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Gli incredibili risultati della cura Di Bella
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Pubblichiamo con soddisfazione tre testimonianze, raccolte da Il Giornale.it, sulle straordinarie proprietà curative del Metodo Di Bella. Giuseppe Di Bella è conosciuto perlopiù come il figlio dello scienziato Luigi Di Bella, l'inventore dell'unica cura del tumore al momento esistente (se si escludono le operazioni e la radioterapia di ultima generazione, la cui efficacia, in determinate situazioni, abbinate alla cura, sono pacificamente riconosciute ed auspicate da Giuseppe); Giuseppe è invece anche un grandissimo medico, con conoscenze aggiornate in ogni campo di tale disciplina, e per di più dotato di capacità manageriali rilevanti, che lo hanno portato a far conoscere – ed apprezzare – il Metodo Di Bella all’estero. Gran signore, cortese, paziente, affabile, con profonda fede ed idealità elevate, molto fantasioso nel diversificare ed adattare le numerose modalità di applicazione del Metodo, finanzia, con risorse personali, così come faceva il padre Luigi, che si era approntato un vero e proprio laboratorio, studi per migliorarlo ed ottimizzarlo: per esempio vuole sostituire il fastidioso temporizzatore, che consente il lento rilascio (10 ore) della Somatostatina e dell'Octreotide, con un cerotto a lento rilascio dei prodotti; per far ciò è opportuno distaccare qualcuno che lo realizzi. È straziante se si pensa ai milioni di euro elargiti da parte dei generosi italiani a vari enti di ricerca, risorse che servono solo a stipendiare gli stessi. I riconoscimenti sono però sempre più frequenti; presto sarà cancellata la fasulla e truffaldina sperimentazione del trio Prodi, Veronesi, Bindi, di cui abbiamo pubblicato gli atti. Ci auguriamo che Luigi Di Bella ottenga prima o poi il riconoscimento del Premio Nobel, che è già stato assegnato con spudoratezza a Dario Fo.
(per contatti info@metododibella.org)
La redazione


Nato con un tumore alla gamba, guarisce senza amputazione


Paolo è nato con un tumore. Fibrosarcoma congenito alla coscia destra. Glielo hanno diagnosticato a dieci giorni di vita al Policlinico di Catania. Era il 9 gennaio 1999. Paolo è nato il 28 dicembre 1998, a Messina.

Oggi ha 13 anni, si gode la sua adolescenza da ragazzo sano, senza alcun handicap. E con quella gamba che i medici avrebbero doluto amputargli, tira di destro che è una meraviglia. Fra le sue passioni c’è il calcio: il papà è il suo fan più sfegatato, sul campo lo guarda come se fosse Totò Schillaci. Come si guarda un campione. Ma la storia della malattia di Paolo è stata gestita dalla mamma, dall’inizio alla fine. Lei, figlia della segretaria di un medico dibelliano (Giovanni Calogero, di Gioia Tauro) ha respirato da subito un’aria diversa. Come dire: l’ossigeno le è arrivato dritto in casa, grazie alla sua, di mamma. Per questo ha trovato la forza di risparmiare al figlio di pochi mesi l’amputazione della gamba. Il fibrosarcoma è un cancro maligno, il più comune tumore dei tessuti molli nei bambini al di sotto di un anno, cresce rapidamente, non dà metastasi. Il trattamento privilegiato è quello chirurgico, quando non è possibile, il tumore si affronta con chemio e radio. Dopo l’intervento la sopravvivenza a 5 anni è dell’80 per cento. Il tumore di Paolo non si poteva operare, era alla radice della coscia destra e interessava anche una porzione del bacino e dell’anca.

Quando ve ne siete accorti?
“Subito, Paolo è nato con una vistosa tumefazione all’inguine. La prima ecografia l’ha fatta a due giorni di vita, eravamo all’ospedale di Messina”.

Cosa vi dissero i medici?
“Di fare subito una biopsia, andammo al Policlinico di Catania. La diagnosi arrivò il 9 gennaio 1999, la massa era di 4 centimetri ma non era localizzata solo alla coscia, era estesa anche al bacino e all’anca. Ci proposero la chemioterapia, l’intervento sarebbe stato troppo complicato”.

E voi?
“Accettammo. Dal 20 gennaio a marzo, Paolo fece 4 cicli”

E' stato tanto male?
“Stava malissimo i primi 3 giorni, poi si riprendeva, aveva perso i capelli…”

I risultati?
“Deludenti, come se il cocktail di vincristina e acrinomicina (i due chemioterapici) fosse stato acqua fresca, la risonanza di fine terapia accertò che il tumore era cresciuto di 7 millimetri”.

