Fini si autosospende			
	
					Il Tempo
					10 Febbraio 2011
				
	
	
 Fini sarà eletto presidente, salirà sul palco e annuncerà  l'autosospensione. È l'ultima soluzione che hanno inventato quelli di  Futuro e Libertà. Che poi è il sintomo reale dell'incartamento a cui è  arrivato un partito che ufficialmente deve ancora nascere e già lotta  per non essere un abortito: eleggeranno un capo che per ora non può fare  il capo, ma non cede lo scettro.
Alt, non s'è capito nulla? Normale quando si tratta dei finiani.  Ricapitoliamo. Fini vuole essere eletto leader del suo partito. Avrebbe  potuto lasciare la casella vuota, ma non sarebbe stato un bel segnale  interno. Oppure avrebbe potuto far eleggere qualche sua derivazione,  tipo Adolfo Urso. Ipotesi scartata. E questo è segno di quanto di fidi  dei suoi uomini di fiducia.
Allora, sia eletto presidente lui. Lui, Gianfranco Fini. Anche se una  soluzione del genere il presidente della Repubblica la considera a dir  poco indigesta. E si capisce. Quando lui, Giorgio Napolitano, venne  eletto presidente della Camera sciolse proprio la sua componente (che  poi venne ricostituita da altri). Ora si assiste al processo inverso.  Diciotto anni dopo un suo successore fonda un partito e se ne mette alla  guida. Si sarebbe voluto dimettere lunedì, lo farà domenica stessa.
Sono stati in vari in questi giorni a cercare di far desistere l'ex  cofondatore del Pdl ad avventurarsi su una strada così complicata e  istituzionalmente indifendibile. E così, come prima decisione è sparito  il nome «Fini» dal simbolo che campeggerà durante la tre giorni  meneghina: tornerà dopo. Politicamente il congresso dovrebbe consegnare  un Fli pendente a sinistra. Tanto per avere un'idea basti pensare agli  inviti speciali che sono stati immaginati. Flavia Perina ha annunciato  che uno voleva recapitarlo a Fiorella Mannoia, la cantante di sinistra  (a dicembre scorso era sul palco della manifestazione del Pd e voleva  dare il premio Nobel a Gino Strada) che a ottobre 2009 aveva scritto una  lettera aperta a Fini chiedendogli di mettersi alla guida di una  «destra moderna». Un altro sembrava destinato alla regista Cristina  Comencini, anche lei non certo di simpatie berlusconiane. Difficile che  si presentino ma il fatto che siano entrate nella lista dei possibili  invitati dimostra come il partito finiano stia diventando una sorta di  satellite del Pd. L'ala destra del mondo dalemiano.
L'organigramma del congresso è la fotografia dei rapporti di forza  interni alla formazione. E immortalano come l'ala moderata sia stata  sempre più messa da parte. Alla presidenza tanto contesa della  commissione Cultura ci andrà Umberto Croppi, l'ex assessore capitolino  fatto fuori da Alemanno e che ha cominciato a togliersi qualche  sassolino dalla scarpa: archiviato Luca Barbareschi. Alla commissione  Legalità andrà Fabio Granata, a quella Welfare Benedetto Della Vedova, a  quella Innovazione Enzo Raisi. Al leader dell'ex Area nazionale Roberto  Menia andrà la commissione Ambiente visto che di quel settore è stato  sottosegretario. Al finiano critico tendenza borbottìo Donato Lamorte la  commissione Statuto. Alla commissione Programma invece andrà Mario  Ciampi, direttore di Fare Futuro. Quello scientifico, Alessandro Campi,  invece non ci sarà. E non ci sarà anche un'altra farefuturista come  Sofia Ventura. Entrambi sono comunque già stati archiviati da Granata:  «Premesso che non ci servono intellettuali organici, ritengo che un  forza politica debba misurarsi sulle politiche culturali portate avanti  in Parlamento e sul territorio».
Addio moderatismo, addio anche riferimenti alla destra visto che  Campi comunque proviene da quel mondo. Si naviga verso sinistra. Senza  ammetterlo, senza confessarlo, smentendolo in pubblico e praticandolo in  privato. E le alleanze alle prossime amministrative saranno il primo,  evidente banco di prova. Fli guarda sempre con maggiore interesse alle  intese locali con il centrosinistra. E anche questo è il segno evidente  di un fallimento. I futuristi si erano proposti come coloro che  avrebbero portato in politica quelle personalità civili che avevano  trovato ostruiti gli spazi, soprattutto nel Pdl, dalle Minetti di turno.  A Milano, come candidato a sindaco, s'era pensato a Gabriele Albertini  ma è arrivato un no. Poi a Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio: altro  rifiuto. In pista non c'è ancora nessuno. E finora non si è visto un  nome nuovo. Altro tema è i soldi. O meglio, la sua mancanza. Stasera  festa riservata organizzata da Bocchino con venticinque finanziatori. Un  po' pochini per cominciare.
Fabrizio dell'Orefice
Fonte >  Il Tempo