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Giudici teneri persino coi femminicidi. Con Contrada no.
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Come ci hanno spiegato i giornali, la sparatoria al palazzo di giustizia di Milano ha avuto dei precedenti. Nel 2007, a Reggio Emilia, un albanese in causa per divorzio, davanti alle due figlie, sparò alla moglie, al cognato che cercava di disarmarlo, uccidendo entrambi; ferì l’avvocato della moglie e un poliziotto; e fu freddato da un altro agente — sicché non sappiamo che pena gli avrebbero comminato i giudici.

Dell’altro invece sappiamo: nel 2002, al tribunale di Varese, Rosolino d’Ajello uccise in aula la moglie Cosima Damiano, mentre era in corso la causa di separazione. D’Ajello, tirò fuori la pistola sotto gli occhi dei giudici e sparò quattro colpi consecutivi. Era un atto premeditato; per di più D’Ajello era un ex carabiniere. Quanti anni gli hanno dato?

Non era ancora ideologicamente di moda la pseudo-aggravante del «femminicidio»: il sostituto procuratore (una donna, Anna Giorgetti), aveva chiesto 27 anni, da ridurre prontamente a 18 per «i benefici di legge previsti dal rito abbreviato» (sic: il processo per l’uxoricida si tenne nel 2007, ossia 5 anni dopo il crimine) che abbuonano un terzo della pena. In carcere, altri giudici in quel sub-processo senza pubblico né controllo che consiste nella riduzione delle pene decretate in giudizio, gli hanno ridotto la pena per buona condotta. Conclusione: è uscito dopo 8 anni, oggi è libero. Si confronti con i 7 anni a Dell’Utri non per un omicidio ma per «concorso esterno»; o con i 6 anni e mezzo comminati (va bene, poi ridotti) a Lele Mora per induzione alla prostituzione, e si vede subito: l’uxoricidio in Italia costa poco. Conviene.

Sparare alla moglie davanti ai giudici, poi, non costituisce un’aggravante.

I magistrati di solito non si sentono offesi, purché l’omicida non spari a un collega, come accaduto a Milano; solo allora scatta la denuncia a nome della casta oligarchica. Un riflesso irresistibile che ha spinto Gherardo Colombo, uno dei magistrati del pool di «Mani Pulite» del 1992, ad interpretare così la sparatoria nel tribunale di Milano: «Un episodio del genere è rivelatore di un clima che cè oggi contro la magistratura (...) certamente questa continua sottovalutazione del ruolo, di svalutazione dei magistrati, contribuisce a creare un clima».

Insomma, stringi stringi, è colpa di Berlusconi.

Che l’omicidio sia un peccato veniale – anzi, persino il femminicidio – per i giudici italiani, è confermato da altri fatti. Per esempio: Laura Roveri, 26 anni, di Nogara, viene accoltellata ripetutamente dall’ex fidanzato, il commercialista Enrico Sganzerla, mentre sono in una discoteca di Verona. Quindici pugnalate, con un coltellaccio che s’era portato in discoteca — prova della premeditazione. «Dopo la prima coltellata ero già caduta a terra, ma continuava a colpirmi, non si fermava. Ricordo il sangue che usciva dal mio collo e l’aria che mi entrava dentro. Ha lesionato la trachea, ha sfiorato la carotide», ricorda lei. La ragazza è ricoverata tra la vita e la morte, passa otto mesi in ospedale per le tremende ferite. È rimasta parzialmente un’invalida.

E l’accoltellatore? È a casa. Dopo due mesi di carcere, i premurosi giudici gli hanno procurato un ricovero in una clinica riabilitativa (poveretto, era rimasto traumatizzato) e poi gli arresti domiciliari: sta a casa dei genitori. La motivazione di tanta indulgenza è: le ferite che ha inflitto non sono state sufficienti a causare la morte della donna – l’hanno determinato i periti – quindi che cosa andate cercando: non è omicidio. L’accoltellamento è avvenuto il 12 aprile 2014; a settembre, Sganzerla è stato già liberato.

Sì. Sembra proprio che appena uno ammazza un altro, in Italia, i giudici non abbiamo che un pensiero: salvare l’assassino dal carcere, fargliene scontare il meno possibile, trovargli attenuanti, ridargli subito un’altra possibilità, che si rifaccia una vita e si curi i traumi che s’è procurato, l’omicida, uccidendo un essere umano.

