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Omicidi per maleducazione
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Quando le donne militanti tirano fuori il termine «femminicidio», fanno ideologia di una tragedia: le donne sarebbero uccise «in quanto donne», eccetera (1). «Omicidi di donne» non basta alle femministe, perché la parola contiene il termine «uomo», e la neo-ideologia del «gender» nega appunto che «le donne» siano «uomini», legate al comune destino. Come sempre, la riduzione ideologica storce la verità, ne ignora la misura esatta, consente una falsa coscienza generale che si acquieta (e si contenta) del «politicamente corretto». Quando ci si dichiara contro il femminicidio, ci si situa dalla parte del Progresso, del bene e dell’apertura mentale, con poco sforzo. Con la stessa poca fatica con cui si vieta di usare la parola «negro» o «finocchio», imponendo «afro» o «gay». E si è d’incanto avanzati e di sinistra, con la coscienza a posto.

Che cosa stupida. Così, si sorvola sul fatto che il maltrattamento, il far paura, le angherie, l’uccisione di donne (mogli, amanti, parenti) da parte di mariti, amanti abbandonati e padri è solo una delle manifestazioni della generale ed apparentemente invincibile inciviltà italiana.

È una inciviltà specificamente italica, impastata di atavismi ed arretratezze tipicamente nostre: viziosità sessuale da impotenti («ti faccio male così non ti dimenticherai di me») unita alla tipica viltà (leone coi deboli, agnello tremebondo davanti ai potenti), possessività da pecorai verso le proprie bestie («I figli sono miei! E li ammazzo!»), ottusa mancanza della dote psichica di mettersi nei panni dell’altro, ignobiltà vantata come una qualità («io sono fatto così»), tempra caratteriale di amebe morali, striscianti viscidamente in un mondo troppo complesso per loro.

In una parola sola, si tratta di maleducazione. Maleducazione estrema, basale, incurabile a cui l’italiano si abbandona appena può farlo senza rischi, per esempio nascosto nella folla, o contro una vittima che subisce perché ha paura.

Omicidi da maleducazione. Delitti di sangue come forma estrema di cafoneria. Potrà parere esagerato ad alcuni. Ma invito a considerare che una volta adottato il giudizio di «maleducazione», sotto questa categoria si spiegano tutti i fenomeni mefitici che peggiorano così sensibilmente il mal vivere italiano, e così caratteristicamente che non si trovano (o non nella stessa misura) appena al di là dei nostri confini. Provo ad elencare alcuni dei fenomeni mefitici, delittuosi o solo ripugnanti, che abbruttano la vita italiota.

Il bullismo contro il compagno di scuola perché privo di capi firma, discriminazione certo imparata dai genitori; l’angheria continuata, la persecuzione del debole, dello strano, dell’appena diverso che fa già di tante classi elementari, per le vittime, degli inferni riscontrabili solo negli ergastoli, e mai punite dagli insegnanti. O le scolarette precoci che col telefonino nuovo si fotografano i propri genitali, e li vendono ad adulti (o a compagni) per ricariche da 10 euro.

Il razzismo da stadio. La cieca tifoseria «da stadio» trasferita dove non deve aver luogo, e che rende impossibile la crescita di qualunque dibattito pubblico mirante ad un accordo finale, sia politico, sia culturale. L’intolleranza basale, «noi» contro «loro» a cui si riduce qualunque questione civile, e persino qualsiasi assemblea di condominio.

L’abusivismo edilizio più arrogante per cui si deturpano per sempre paesaggi, templi greci e spiagge un tempo bellissime con casotti non finiti, «perché io faccio quello che mi pare»; e che infartua per sempre ogni possibile sviluppo turistico, o anche solo umano. La costruzione di quarti piani abusivi con tanto di piscina sul terrazzo, per poi stupirsi quando l’intero edificio crolla con morti e feriti perché «avevo la sanatoria».

