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Tutti i motivi per essere grati a Grillo
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«Demenziale, roba da Romania di Ceausescu»: con queste parole persino Marco Travaglio, dal suo «il Fatto», ha ritirato il suo appoggio a Beppe Grillo. Povero Grillo, tutti a trattarlo da dittatore.

Invece, dobbiamo esser grati a Beppe Grillo proprio per questo. Mi spiego: i dittatori «prima» prendono il potere, portati dai plebisciti delle masse, e solo «poi» (col potere dello stato in mano) si rivelano dittatori folli, patologici e sospettosi paranoici, lanciano il culto della personalità (la propria), imbavagliano la stampa , cacciano i giornalisti che non vogliono prendere la tessera del Partito, e avviano le inevitabili epurazioni interne: che cominciano con processi-farsa, in cui giudici del Partito condannano degli imputati , essi stessi membri del Partito, che «spontaneamente» si dichiarano colpevoli ed invocano la propria esecuzione per espiare; e che finiscono con i critici del dittatore al Gulag, o eliminati col classico colpo alla nuca nei sotterranei della Lubianka.

Grillo si comporta da dittatore folle «prima» di avere in mano tutto il potere, dunque senza ancora avere a sua disposizione gli organi repressivi e giudiziari dello Stato. Anche se non è il suo primo ( né l’ultimo) errore politico, questo è veramente il più grosso: da vero dilettante della politica. Ovviamente non ha mai letto Lenin, che insegnava appunto questo: «per prima cosa» arraffare tutto il potere, e «poi» si applica l’utopia ideologica, gettando la maschera «popolare» e cordiale per rivelarsi un fanatico capace di tutto.

Grillo ha fatto il contrario, da vero Utopirla (neologismo: significa «pirla posseduto da una sua utopia»), e gli dobbiamo gratitudine. Specie la sua senatrice Gambaro gliene deve: niente Lubianka per lei. È ancora parlamentare, ancorché espulsa; sì, ha avuto il suo processo-farsa, ma nel caso significa, per lei, di godersi l’emolumento parlamentare pieno anziché tagliato come l’Utopirla ha imposto ai fedelissimi. Almeno fino alla fine della legislatura.

Pensiamo solo se Grillo avesse dato la fiducia a Bersani, facendo con i Pd un governo di coalizione. Era quel che voleva l’elettorato comunista, ed anche tanti dei suoi lo invocavano: dà a Bersani i voti che gli mancano al Senato, lo terrai per le palle, farà tutto quello che vuoi tu, ti obbedirà come un cagnolino. Lenin non ci avrebbe pensato due volte: si va’ al governo con chiunque, scrisse, anche con «il pope del villaggio», anche coi preti, pur di andare al potere. Perché la dote primaria dell’uomo politico è la flessibile audacia; il politico sa che le occasioni vanno acciuffate, perché non si ripresentano.

Per fortuna Grillo non lo sa, non è un politico ma un dottrinario Utopirla. Ha detto no, con Bersani no, aspettiamo che l’elettorato ci dia il 75% e poi attueremo integralmente il nostro programma da soli: decrescita felice, riciclo delle acque, motori a flatulenze....

Pensate un po’ che rischi abbiamo corso, ed evitato di un pelo. Perché davvero i comunisti erano pronti a dargli tutto, si mettevano al servizio delle sue paturnie più momentanee, dei suoi odii, dei suoi deliri, dei suoi cambiamenti d’idea. Pensate solo questo, e sudate freddo: oggi avremmo come presidente della Repubblica un «venerato maestro» (alias Solito Stronzo) come Stefano Rodotà; votato in massa da grillini, comunisti, e finocchietti SEL; uno che lo stesso Utopirla, pochi giorni dopo averlo esaltato come unico e innovatore in linea con la sua linea, ed avercelo imposto come degno del massimo Colle, ha liquidato come «ottuagenario miracolato dalla Rete», «uomo di apparato» (non se n’era accorto prima di essere criticato da Rodotà), che deve tornare «nel freezer» perché ha eccepito qualcosa su di Lui, il Capo.