Credo che questa mentalità abbia una radice ideologica tipica della Casta. Un tempo l’omicidio era per la giustizia un delitto pubblico, anzi il più grave dei delitti pubblici per la sua irrimediabilità; nel “codice Rocco”, era lo Stato che – attraverso il procuratore – si dichiarava offeso dall’uccisione di un suo cittadino. E infatti si procedeva d’ufficio, anche senza querela delle parti offese.

I procuratori d’oggi sentono l’omicidio come un delitto privato, qualcosa che danneggia soltanto «una delle parti», un privato (quello che viene privato irrevocabilmente della vita); una causa noiosa, qualcosa di poco più grave di una lite condominiale con percosse; non appassiona, non creare l’erezione giudiziaria, drizza il senso di giustizia dei nostri valorosi magistrati... se la vedano loro, «le parti». Magari la parte offesa può chiedere un risarcimento pecuniario – ovviamente attraverso i parenti, lui non può più – che sarà determinato in un processo civile... non rompano con questi omicidi, i nostri magistrati hanno ben altri delitti da perseguire. Violazioni vere e gravi del diritto pubblico: come il «berlusconismo» nelle sue varie espressioni, l’evasione fiscale, il concorso esterno in associazione mafiosa.

Ora, come siete stati informati, la famosa Corte di Strasburgo ha dato un colpetto a questo delitto, il concorso esterno, e dunque ai giudici valorosi che l’hanno inventato: l’ha fatto a proposito di Bruno Contrada. L’ex poliziotto, bravissimo investigatore, forse troppo, condannato e ricondannato da 23 anni perché una serqua di pentiti l’ha accusato di essere un «avvicinato» dalla Mafia. I pentiti sono mafiosi veri, per lo più pluri-assassini: il loro pluri-assassinio è una condizione preferenziale perché i valorosi magistrati li impieghino come «collaboratori di giustizia» stipendiati con denaro pubblico — in pratica, li assumono, ne fanno dei funzionari statali. A patto che accusino altri, meglio se di berlusconismo, ma va benissimo anche la collusione mafiosa: prove, non occorre che ne portino. Il reato di «concorso esterno» è abbastanza vasto e vago da giustificare condanne fino in Cassazione.

A Contrada son costati, dice lui, «una vita devastata da 23 anni, dal 1992 ad oggi: ho subito sofferenza, dolore, umiliazione e devastazione della mia esistenza e della mia famiglia».

Il punto è che adesso, la famosa corte di Strasburgo ha detto questo: Contrada viene arrestato alla vigilia di Natale del 1992, mentre il «concorso esterno» non era ancora un reato; la sua natura fu in qualche modo precisata solo nel 1994. Dunque, applicazione retroattiva di un reato: una violazione mostruosa del diritto, anzi dei fondamenti stessi del diritto penale. Nessuno può essere condannato per una azione od omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato.

Di solito, i valorosi magistrati italiani dicono che «le sentenze si rispettano, non si commentano». In questo caso però fanno un’eccezione. I magistrati più valorosi dell’universo, ossia coloro che hanno fatto condannare Contrada coi pentiti – parliamo nientemeno che di Giancarlo Caselli e del celebre Ingroia, che tante belle prove di sé ha dato – ottengono spazio su Repubblica per criticare la Corte di Strasburgo.

Caselli argomenta così: il reato di concorso esterno esisteva implicitamente fin dall’800. Non era scritto, ma implicito nei comportamenti giudiziari. E cita una frase di una motivazione di sentenza di «pool di Falcone» (triplice inchino verso l’eroe caduto) il quale parlò di «Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono – eventualmente – realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili – a titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosi»:

Caselli:
«Ciò che è subdolo e strisciante non può per sua natura essere definito con la facilità con cui si beve un bicchier d’acqua». Ne deduco che, per il nostro valoroso procuratore, il reato di concorso esterno (che non è «associazione») deve restare più vago che si può. Anzi, deve colpire retroattivamente, se è il caso. Infatti comunque sia, i fatti di cui Contrada è accusato ed è stato condannati sono «gravissimi, concreti e specifici». Quindi poteva comunque essere condannato «per favoreggiamento».