La rumenta accumulata a fianco delle medesime casotte abusive (in Sicilia d’estate, di preferenza gusci di cozze puzzolenti al sole) perché «ci pensi il Comune a portarla via». Gli scoli fognari delle suddette case abusive nel mare antistante, nelle cui acque marroni gli abusivi fanno allegramente il bagno. La monnezza ai terzi piani a Napoli, inutile ricordarla.

La furbizia dei pubblici dipendenti che si assentano, che rubano lo stipendio non eseguono i compiti per cui sono stati assunti, dato che nessuno li controlla e i cafoni, quando c’è da truffare in modo abietto e vile, si coprono l’un l’altro (come diceva Leopardi, in Italia si forma continuamente e spontaneamente «leghe di birbanti» coalizzati per fare ostacolo agli onesti e ai migliori di loro).

Le scritte su ogni metro dei muri delle città, che agli occhi degli stranieri (turisti che vorrebbero vedere la bella Italia, e che ci portano valuta) danno la sensazione di essere arrivati in un Bronx pericoloso sporco e violento: e ciò già quando il treno entra a Termini, o alla Stazione di Milano. All’estero, infatti, i graffiti e le «firme» murali sono limitate ai quartieri dove la polizia non entra se non col colpo in canna, dove s’è rinunciato alla civiltà, e ubriachi e drogati ciondolano per le strade non pulite. Da noi sono onnipresenti anche nei quartieri residenziali, sono quasi certamente i figli degli abitanti dei luoghi a farli; sono un fenomeno su cui dovrebbe indagare la psichiatria, perché sono come i pigolii di animule spettrali, incomplete, che ripetono «io, io, io»: vogliono far sapere di esserci. Invece non ci sono, non esistono, non sanno dire nulla, non hanno significato alcuno; è quello il loro problema. Il loro meschino godimento consiste nel «disturbare» visivamente i passanti, nel lordare ciò che era decente: allo stesso modo che l’impotente sessuale, incapace di far godere la donna, la sfigura con l’acido per farsi ricordare, o perché non sia di nessun altro.

E giusto che parliamo di lussuria impotente: parliamo di quelli che, sul web e tweet e facebook, si sfogano a chiamare «brutta troia» e a dire «quello che ti farei» (con minuziose descrizioni sessuali) alla presidente Boldrini, come a qualunque donna appena piacente salita per qualunque motivo sulla scena pubblica. Masturbatori che sfogano le loro fantasie protetti dall’anonimato, vilmente, abiettamente, dando pure ragione agli istinti totalitari della medesima Boldrini che esige il controllo del web – ovviamente anche e soprattutto le idee e informazioni a cui lei è intollerante, come il partituzzo a cui si è associata. Facciamo pure entrare nel novero tutti i troll, gli spettri, le larve dispettose, le sub-personalità informi che per esistere devono ficcarsi nei discorsi seri, nelle informazioni vere di cui internet è un mezzo di diffusione cruciale, per insultare, deridere, devastare, provocare; quasi sempre perché incapaci di capire il tema, di pensare, di analizzare. Tutta questa folla anonima che crede di aver diritto ad un’opinione, e non riesce a secernere nient’altro che qualche sua privata rabbia, viltà, meschina invidia o stupidità rabbiosa. Questa canea sciacallesca e ributtante è così numerosa in Italia da infestare il web come torme di cavallette; , così insensata e così senza freni, che finirà per affossare il web come mezzo di informazione alternativa. Del resto, già ora i siti di successo sono: porno, calcio, casinò online fatto apposta per questi medesimi sciacalli. Quelli, mai censurati né minacciati di chiusura.

La finisco qui perché l’elenco sarebbe chilometrico. Voglio concludere solo questo: che fra le scritte sui muri e l’omicidio della donna che credevi tuo possesso, non c’è differenza se non di grado, di intensità. Gli insulti sul web, il bullismo alle elementari, il politico che sgavazza oscenamente senza ritegno coi soldi pubblici (il «cafonal» di Dagospia ce ne registra le imprese), i Fiorito allegri e strafottenti, e la Polverini che ferma l’autoblù in terza fila contromano per andare in un negozio, la Finocchiaro che usa gli agenti di scorta come i suoi camerieri, Fini il politicamente defunto che sommozza nei fondali dov’è vietato, il Trota e la famiglia Bossi, sono tutti effetti della stessa maleducazione che porta all’omicidio della compagna.