Che soluzioni vi prospettarono?
“Da Catania chiesero un consulto alla chirurgia pediatrica di Padova, ci proposero di fare l’intervento: emipelvectomia, significa rimuovere parte del bacino oltre alla gamba. Ma sull’esito dell’operazione, decisamente invasiva su un bimbo così piccino, nessuno ci rassicurò, non mi seppero dire con certezza se poi il bambino sarebbe stato bene…”

Lei cosa fece?
“Pregavo e mi ripetevo: se il Signore lo vuole non devo oppormi…”

Come Abramo davanti alla richiesta di sacrificio del figlio Isacco… incredibile…
“Non avrei accettato la mutilazione di mio figlio”.

Ma ha aspettato il miracolo?
“Affatto, mia madre lavorava da un medico che era in contatto col professor Luigi Di Bella (lo sa che il professore aveva fatto il liceo scientifico a Messina?). Portai il bimbo da Calogero e iniziammo la cura decisa per lui dal professor Di Bella”.

Che tipo di cura?
“Una puntura di somatostatina tutte le sere, un chemioterapico, il ciclofosfamide, a dosi bassissime, poi retinoidi, melatonina, acido ascorbico…”

Efficace?
“Dopo due mesi e mezzo-tre la massa si era ridotta di dimensioni, da allora in poi la diminuzione del tumore è stata progressiva, da 47 millimetri a 35, poi dopo altri 2 mesi era diventata di 29, poi 24, 22… in cinque anni scomparve del tutto”.

Da allora basta medicine?
“Smettemmo con la somatostatina ma tuttora Paolo prende retinoidi e acido ascorbico”.

Conobbe di persona Luigi Di Bella?
“Sì, venne a Messina per un convegno quando Paolo era già in terapia con Calogero, glielo portai, lo visitò e mi tranquillizzò, la cura era quella giusta”.

Quanto vi costò?
“Ottocentomila lire al mese, i primi tempi, poi ho perso il conto…”

Tutto di tasca vostra?
“Sì, non abbiamo fatto ricorso. Le medicine ce le procurava una farmacia di Catania”.

Che ricordo ha di quel periodo?
“Quando Paolo aveva otto anni ed era già in splendida forma lo portai in ospedale dal primario del Policlinico di Catania che mi aveva suggerito l’amputazione. Gli dissi che mio figlio era guarito con la cura Di Bella. Lui non commentò…

Ma come niente di niente?
“Ci sorrise, ci strinse le mani e ci disse più di una volta ‘mi fa piacere, mi fa piacere’…”

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"Mio figlio, malato di tumore a sette mesi"

Storia di Paolo, sette mesi e un tumore di 8 centimetri nella pancia. Il finale è talmente bello che va anticipato: Paolo oggi ha 13 anni e mezzo, è un ragazzone alto e robusto. E soprattutto è sano.

Da un decennio i suoi esami sono perfetti. Il cancro, un neuroblastoma retroperitoneale, diagnosticato al terzo stadio e giudicato inoperabile dai chirurghi del Gaslini di Genova, è scomparso. Del tutto e in 14 mesi. Fu il professor Luigi Di Bella a curarlo. Ed è stato il figlio Giuseppe a seguirlo nella terapia di mantenimento, fino a quattro anni fa (lo studio è stato pubblicato su Neuroendocrinology Letters vol 30 n 4 2009).

Il papà Corrado ci parla di Paolo, paragona la sua guarigione a una rinascita, la nuova vita di tutta la famiglia. Infatti, quando il bambino smette definitivamente la terapia Di Bella, arriva la sorellina. Sentiamolo dall’inizio, il racconto.

“Siamo di Avola, in Sicilia. Paolo è nato nel maggio del ’98. Verso fine novembre accusa i primi disturbi: stitichezza, coliche. Diamo la colpa al latte. L’ecografia insinua il sospetto. Poi, con la tac all’ospedale di Siracusa, la conferma: ci viene mostrata una massa tumorale fra l’addome, la colonna vertebrale e il rene. Il consiglio è unanime, ci suggeriscono di andare al Gaslini e noi ci precipitiamo a Genova”.