Ma allora come mai i valorosi Caselli & Ingroia non hanno chiesto la condanna di Contrada per favoreggiamento? Forse perché questo è un reato per cui occorre portare prove concrete? Invece il concorso esterno è questo: non sei affiliato alla mafia, sei esterno, lo riconosciamo anche noi; ma concorri ad accontentarla... molto meglio, per l’accusa. Infatti è la più geniale invenzione di Caselli.

Anzi del suo gruppo. In cui non c’entra solo Ingroia, ma Luciano Violante, e quel De Gennaro che è stato premiato ultimamente con la presidenza di Finmeccanica, nonostante il G-8 di Genova e la macelleria alla Diaz. Sono, come capite, l’organizzazione legale più pericolosa che esista in Italia, quella che ha accusato Andreotti, il giudice Carnevale, Musotto, Mannino... tutti assolti, ma dopo aver avuto la vita devastata. Poi ci sono dei morti di cui preferisco non parlare, come il maresciallo Lombardo… transeat.

De Gennaro e Luciano Violante


Capite che, per molti motivi, preferisco riportare quel che sulla vicenda ha scritto Lino Jannuzzi, bravissimo giornalista investigativo (che proprio perché bravo non trova eco sui media). L’integrale lo potete trovare qui, ed è un’ottima lettura.

Io mi limito a riportare qualche stralcio. Nel ’92, Contrada, per la sua bravura nelle indagini, riceve l’incarico di riorganizzare il SISDE per riorganizzare il servizio civile segreto per contrastare l’eversione mafiosa. «A qualcuno non fece piacere»; dice il pluri-condannato Contrada.

Lino Jannuzzi scrive:

«De Gennaro, allora dirigente della squadra mobile, aveva un altro progetto, caro a Luciano Violante e ai giustizialisti del Pci e ai magistrati professionisti dell’ antimafia, quello di organizzare la Dia, una direzione antimafia svincolata dai servizi e dalla stessa direzione generale della polizia e dal governo: quella che presto il presidente Cossiga avrebbe definito, chiedendone la soppressione, “la nostra ’polizia politica’, la nostra Ovra, la nostra Gestapo, il nostro Kgb”, lo strumento più efficace per liquidare gli avversari con l’uso e l’abuso dei “pentiti” e dei processi politici. Liquidato Contrada e il suo progetto, De Gennaro creò la Dia e ne assunse il controllo, e inventò la “fabbrica dei pentiti”, divenne il “Signore dei "pentiti”».

Sono infatti i pentiti a divenire i migliori, anzi gli unici accusatori di Contrada. Jannuzzi:

«Le accuse a Contrada – tutte le accuse, nessuna esclusa – si basano sul “de relato”. Nessun “pentito” sa le cose che dice di scienza propria, tutti riferiscono per sentito dire. Molti si basano sul “de relato” dall’oltretomba : quelli che le cose gliele avrebbero dette, sono tutti morti. Buscetta riferisce cose che dice di aver apprese da Riccobono e da Bontate: Bontate è morto ammazzato il 23 aprile del 1981, 14 anni prima del processo a Contrada e della deposizione di Buscetta; Riccobono è morto ammazzato il 30 novembre del 1982. Mutolo riferisce da Riccobono, morto. Marino Mannoia riferisce da Bontate e Riccobono, idem. Spatola riferisce del pranzo di Contrada con Riccobono in saletta del ristorante che non è mai esistita e con Riccobono che è morto,idem. Quando gli avvocati di Contrada esibiscono la planimetria del ristorante che smentisce Spatola, i pm richiamano il "pentito" e gli fanno cambiare versione: Contrada e Riccobono non mangiavano in una saletta, dirà Spatola, ma in un angolo appartato del ristorante, accanto al cesso».

Una memoria incredibile, questi pentiti (pluriassassini pagati dal contribuente, assunti dai magistrati per accusare: Mutolo calcò da sé di aver compiuto una trentina di omicidi): dopo 14 e 13 anni, si ricordano che qualche capo-bastone gli parlò proprio di Contrada, che era un avvicinato, uno quasi dei nostri. La loro «gestione», che avveniva prima del loro utilizzo in aula ed era in mano – dice Jannuzzi – a De Gennaro, aveva effetti prodigiosi.