La dimostrazione che la cafoneria uccide.

Inutile dire che la «nuova morale» radical-chic permissiva e trasgressiva cara alle ideologhe del «gender», inserita nella maleducazione neanderthaliana italiota, l’ha enormemente aggravata. Permane fra noi dalla preistoria lo zappatore che parla urlando, perché in campagna la voce si disperde, e il pastore atavico che scorreggia a piacere, perché nei campi non sente nessuno, o magari si fa la pecora, come all’alba dei tempi (2); vi invito a considerare l’effetto che su questo tipo umano preistorico la nozione, propagandata da tutti i canali pubblicitari e televisivi, che «al cuor non si comanda», che è «vietato vietare», che il sesso è stato finalmente «liberato», che la morale cattolica è superata, e che non fa bene astenersi, trattenersi, controllarsi in nulla.

Il maleducato è appunto uno che dà sfogo immediato ai propri impulsi, senza riguardo per i presenti; non è abituato a rispettare gli altri, i loro sentimenti. Per rozzezza mai affinata, è insensibile al prossimo, ottusamente non riconosce i loro sentimenti e diritti; è uso a calpestarli appena può. Per lui il mondo si riduce a un rapporto elementare di forze, dove non entra non si dice la cortesia, ma nemmeno la parola; è rimasto allo stadio pre-verbale e pre-umano (o vi è ritornato esaltando la sua caduta come «liberazione dai tabù»). Inoltre, non essendo educato, non è addestrato a subire una sconfitta esistenziale, com’è appunto l’esperienza di essere lasciato da una donna. Il maleducato è, in qualche modo, sempre infantile; l’italiota, considerato psicanaliticamente, è rimasto alla «fase orale» (e infatti considera il mangiare la cosa più importante della vita), che è propria dei lattanti. Se mi assiste la memoria delle antiche letture di Freud, ad essa succede (fra i 2 e 4 anni) la fase «sadico anale», dove erotismo anale e sadismo sono tutt’uno; e solo dopo «compare la considerazione dell’oggetto», ossia del prossimo o della prossima che col cafone convive.

L’educazione, a quel livello, consiste appunto nel far superare all’infante la fase sadico-anale. Il cafone italiota, privato di educazione ormai da molte generazioni, è fissato senza speranza in essa: può dunque ammazzare la fidanzata, twittare «brutta troia» alla Boldrini, come aggredire i tifosi della tifoseria avversaria, spaccare la testa alla moglie separata dopo averla terrorizzata e perseguitata, scrivere sui muri le sue passioni momentanee e i suoi insulti vergognosi; tipicamente, è lo stesso tipo umano che va (a pagamento) coi transessuali, ed è convinto di esser un macho.

La categoria interpretativa della «maleducazione» spiega tutto ciò che accade attorno a noi, e che ci rende collettivamente così stupidi e incivili, in modo tale che gli stranieri lo notano. Va da sé che il rimedio consisterebbe nella categoria contraria: educare. Addestrare ad essere uomini, ossia cortesi e forti; a vergognarsi di picchiare le donne come i bambini, di abbandonare i cani d’estate, e di usare denaro pubblico per fare feste cafonal o seratine eleganti. Esercitare a «tenere in considerazione l’oggetto» vivente, ossia gli altri.

L’educazione chiama in causa la famiglie, i genitori: ma che fare se i genitori sono altrettanto maleducati ed incoraggiano i figli, con l’esempio, che bisogna «vivere la propria vita», «fregarsene», «fargli vedere» eccetera? La scuola, da tempo ha perso ogni capacità educativa: i genitori maleducati fanno mobbing, minacciano, quando non picchiano, i pochi insegnanti che ancora ci provassero. Per contro, le agenzie «educative» strapotenti sono pubblicità e tv (ossia ancora pubblicità), a cui preme insegnare soprattutto una cosa: soddisfa le tue voglie, adesso, senza ostacoli...