Cosa vi dicono?
“Che Paolo ha un neuroblastoma retroperitoneale di 8x4 centimetri, un tumore maligno enorme. Non si può operare, la massa ingloba troppi vasi sanguigni. Pure l’aorta…”

Quindi?
“Ci spiegano che la chemioterapia potrebbe ridurre le dimensioni del cancro fino a renderlo operabile…”

E voi non vi siete fidati…
“Tutt’altro. Eravamo sotto Natale, il reparto era pieno di bambini, c’erano diversi casi come il nostro, io facevo pressioni perché non ci rimandassero troppo a lungo. La situazione peggiorava giorno dopo giorno, Paolo aveva anche dolori. Ricordo bene che era un venerdì…

Che successe quel venerdì?
“Il lunedì successivo Paolo avrebbe dovuto iniziare la chemio. Ma non ce lo portai. Mi arrivò una telefonata, era una mia amica di Roma. Conoscevo la storia di un suo parente che diversi anni prima era stato curato per un tumore dal professor Di Bella e stava bene. Eravamo tutti al corrente di quella storia, in famiglia. Direi proprio che la forza l’abbiamo attinta da lì”

Forza per…?
“Per venire via dal Gaslini. Io e mia moglie eravamo atterriti, di più: devastati. Ma rispetto alle altre famiglie (che ignoravano la cura Di Bella) eravamo più coraggiosi… non so spiegarle, quando sei ignorante hai più paura..”

Si spiega benissimo…che successe allora?
“Quando parlai al primario del Gaslini per dirgli che me ne sarei andato avevo già contatto il professor Di Bella, mi aveva fissato l’appuntamento per il 31 dicembre”

Al Gaslini parlò della terapia Di Bella?
“Preferimmo di no. Dissi che volevamo sentire un altro parere, sulle prime il primario si alterò ‘abbiamo fatto i salti mortali per farvi iniziare lunedì, dove volete andare?’ ‘A Milano, mi hanno parlato bene dell’istituto dei tumori…’ Devo dire che si dimostrano tutti molto premurosi, inviarono un fax al centro milanese, mi spiegarono a chi avrei dovuto rivolgermi…”

Lei invece portò Paolo a Modena.
“Esatto. E quando richiesi la cartella clinica al Gaslini dovetti spiegare perché non ero stato a Milano, dissi che la scelta cadde su Catania.

Titubanze?
“Dico la verità: all’inizio sì. La cura avremmo dovuto farcela da soli, senza ospedali, medici o infermieri. Il professore ci spiegò tutto, ci incoraggiò. Ci indicò le cinque farmacie a cui avremmo potuto rivolgerci per avere gli antitumorali ben preparati. Le medicine ci arrivavano a casa, ogni tre mesi facevamo i controlli. Paolo rispondeva benissimo alla cura, dopo i primi 4 mesi la massa tumorale si era ridotta, non aveva dolori, né difficoltà ad andare in bagno. A quel punto, toccando con mano i miglioramenti, sparirono i nostri dubbi. Alla fine del primo anno di cura il tumore si era dimezzato. E Paolo era rientrato nei parametri di peso e altezza della sua età”.

Dove facevate gli esami?
“Privatamente, a Catania”

Quanto costò curare Paolo?
“Più o meno due milioni e mezzo al mese.Esaurimmo i nostri risparmi, molti parenti e amici ci facevano delle offerte, una tivù locale organizzò una partita di calcio e ci destinò i fondi. Poi, grazie a un giudice pugliese ottenni il rimborso della somatostatina, che è in assoluto il farmaco più caro.”

Paolo ha fatto una vita normale?
“Normalissima, l’abbiamo mandato all’asilo a cinque anni. Ogni volta che venivano cambiati i dosaggi il professore prima e il dottore poi ci avvertivano che il bambino ‘avrebbe potuto accusare stanchezza’ e di non preoccuparci, invece è sempre stato un leone”

Ma fino a quando è proseguita la cura?
“Il tumore è sparito in 14 mesi, dopo erano rimaste solo calcificazioni sparse, proseguimmo con il mantenimento classico per altri cinque anni. E con dosaggi sempre più ridotti fino ai dieci anni di Paolo”.

A dieci anni stop medicine ed è arrivata la sorellina…
“Siamo rinati tutti con Paolo”.

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"Io, guarita da un tumore al polmone, sto bene da 16 anni"

Adriana Bastia, 79 anni, vive a Crevalcore in provincia di Bologna con il marito ottantaseienne. Sedici anni fa di anni ne aveva 63. Era il 1996 quando le diagnosticarono un tumore al polmone al terzo stadio: un microcitoma di 7 centimetri con infiltrazioni ai bronchi, al cuore e al mediastino, dunque inoperabile.