Quanto al metodo con cui i valorosissimi procuratori usavano dei pentiti, ecco qui un esempio.

«Al processo di appello gli avvocati di Contrada scoprono che esistono i verbali di due precedenti interrogatori di Mannoia, dove il “pentito”, richiesto dai pm se sa e può dire qualcosa di Contrada, dichiara di non saperne assolutamente nulla».

Quindi il pentito Mannoia, ancora non abbastanza «gestito», aveva lasciato deposizioni che non accusavano Contrada. Dunque che potevano servire a suo favore. E Ingroia le nasconde.

Jannuzzi:

«Il presidente della Corte d’appello (la prima, quella che assolverà Contrada) domanda ai pm perché i verbali di quei due interrogatori sono stati nascosti e non sono stati portati al processo. Il pm Antonio Ingroia gli risponde che non hanno portato quei verbali perché “li avevamo ritenuti irrilevanti perché non riferivano alcuna circostanza a carico di Contrada” e perché l’accusa “è interessata solo ai documenti che sono a sostegno delle tesi accusatorie”. Un vero magistrato equanime, a cui ciascun cittadino affiderebbe il suo destino con tranquillità».

Lo stesso Ingroia – da quell’uomo intelligente che abbiamo scoperto quando s’è dato alla politica – racconta in un suo libro (Il Labirinto degli dei) come abbia ordinato alla polizia giudiziaria di trovare riscontri alle accuse del pentito Vincenzo Scarantino sulle complicità di Bruno Contrada coi mafiosi. Gli agenti cercano, e le loro indagini, come dicono, «danno esito negativo». Ingroia definisce i risultati «sconfortanti», e non deposita i documenti relativi nel fascicolo del pubblico ministero. Sarà sottrazione di prove? Ma no, come dice Caselli, contro Contrada «i fatti sono confermati ed erano gravissimi». Tanto basti.

E l’accusa contro dell’Utri, per cui l’ultrasettantenne sconta 11 anni per «concorso esterno», è anch’essa dovuta a un pentito:

«Francesco De Carlo, reclutato da De Gennaro nelle carceri inglesi, dove era detenuto per traffico di stupefacenti, e dove gli inviati di De Gennaro gli hanno fatto un’offerta che non poteva rifiutare: se ci dici qualcosa su Contrada, ti tiriamo fuori di qui, facendoti risparmiare sette anni di carcere, e ti riportiamo libero e stipendiato in Italia... è lo stesso Di Carlo che sosterrà di aver accompagnato a Milano da Berlusconi e da Dell’Utri i capi di Cosa Nostra Stefano Bontate e Mimmo Teresi, per trattare di “affari” e per garantire che la mafia non farà del male ai figli del padrone della Fininvest.

Si scoprirà e si proverà, ma soltanto dopo anni dalla deposizione e nel corso del processo d’appello a Dell’Utri, che nel periodo in cui Di Carlo avrebbe accompagnato Bontate e Teresi a far visita a Berlusconi (e ad abbracciarlo e baciarlo, Di Carlo testimone oculare), Bontate era recluso sotto costante sorveglianza al soggiorno obbligato a Pescara e poteva muoversi sotto scorta solo per presenziare al suo processo in corso a Palermo, e Teresi era al soggiorno obbligato a Foligno. Di Carlo sarà poi che sorpreso nel cortile del carcere in cui è detenuto mentre arruola a sua volta altri “pentiti” per accusare Dell’Utri e concordare le accuse. Cosimo Cirfeta, il “pentito” che ha sorpreso e denunciato Di Carlo e i “pentiti” suoi complici, è stato “suicidato” nella sua cella con una bomboletta di gas».

Così Jannuzzi.

Mica lo sto dicendo io, valorosi magistrati. Non io, rispettatissimo De Gennaro dalla luminosa carriera e dalle altissime approvazioni. Non io, eccellentissimo, purissimo, onnipotente e giusto Luciano Violante... Io approvo il concorso esterno, io disapprovo la Corte di Strasburgo. Io sono un buon cittadino ligio al giustizialismo. Io, il femminicidio, lo considero un piccolo delitto privato. Anch’io plaudo all’indulgenza per gli accoltellatori e sparatori di mogli e fidanzate.

Senza pietà invece per Dell’Utri.




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