Altrove (3) ho provato a raccontare come l’educazione, la cortesia, nacquero all’interno di una istituzione che fu anche una moda travolgente nel Medio Evo (altresì detto Cristianità): la cavalleria. Ai guerrieri ferrati semibarbari fu insegnato che violentare le donne dei vinti era «brutto», e che l’onore militare implicava la «bella azione». Non le buone azioni moralisticamente, ma le cose «belle»: non basse, non indegne e non vili, da vergognarsi.

Gli infiniti poemi cavallereschi che inondarono quell’epoca detta «romanza», scritti in tutte le lingue romanze d’Europa, furono dei veri manuali di nobiltà del cavaliere armato: doveva essere prode e insieme cortese; «aligné» (elegante) e «leal», e pobre (povero) per sua volontà, perché la furia di arricchirsi non sarà immorale, ma è «brutta». Il cavaliere deve porre la sua spada a difesa dei deboli. In un romanzo cavalleresco «Lancelot en prose», la misteriosa Dama del Lago ammaestra Lancillotto così: «All’origine dell’ordine fu imposto a chi voleva essere cavaliere (...) di essere cortese senza bassezze, buono senza fellonia, pietoso verso i bisognosi, sempre pronto a soccorrere i deboli... a rendere giudizio senza odio, senza debolezza di cuore, per non nuocere alla giustizia facendo trionfare il forte. Un cavaliere non deve, per paura della morte, compiere alcun atto macchiato dal sospetto di vergogna; deve temere l’ignominia più della morte».

Ho narrato anche che, ad educare i guerrieri semibarbari a tendere al modello del cavaliere, furono le donne di allora: mantenendo la distanza, rifiutandosi a coloro che, ancorché forti e muscolosi, erano senza onore e bassi di spirito: insegnarono la distanza erotica, la procrastinazione, il nobilitarsi nella sospirata attesa dello «sguardo» e la fedeltà ad un fazzoletto di seta conservato sotto il giustacuore. Si legge nella Historia Regum Britanniae letteralmente di questa molla educativa: «Le dame cortesi non degnavano ricevere l’amore di alcuno se per tre volte non si era cimentato nell’agone (la tenzone cavalleresca). Si serbavano quindi caste le dame, e i cavalieri per amor loro diventavano più nobili».

I comportamenti non furono sempre così nobili; ma era un ideale, e non lo disprezzeremo in questo nostro oggi dove, come ideale, si coltivano volgarità, avidità («greed is good»), infedeltà, e l’abiezione esibita sembra divenuta un ingrediente necessario del «successo». Sembra proprio che la cortesia, la buona educazione (bienséance, dicono i francesi con parola medievale) sia una componente dell’onore militare; ed oggi i nostri maschi ammazzano le ex compagne, ma sono «pacifisti»; anzi l’intero popolo «ripudia la guerra» e si è messo in ferie dalla storia.

Quanto alle compagne, c’è la sensazione che la loro preferenza sessuale vada proprio ai futuri stalker, mobber, bruti da discoteca: ma al cuore, si sa, «non si comanda».




1) Ovviamente il termine viene dagli Usa. È stata per prima la criminologa statunitense Diana Russell a dire che le donne sono massacrate «in quanto donne». «La loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione (la donna obbediente, brava madre e moglie, la «Madonna», o la donna sessualmente disponibile, «Eva» la tentatrice), di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, partner, compagno, amante… Per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte».
2) Le pratiche sessuali con animali erano sotto il segno di Pan, il dio-capra, il fauno dell’insolazione e della violenza carnale; è il «demonio meridiano» da cui già il salmista prega di essere messo al sicuro.
3) Maurizio Blondet, Selvaggi col Telefonino, capitolo 7 – Come l’estetica creò l’etica, EFFEDIEFFE.


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