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Perché essere onesti nella vita pubblica, se...?
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— Se «trionfa la convinzione che tutte le esigenze, per il solo fatto di esistere, debbano essere soddisfatte»;

— Se l’ideologia dominante «favorisce tutti gli stimoli e dà legittimità a tutte le esigenze»;

— Se
«l’ideologia non riconosce vizi e virtù, ma soltanto esigenze»;

— Se si è voluto che «gli uomini siano indifferenti all’autorità morale», e si proclama che «esistono tanti fini individuali quanti sono gli individui»;

— Se
la società progressista bolla come «reazionari (...) i pochi uomini liberi che si riconoscono in un linguaggio morale, riconoscono il sacro, sono dalla parte dei significati»

— Se
«la Chiesa cattolica di questi anni, sempre meno credibile anche agli occhi dei nemici» non si domanda «se l’irreligiosità diffusa non sia anche una sorta di castigo per avere la Chiesa abbandonato al nulla una tradizione (quella che univa la cultura generale alla civiltà classico attraverso l’insegnamento del latino, ndr) che aveva bisogno di essa per sopravvivere».

— Se il progressismo egemone «ha sostituito la lotta di classe con la lotta tra la vecchia concezione trascendente della vita e la nuova concezione immanentistica che deve essere data al popolo» per liberarlo;

— Se da tutti i megafoni, i media, gli opinion leaders si propongono di influenzare l’opinione pubblica «secondo la nota eguaglianza erotismo = lotta di liberazione = demistificazione e modernità».

— Se l’illuminismo vigente ha «come nemico dichiarato la ‘superstizione’, e chiama con questo nome tutto ciò che impone comandamenti e divieti e suggerisce venerazione»;

— Se viene predicata l’incessante «lotta alla repressione» e promosso «il libertinismo»;

— Se «è detto ‘fascista’ chi si riconosce in qualche piega superstite della tradizione etica e religiosa, o nell’arte e nella poesia tradizionale», poesia che, «per usare le parole di Pound, è linguaggio investito, in somma misura, di significato»;

— Se «a chi parla di altri fini da proporre alla società e all’educazione, l’ideologo risponde proponendo mezzi», e nella pubblica istruzione domina «la pedagogia», ossia il totalitario puntare sul «come» insegnare, non sul «cosa»;

— Se non si vuole capire che il degrado del sistema scolastico «non è tanto nel suo essere scuola di massa, quanto nel suo essere vuota di significati»;

— Se la pubblica istruzione s’è liberata «dal vecchio pregiudizio che l’insegnamento avesse come scopo la trasmissione dei contenuti del sapere», con ciò portando «alla scomparsa di ogni priorità di oggetti», e dunque a «cancellare la responsabilità»;

— Se s’è cancellata totalmente la nozione che «una democrazia degna di questo nome dovrebbe essere una democrazia di esseri umani e non semplicemente di sistemi formali» (T. S. Eliot).



Se, se, se... se dato tutto questo, di grazia, che cosa dovrebbe spingere un funzionario pubblico che ne ha la possibilità, a non intascare soldi pubblici? Un politico ad essere onesto? Che cosa?

La coscienza del peccato? Ma questa è stata vittoriosamente «superata» dalla secolarizzazione, e dall’aggiornamento del Vaticano II. La fede in Gesù Cristo? Persino i teologhi di moda la svalutano. La paura della dannazione eterna? Non facciamo ridere. L’amor di patria? È stato ben bene deriso, bollato come fascista, totalmente «demitizzato»: non ci si può definire patriottici senza farsi schernire. La responsabilità personale? Ma se si insegna che tutte le esigenze private non si devono più chiamare peccati, vizi o voglie ma «esigenze» o «stili di vita» che si devono soddisfare.... se tutto incoraggia al libertinismo privato, e la convinzione che esistono tanti diritti individuali quanti individui — da quale angolo della sua coscienza, o da quale istruzione ricevuta, un pubblico dipendente dello Stato o Regione dovrebbe trarre la sua resistenza alle tentazioni pubbliche? Un uomo che si sente autorizzato dall’andazzo corrente alla trasgressione sessuale, perché dovrebbe non autorizzarsi alla trasgressione delle «regole» e fin della Costituzione (più bella del mondo)? La moralità non è a compartimenti stagni, non esiste una moralità privata «edonista, permissiva e trasgressiva di tutti i tabù» che possa convivere con una moralità pubblica specchiata: nella coscienza, tout se tient.

