 
	
			
				Garibaldi e la truffa al Banco di Napoli			
	
					Napoli.com
					17 Gennaio 2011
				
	
	
 “Frammenti e memorie” è il nome di un percorso multimediale  dell’Archivio del Banco di Napoli che ha dato l’opportunità di godere di  visite guidate presso la sede dell’antichissimo Banco napoletano a cura  della Fondazione Banco di Napoli e con il patrocinio di Comune di  Napoli e Regione Campania. Centinaia di documenti di quello che è considerato il più grande e  importante Archivio Storico-Economico del mondo sono stati esposti in  mostra dal 15 Dicembre al 15 gennaio con l’ausilio di musiche, giochi di  luce e voci.
 Nota stonata è stata però la “censura”, denunciata dal Movimento  Neoborbonico, di uno dei documenti più interessanti dal punto di vista  storico e didattico, proprio nel vivo delle celebrazioni dei 150 anni  dell’unità d’Italia. Non è stato infatti mostrato il carteggio che  vedeva coinvolti Garibaldi e il figlio Menotti, beneficiario di un  prestito ingente mai restituito, e il direttore del Banco.
 Garibaldi è considerato uno dei “padri della patria” che si stanno ricordando nelle celebrazioni dell’unita nazionale.  Dell’eroe  dei due mondi si tramanda dagli archivi il suo rapporto morboso col  denaro e non gli mancò l’occasione per dimostrarsi a tutti gli effetti  un personaggio incline al lucro. Quattordici anni dopo la spedizione  dei Mille, garantì per il figlio primogenito Menotti un prestito di  duecentomila lire dell’epoca dal Banco di Napoli, una somma che  corrisponde a circa ottocentomila euro di oggi, per l’acquisto di suoli  nell’Agro-pontino. 
Con una lettera autografata e datata 2 Settembre  1874, il generale così si impegnò: “Colla presente dichiaro garantire il  rimborso della somma di lire 200/mila che il Banco accorda a mio figlio  Menotti secondo le norme dell’Istituto. E questa mia garanzia, servirà  sino a totale estinzione del debito suddetto”.
 Una somma che Menotti non restituì mai. Passati infatti tre anni di  solleciti mai ascoltati, il padre famoso fu richiamato dal Senatore del  Regno d’Italia Salemi al quale il settantenne Garibaldi scrisse impegno  poco convincente per l’estinzione del debito: “Illustre Senatore, la  pregiata vostra del 14, l’invio a mio figlio Menotti, che spero farà  onore alla mia firma. In ogni modo io sono sempre responsabile verso il  Banco di Napoli della somma prestata a mio figlio”. 
 Di fatto, della soluzione del contenzioso, Garibaldi non si preoccupò più di tanto. Dopo quasi dieci anni dal prestito, mentre il Banco decideva di  procedere ad una scandalosa esecuzione forzata contro le proprietà di  famiglia, Menotti scrisse al direttore della banca il 7 luglio 1883, su  carta intestata della Camera dei Deputati, informando che il Governo  aveva deciso di “condonare” la somma dovuta.
 La questione fu messa pian piano nel dimenticatoio e la banca dovette rinunciare  definitivamente al recupero del credito. Va detto che nel 1875 fu accordato al vecchio Garibaldi un corposo  vitalizio di centomila lire annue (circa quattrocentomila euro) per  riconoscenza della nazione italiana ma il Banco di Napoli non vide mai  tornare indietro nemmeno una parte del tesoro “regalato” alla famiglia  Garibaldi.
 A pochi anni dall’unità d’Italia, fu quello il primo segnale di un lento  decadimento del Banco più florido d’Italia e che poi sarebbe stato  assorbito un secolo dopo da un istituto bancario, manco a dirlo, di  Torino. 
 Il movimento neoborbonico, tramite li capo ufficio stampa Salvatore  Lanza, fa sapere che nella mostra “Frammenti e memorie” il carteggio  sarebbe stato dimenticato per intervento di un discendente di Garibaldi,  mentre il curatore della mostra Eduardo Nappi smentisce la censura  avvertendo che nell’esposizione si è preferito esporre casi completi  compresi di transazione conclusiva.
Angelo Forgione
Fonte > Napoli.com