Affrontò sei cicli di chemioterapia e 25 applicazioni di radioterapia. Risultato? Il cancro non venne scalfito di un millimetro, il suo aspetto era identico a quello manifestato prima delle cure: 7 centimetri di massa estese ad altri tre organi. Di buono c’era che il microcitoma non era nemmeno cresciuto ma sentite a che prezzo: “Non riuscivo più a fare un piano di scale – ricorda Adriana che ora, con sedici anni in più, le stesse scale le fa almeno quattro volte al giorno – Certi giorni non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto. La vera botta per me è stata la radio, ero ridotta a uno straccio”. Non era tutto. Per Adriana, dopo le cure, non ci sarebbe stato più nulla da fare. Lo dissero i medici dell’ospedale Sant’Orsola al marito, di nascosto da lei. “Ma io capii lo stesso, la sentenza di morte era stampata sulla faccia di mio marito…”

Partiamo dall’inizio. Come si accorse del tumore?
“Per caso, non mi dava disturbi. Nel ’96 ebbi una colica intestinale, il medico mi prescrisse una serie di esami, fra i quali una lastra al torace”.

Che disse…?
“Non compresi subito, mi venne consigliata una tac. Da lì il responso: carcinoma polmonare a piccole cellule, 7 centimetri…”

Ha mai fumato?
“Da giovane sì ma per pochi anni. Devo aver iniziato a 16 anni e smesso otto anni dopo”.

Dunque nessun disturbo per quei sette centimetri di cancro in quattro organi?
“Mai una tosse preoccupante o un problema respiratorio, neppure dolori.”

Cosa fece dopo la diagnosi?
“Mi affidai al Sant’Orsola e affrontai la chemioterapia da febbraio a giugno: avevo perso i capelli, avevo una nausea persistente… Man mano perdevo sempre più le forze, poi in agosto la radioterapia mi diede il colpo di grazia…”

In che senso…?
“Non mi reggevo più in piedi, dovevo essere sostenuta, ero invecchiata di botto”.

A 63 anni…
“Già (sorride) per me il tempo è girato al contrario: ora a 79 anni vado spedita ovunque…”

Ma dopo quelle cure estenuanti gli esami cosa rivelarono?
“Il mio tumore non rispondeva alle terapie, mi fecero credere che le cose erano migliorate ma, siccome non mi diedero altre cure e la faccia di mio marito parlava da sola, io stetti al gioco, finsi di crederci…A lui comunque dissero che non ci sarebbe stato altro da fare, se non alleviare i dolori al momento opportuno…”

A quel punto, quando pensò di essere condannata, cominciò la cura Di Bella?
“Le mie figlie si interessarono, erano gli anni del clamore mediatico. Fuori dallo studio del professor Di Bella la coda dei malati era interminabile, ci rivolgemmo al dottor Achille Norsa di Verona. Cominciai la cura in ottobre, dopo dieci giorni ripresi a far le scale da sola, dopo 3 mesi i primi risultati”.

Ovvero?
“Il tumore regrediva ed io riprendevo sempre più le mie forze, stavo sempre meglio”.

Si faceva da sola l’iniezione di somatostatina?
“No, aveva imparato mio marito, tenevo la siringa temporizzata dalle 8 alle cinque del mattino, sono andata avanti così per sette anni. Ora ho ridotto le dosi, prendo un terzo del farmaco una volta ogni sette giorni.”

Quanto vi è costata la cura?
“Per la somatostatina pagavamo 1 milione e mezzo delle vecchie lire, c’era il mercato nero…”

Davvero?
“Eccome. Quando il farmaco venne tolto dalla fascia A, esente da ticket, il prezzo lievitò e in Italia si faceva fatica a trovarlo, mio marito doveva andare in Germania o a San Marino, un’assurdo, un modo davvero crudele per contrastare la libertà di cura”.

Oggi, a distanza di 16 anni sta continuando la terapia e il microcitoma si è ridotto di quanto?
“Proseguo con dosaggi blandi, in più assumo i galenici, melatonina, vitamine e retinoidi, il mio cancro è diventato minuscolo, si è come atrofizzato, non ha la forza per andare avanti”.

E lei si sente bene…
“Una meraviglia, ho anche un marito che è più in gamba di me, due figlie, cinque nipoti e sto per diventare bis-nonna”.

Fonte (3 articoli) >  Giornale.it | Rubrica Tumori



 
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