Quirino Principe
  Quirino Principe
Post Scriptum – Le citazioni qui sopra non sono farina del mio sacco. Le ricavo dalla rilettura di un vecchio libro di Quirino Principe (Manuale di idee per la scuola – Rusconi 1977), uno dei più alti intellettuali italiani, oggi noto come musicologo supremo, ma che è stato insegnante, e – carattere nobilmente sprezzante dei mediocri e dei furbi – è stato ovviamente censurato e ostacolato. L’avevo conosciuto (non mi vanterei di essere stato suo amico) quando frequentavo l’antico drappello di coraggiosi del pensiero e della passione civile che risposero ai nomi di Emanuele Samek Lodovici e Rodolfo Quadrelli, una triade di combattenti del pensiero con Principe come essenziale compagno. La rilettura di quel libro, da me stesso dimenticato in uno scaffale e ripreso in mano perché la chiacchiera politica parla di «buona scuola» e l’immonda casta dei docenti vi si oppone con la solita canea indecente, mi ha ispirato la conclusione che potete leggere dopo tutti i «se».

«Se» la trasgressione è predicata e praticata, se il permissivismo è la forma unica e vera della società, che cosa volete, che la società politica funzioni? Il libro di Principe, come ho detto, è del 1977. Il fatto che sia ancora attuale, dice molto male della società italiana; dice che i problemi che poneva non sono mai stati risolti, che il «progresso» di un quarantennio è stato solo degradazione: morale ma anche mentale, perdita di cultura vivente.

Così, mi sembrano preziose le citazioni che lo stesso Principe ha posto nel suo saggio. Esiste una vera e propria arte delle citazioni ben trovate, ed Quirino ne è maestro: citazioni di Giambattista Vico, di Eliot e di Marx, di Gramsci e di Simon Weil che – letteralmente tolgono il respiro.

Simone Weil ebbe il coraggio di affermare che lo scopo vero e unico della scuola ha da essere... la preghiera. «La preghiera esige attenzione, esige che venga orientata verso Dio tutta l’attenzione di cui l’anima è capace. Gli esercizi scolastici sviluppano, certo, una parte meno elevata dell’attenzione, tuttavia hanno una loro efficacia per accrescere quel potere dell’attenzione che sarà disponibile al momento della preghiera (...) La soluzione di un problema di geometria non è in se stessa un bene prezioso, ma perché è l’immagine di un bene prezioso, un piccolo frammento di verità particolare, essa è una pura immagine della Verità unica, eterna e vivente» (S.Weil, Attesa di Dio, Rusconi 1972, pagine 76-77).

Sulla stessa linea T.S. Eliot: «Ora sto indicando la fondamentale difesa del latino e greco, e non mi limito a fornirvi una serie di eccellenti ragioni che potete scoprire da voi... È tempo che la difesa dei classici sia associata in modo permanente con qualcosa di permanente: la religione cristiana e la sua tradizione vivente nella storia» (commenta Principe: infatti, non ci si deve chiedere come una cultura possa essere conosciuta, ma come possa vivere... non una cultura che mi appartiene, ma a cui appartengo).

Giambattista Vico si batté contro Cartesio, si oppose al «discorso sul metodo», perché – scrisse – è a causa dell’accento posto sul metodo anziché sui fini che «la mente umana si è isterilita e sfruttata nè ha ritrovato alcuna cosa più di rimarco». Ho appreso con stupore che già dai cartesiani, i progressisti del tempo di Vico, venivano certe idee sulla riforma degli studi in senso praticistico: «si condanna lo studio della lingua greca e latina, si condanna lo studio della lingua della nostra religione... si condanna (lo studio) dei poeti, col falso pretesto che dican favole: nulla riflettendosi che le ottime favole sono verità che più si appressano al vero eterno Dio, ond’è incomparabilmente più certo delle verità degli storici» (G.B. Vico, Autobiografia, Carteggio e poesie varie a cura di Benedetto Croce, Bari 1911, pagine 198 e 200).

Vico difendeva l’insegnamento del latino. Sorprendentemente, con l’accordo di Theodor Adorno: per il quale il fatto che «da tempo non sappiamo più il latino e il greco» denuncia «il trapasso della civiltà in alfabetismo»: uno scadimento fatale in cui «spariscono oggettivamente tutte le differenze che costituiscono la fortuna, e la stessa sostanza morale, dell’esistenza individuale» (Th.W. Adorno, Minima Moralia).

Pier Paolo Pasolini, si scagliò contro la riforma che aveva creato la scuola media unica con parole inaudite: «Un avanzamento che è una degradazione... solo un laicismo e un progressismo a buon mercato possono indurre a pensare che la scuola media d’obbligo così com’è hic et nunc non sia un crimine» (Lettere luterane, Einaudi, 1976, p. 169).

Concludo con la citazione-principe dello stesso Principe. Che è una vera, folgorante profezia:

«Prevedo che l’Italia sarà sempre meno libera e sempre più permissiva, che cresceranno sempre più la burocrazia e la pornografia, la polizia e la droga, il perbenismo e il teppismo».

Questo, scritto quasi 50 anni orsono. Ditemi voi se – è l’ultimo se – questa profezia non si sia terribilmente, completamente avverata.




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