Pensate un po’: col governo Pd tenuto per le palle da Grillo, Rodotà sarebbe al Quirinale, Berlusconi sarebbe immediatamente stato dichiarato ineleggibile e arrestato, i partiti sarebbero stati costretti a perdere il finanziamento pubblico, votando da sé il proprio suicidio. E i giornali sussidiati dal denaro pubblico? Spariti ad un cenno dell’Utopirla: basta denaro pubblico. Bersani, pur di restare al potere, avrebbe concesso la loro eliminazione. E i giornalisti di regime? Li aveva minacciati: «Io non dimentico niente: faremo i conti con Floris e i Ballarò». Se comandava lui, Floris sarebbe passato dai 500 milioni che gli dà la Rai coi soldi nostri, al campo di concentramento. E anche la Gabanelli: quella stessa che aveva appena proposto per la presidenza della Repubblica, poi subito buttata nel cesso insieme a Rodotà perché – parole sue – «ci si sono rivoltati contro». Avremmo come unica fonte d’informazione il blog di Casaleggio. E un parlamento pronto a votare per quel che Grillo comanda e dis-comanda il giorno dopo, chissà come saremmo finiti.

Grazie, Grillo, per lo scampato pericolo.

Ma ancor di più dobbiamo essere grati all’Utopirla per averci dimostrato in tempo – prima che diventasse una istituzione irreversibile – a cosa si riduce la «democrazia online, l’esercizio della volontà popolare continuo e diretto», la «gente» che «in rete» sceglie i suoi rappresentanti, li guida, e in pratica governa direttamente e in tempo reale.

Altro che governo della «gente». I selezionati in rete, appena insediati nelle Camere, anziché governare si sono chiusi in assemblea permanente dove sola cosa che sanno fare è: controllarsi l’un l’altro, accusarsi a vicenda, votare continuamente la condanna di uno e dell’altro, inviare a Grillo delazioni con gli SMS, invocare l’intervento repressivo del Capo contro l’uno o l’altro collega. Insomma, si odiano e si dilaniano.

Ciò non deve essere una sorpresa. È tipico di gente «selezionata» da «gente» che è, in realtà una minoranza estrema di fanatici ideologici. È successo esattamente lo stesso nel culmine della Rivoluzione Francese nel 1792: quando i giacobini presero il potere e instaurarono la Dittatura della Virtù, subito cominciarono a sospettarsi l’un l’altro, a dilaniarsi e a denunciarsi l’un l’altro davanti a Robespierre e Saint-Just. E facevano questo mentre erano terrorizzati dal Terrore istituzionale; e l’assemblea, ossia i rappresentanti votati a suffragio universale erano ridotti a tremare, e ad obbedire, a un centinaio di sanculotti che il Comune di Parigi, casa occupata da estremisti rossi (La Commune, famosa, da cui il nome «comunardi», poi «comunisti»), mandava a fare da pubblico al Parlamento, pagandoli per questo: e quelli sedevano nelle tribune col berretto frigio, sciabola e la picca, schernendo intimidendo, e minacciando di ghigliottina, deputati colpevoli di fare discorsi «moderati»: che per lo più, il giorno dopo, erano già effettivamente raccorciati dal boia Samson su mandato scritto di Saint Just.

La «Rete» che ha espulso la senatrice Gambaro mica è un popolo; è composta in realtà da 20-30 mila che possono votare perché «iscritti al portale (di Casaleggio) al 31 dicembre 2012 con documento digitalizzato», come recita il blog grillesco: sono esattamente i sanculotti del regime Grillo. Svolgono la stessa funzione. Anche i sanculotti parigini pretendevano di essere la «democrazia diretta», non una minoranza estrema ma il «popolo» ; e decretavano la decadenza di deputati che, per quanto mascalzoni e vigliacchi, erano stati legittimati dal voto della popolazione reale. Se Grillo avesse un minimo di cultura politica, non sarebbe caduto nell’equivoco di credere «democrazia diretta» quello che è sempre stato (anche prima della Rete) un sopruso di una minoranza militante sulle maggioranze.

Né i deputati grillini tremerebbero e si inchinerebbero – loro, votati bene o male da suffragio popolare – alle pretese della Rete, ossia di pochi fanatici peggiori di loro (che è tutto dire). Ma loro lo fanno spontaneamente, da vili – esattamente come l’assemblea francese durante il Terrore – perché approfittano della Rete per sfogare invidia ed odio reciproco: difatti è tipico che proprio loro insorgano contro la Gambaro, la deputata Pinna, come contro Favia: cioè appunto, guarda caso, personalità che hanno dimostrato un certo carattere, che significa una certa qualità, una «stoffa» politica. È ovvio che la marea di leccapiedi senza alcun carattere né coraggio, facciano a gara per denunciare le persone migliori di loro, che dovrebbero invece (a rigore) scegliere come propri capi, e se ne facciano delatori presso l’Utopirla.

