o le tessere annonarie? Attenzione, può essere un nodo psicologico rovinoso: le auto non sono «commodities», sono sogni sexy su ruote. La Fiat non è mai stata tanto sexy, anche se Marchionne crede che la 500 sia «il nostro iPod». Bisogna vedere se ci entra un americano da 200 chili.

Senza contare che questo genere di fusioni tra industrie non sono mai riuscite facilmente. Come si ricorderà, un accordo Fiat-General Motors è andato così bene, che la GM ha accettato di pagare 2,2 miliardi di dollari di penali per di liberasene. La Daimler ha tentato l’acquisizione di Chrysler, ed ora tenta disperatamente di liberarsi del pacchetto azionario, senza riuscirci (resta socia di Fiat nel catorcio americano). E visto che poi Marchionne punta ad acquisire anche Opel , che è la Fiat tedesca, c’è veramente da temere che il risultato finale della grande, entusiasmante avventura, possa essere la nascita della Casa Sfiga Globale.

Ma no, ma no. I meriti e le capacità di Marchionne sono indubbi. Auguriamo tutta la fortuna all’impresa. Come nota Consumer Report, «dopo tutto, Fiat non investe alcun capitale in Chrysler», la quale viene rifornita di capitali «dal contribuente americano», grazie al piano di salvataggio di Obama, e lo sarà per lungo tempo. Ecco la vera, autentica, creativa specialità per cui Casa Agnelli è stata all’avanguardia da sempre: farsi pagare dai contribuenti. Socializzare le perdite, privatizzare i profitti. A spese degli italiani, per lunghi decenni. Oggi, sul gobbo degli americani - è il  bello della globalizzazione - avendo convinto il negretto di avere in serbo motori «verdi», a consumi da caffettiera, e presto ibridi eccezionali.

La nuova frontiera ecologica, la grande speranza di Obama. Che non s’intende nè di economia nè di auto.

Indice di affidabilità

(Fonte >  www.reliabilityindex.co.uk)

Secondo la rivista inglese «What Car?». Questo «reliability index» tiene conto di tutti i costi delle riparazioni, della frequenza delle riparazioni e dei costi dei ricambi.

Come leggere la classifica: la media è 112, il che significa che se l’auto ha un indice superiore (esempio: Alfa Romeo 155), essa è meno affidabile della media. Se l’indice è inferiore a 112, come  Volkswagen (81), Toyota  (65), Honda (34!), si tratta di auto più affidabili. Si noti che Chrysler è sopra la media (152), con Jeep che raggiunge un disastroso 224. Fiat appare un po’ più affidabile della media (101), ma molto meno affidabile di Ford (70) e di Daewoo (91).

ALFA ROMEO 155.59
AUDI 135.50
BMW 86.10
CHRYSLER 152.19
CITROEN 67.23
DAEWOO 91.59
FIAT 101.83
FORD 70.55
HONDA 34.00
HYUNDAI 65.34
JAGUAR 137.16
JEEP 224.60
KIA 72.27
LANDROVER 211.71
LEXUS 77.56
MAZDA 37.51
MERCEDES 116.27
MINI 72.88
MITSUBISHI 92.87
NISSAN 67.04
PEUGEOT 74.51
PORSCHE 240.01
RENAULT 112.83
ROVER 97.79
SAAB 124.33
SEAT 94.76
SKODA 49.98
SUBARU 97.67
SUZUKI 33.52
TOYOTA 65.22
VAUXHALL 80.45
VOLKSWAGEN 81.74
VOLVO 108.52




1) David Kiley, «Would you buy a car from Chrysler?», Business Week, 1 maggio 2009.
2) Jeff Bartlett, «Chrysler and Fiat form a global alliance», Consumer Reports, 1 gennaio 2009.



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