Facevano lo stesso anche i Soviet sotto Stalin, e la cosa finiva malissimo. I caporioni del Partito, se Stalin la notte prima non li aveva guardati, la mattina aprivano la Pravda con mani tremebonde, temendo di trovarvi un articolo non firmato dove – senza nominarli apertamente – qualcuno li accusava di deviazionismo di destra (o di sinistra, non importa), di aver fallito gli obbiettivi del Piano, di non aver realizzato abbastanza il Socialismo Reale, l’utopia finalmente realizzata: sennò dovevano subito fare autocritica, a cui sarebbe seguito l’arresto notturno, e la Siberia... Per fortuna, oggi, i Soviet del 5 Stelle possono esercitare la loro «sorveglianza» interna, schizzare tutta la loro vile ed invidia sui compari, senza serie conseguenze: era una tragedia, oggi è un gioco da cretinetti, da Asilo Mariuccia. Come aveva ragione Marx: quando la storia si ripete, è in forma di farsa.

In fondo, ce la siamo cavata con la Boldrini presidente della Camera (Grillo non è riuscito a metterci nemmeno una grillina, ma una talebana del politicamente corretto, che è stata eletta con SEL ossia da un altro partito). Sì, lo so, è un guaio. Ma poteva andar peggio.

Grazie Grillo!

Certo, cominciare anzitempo le epurazioni del proprio partito, ha mostrato che Grillo non sa chi ha fatto votare, non li conosce, ne diffida e li disprezza: insomma che non sa comandare, non ne ha l’ABC. Appena in Parlamento, quelli volevano fare qualcosa. «No!», ha intimato lui: «Fermi tutti! Gli ordini li dò io!». E i deputati e senatori, sull’attenti: «Pronti Capo: cosa comandi?». A quel punto, silenzio. Telefono occupato. Tut-Tut-tut. «Non parlate coi giornalisti! Silenzio! Ci sono tra voi dei traditori». E quelli «Siamo qui per obbedirti, Capo: vieni a Roma, dicci cosa dobbiamo fare, ti supplichiamo!». Tut-tut-tut.

Dovevano leggere le sue sparate sul blog, come i caporioni del Pcus la Pravda, per indovinare se quelli erano ordini da eseguire, oppure erano sfoghi di bile. Nessuno, nemmeno un deficiente, purché mosso da qualche istinto politico, avrebbe commesso errori così plateali. Qualunque politico che riesce a creare un movimento in tumultuosa ascesa si sarebbe fatto votare personalmente, e a furor di popolo Grillo sarebbe oggi alla Camera. A guidare i suoi da dentro. Non ha voluto lui. E perché? Per coerenza all’utopia: siccome aveva detto che non deve entrare in parlamento se non chi ha la fedina penale immacolata, e lui l’ha sporcata per un antico incidente d’auto colposo, si è astenuto.

Ora, questo non è da politico è da «ideologo». Nell’URSS, era la funzione che svolgeva Suslov: il controllore della purezza dogmatica, l’intransigente della Fede marxista-leninista. Ebbene: Suslov fu sempre un subalterno. Un subalterno di lusso, ma sempre in sottordine; mai i volponi politici del Politburo subordinarono le loro decisioni politiche ai suoi responsi ed oracoli. Mica erano scemi, sapevano che l’Utopia è propaganda per le masse, mica riguarda i capi governanti.

Grillo ha commesso questo errore elementare.

Ha creduto così tanto alla sua Utopia – o piuttosto all’Utopia elaborata da Casaleggio – da castrarsi con le sue stesse mani. Ovviamente, senza accorgersi che tipo di personaggi l’Utopia aveva mandato in Parlamento a suo nome: gente di sinistra che lui non riconosce, con cui è a disagio. Si è vista così, prima assoluta, la figura di un leader con pulsioni fascistoidi (lui) che ha candidato e fatto eleggere dei sinistroidi. Se ne anche lamentato, il poveretto: «Io non ce l’ho con Rodotà», ma è lui che «vuole fare una sinistra con i rossi, gli arancioni... Noi abbiamo la nostra natura siamo sopra». E cos’altro pensava fossero, i suoi eletti del M5S? Rossi, arancioni, sinistra-ecologia-in libertà e libera uscita. Pieni di zelo giustizialista, di velleità autoritarie livellatrici, di volontà di persecuzione moralista, convinti della propria superiorità etica perché fanno la raccolta differenziata.... Che cosa vuoi fare, con questa gente?

Ora, tanto gli spiace quella gente che non li vuole più. A Grillo si attribuisce persino il progetto di ridurre il proprio partito, dal 25%, e che lui l’altro ieri si aspettava di portare al 75, al 10%: perché così li controlla meglio, quei disturbatori (che lui ha raccomandato all’elettorato).

L’idea del partito piccolo ma compatto, lui, crede che sia una novità. Invece ne ha tanti esempi, anche recenti: la Lega di Bossi, «Scelta Civica» di Monti... vedi come sono finiti. L’idea di rimpicciolire il partito, a sua insaputa, equivale da parte sua ad una confessione d’incapacità: non so come gestire il successo politico, non ce la faccio, chiudiamoci nella ridotta coi nostri fedelissimi fanatici e da lì... da lì cosa, di grazia? La volontà di abbassare il partito in modo che ottenga solo il 10% dei voti, rivela anche un’altra cosa: che in realtà, non si vuole fare nulla. Solo vivacchiare, durare in qualche modo. Sopravvivere.

Come se la politica italiana non fosse già strapiena di partitelli-mozziconi, di spezzoni del 10, o del 3%, fossili viventi di progetti tramontati, falliti e dimenticati: Scelta Civica, Lega, Fratelli d’Italia... spazzatura che proprio il M5S è nato per spazzar via, e che in parte ha spazzato via. Ora, avremo un altro mozzicone, un altro rimasuglio in più. A meno che l’elettorato non lo riduca come ha ridotto Scelta Civica di Monti, Casini, Fini e Rutelli, un mozzicone di cera che si scioglie a vista d’occhio.

E poi, lo sgonfiamento e la crisi senza fine del 5 Stelle, nasce da cosa? Dall’aver presentato il partito alle elezioni locali, subendo una sconfitta anzi un vero schiaffo. Chiunque poteva dirgli di non farlo, poteva spiegargli che un movimento d’opinione, nuovo e senza radicamento «sul territorio», deve presentarsi solo sul piano nazionale, e lì vincere e stravincere. Ma Grillo non ha ascoltato chiunque: ha ascoltato Casaleggio, e le sue «voci di dentro». Grazie Grillo, grazie Utopirla. Grazie per aver fatto fallire l’ennesima speranza di cambiare le cose per davvero.

Eri quello del «referendum per uscire dall’euro», quello dei «niente più soldi ai partiti», quello di «privatizziamo la Rai». Sei riuscito a non ottenere niente, con un mare di voti. E ti prepari a vivacchiare come un Bossi, a sopravvivere a te stesso. Lo dimostra il fatto che l’unico uomo tuo (ma poi lo è?) che sei riuscito a piazzare in una commissione, il grillino Roberto Fico, appena arrivato alla Vigilanza Rai, s’è messo a dire: «La Rai non si svende, si difende». Come si cambia parere, appena si tocca col sedere una poltrona! Fico aveva un parere diametralmente opposto; oggi, parla come un qualunque Rutelli, un qualunque Veltroni o Rodotà, sfegatatamente a favore del «servizio pubblico».

Ma noi ti ringraziamo e ti siamo grati per questo. Abbiamo corso il rischio di votarti, di darti il potere, e poi di finire per questo in una tua Lubianka. Ci hai dato di accorgerci per tempo chi sei veramente. E ci tocca dar ragione a Gasparri: «Beppe Grillo non è un cattivo politico, è una cattiva persona». E questo, questo far apparire Gasparri, al tuo confronto, un Talleyrand, è in fondo la sola cosa che non riusciamo a perdonarti.

Ma per tutto il resto, grazie. Ci hai scampato da un pericolo, mostrandoti dittatore folle troppo precocemente. Ci fai tenerezza, e siamo preoccupati per te; che cosa farai, dopo questo incredibile naufragio, questa bancarotta per mera e confessata incapacità politica? Non ti vedo a rimetterti a girare l’Italia con i tuoi spettacoli. Ormai, anche come comico, non fai più ridere. Berlusconi ti supera anche in quello, ed è ormai insopportabile anche lui.

Dovrebbero darti un posticino alla Rai. Ti spetta, l’hai salvata.




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