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				Il seggio Onu per la Palestina: l’ipocrisia dell’occidente			 
	
					Asia News
					21 Settembre 2011
				 
	
	
La paura dell'Occidente nei confronti di una richiesta diplomatica per il riconoscimento della Palestina
  Il 23 settembre, il  presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina,  Mahmoud Abbas, all’Assemblea generale dell’Onu presenterà la richiesta  che la Palestina sia riconosciuta come Stato e come membro a parte  intera nell’organismo delle Nazioni Unite, "nei confini del 1967".    L’idea è nata circa un anno fa e ha ricevuto il sostegno di quasi 130  nazioni. Da almeno un anno gli ambasciatori israeliani nel mondo  lavorano – senza successo - per bloccare questo tentativo che secondo  loro mette in crisi la pace nella regione e i dialoghi fra Israele e  palestinesi, bloccati da più di un anno per il fatto che Israele non  ferma la costruzione e l’allargamento degli insediamenti israeliani nei  Territori occupati.    Anche gli Stati Uniti, dopo tentennamenti e immobilismo, tentano a tutti  i costi di bloccare il tentativo palestinese. Washington ha già detto  che metterà il veto alla richiesta di Abbas perché il Consiglio di  Sicurezza non l’accetti. In tal caso i palestinesi sono pronti a  domandare direttamente all’Assemblea di offrire alla Palestina almeno un  seggio come “osservatore”, con diritto di rappresentanza nei vari  organismi Onu. In questo caso, la vittoria è quasi sicura.    Per scongiurare anche questa evenienza, Barack Obama oggi si incontra  col premier israeliano Benjamin Netanyahu e (forse) con Mahmoud Abbas,  per farlo desistere dalla proposta, offrendo in cambio la ripresa dei  dialoghi a due. Ma questa è una possibilità remota: il governo Netanyahu  è sostenuto dal partito nazionalista estremista di Avigdor Lieberman,  che non accetta lo stop degli insediamenti e anzi, ha promesso di  accrescerli.    Stati Uniti e Israele sono decisi a usare anche l’arma economica.  Parlamentari Usa hanno chiesto a Obama di bloccare gli aiuti ai  palestinesi, se Abbas osa presentare la sua domanda; Israele ha detto  che per rappresaglia non verserà i fondi delle tasse dovute ai  palestinesi.    Dopo gli accordi di Oslo (1993), Israele versa all’Autorità palestinese  (Ap) le tasse che esso preleva a nome di quest’ultima sulle merci che  transitano nei porti e aeroporti israeliani. Questi fondi – oltre 700  milioni di euro all’anno – sono circa i due terzi del bilancio annuale  dell’Ap.  Senza questi aiuti l’Ap rischia di non avere il denaro necessario per  pagare gli stipendi di impiegati e polizia e di non poter sostenere gli  sviluppi urbanistici e stradali avviati nei Territori.    In Israele e nel mondo arabo si nutrono dubbi sulla sanità della  decisione di tagliare i fondi: se i palestinesi vedono che i loro mezzi  per vivere sono bloccati da Israele, ciò potrà scatenare grandi  manifestazioni e proteste, sullo stile di quanto avvenuto per la  primavera araba.    Fa davvero impressione il fatto che la leadership palestinese, con la  sua iniziativa diplomatica, abbia conquistato le prime pagine di tutti i  giornali. E stanno conservando il posto in prima pagina anche in questi  giorni in cui vi sono altre notizie nazionali e internazionali di  grande urgenza: pensiamo ad esempio alla crisi finanziaria greca, con il  suo potenziale effetto sull’euro e sull’Unione europea.    Ma soprattutto è divertente vedere il panico che ha invaso tanta parte  del mondo occidentale alla vista dei palestinesi che questa volta non  prendono le armi, ma fanno quanto è stato loro consigliato per decenni, e  cioè cercare di conquistare la libertà con mezzi pacifici e  diplomatici!    Onestamente è difficile comprendere l’ansietà che molti governi  d’occidente esprimono di fronte all’iniziativa palestinese. Ancora di  più, sono incomprensibili le minacce di Israele e Stati Uniti a volerli  “punire” per un gesto pacifico come è quello di andare alle Nazioni  Unite e esprimere una richiesta. In fondo si tratta semplicemente di una  richiesta: i governi che sono d’accordo con essa, voteranno in favore;  quelli che non sono d’accordo, voteranno contro. Cosa c’è di così  terribile nel fare una richiesta e nel metterla ai voti?    La sola risposta possibile è che la richiesta palestinese per il  riconoscimento di un seggio all’Onu, come membro a parte intera o come  osservatore, mette l’occidente davanti a una prova a cui alcuni Paesi  importanti cercano di sfuggire a tutti i costi: e cioè se è vero e  credibile quanto loro hanno sempre assicurato di essere a favore della  “fine dell’occupazione iniziata nel 1967” (sono parole dell’allora  presidente George W. Bush.    È molto significativo che nella frenetica attività diplomatica  scatenatasi in questi giorni si parli della “ricerca di una formula” per  persuader la leadership palestinese ad abbandonare la sua richiesta  all’Onu. I palestinesi hanno risposto che il tempo delle “formule” è  ormai terminato.  Venti anni fa essi hanno partecipato alla Conferenza di pace di Madrid;  il 13 settembre 1993 hanno firmato gli “Accordi di Oslo”, una  dichiarazione di principi sul reciproco riconoscimento fra la nazione  palestinese e israeliana.    Eppure, lungo tutto questo periodo, all’interno dei territori occupati  da Israele nel 1967, essi hanno visto le loro terre sempre più  sequestrate dai coloni israeliani. Ogni giorno la terra – e l’acqua –  disponibile per un futuro Stato palestinese è stata “mangiata”, occupata  dagli insediamenti e tutto sotto l’etichetta del “processo di pace”.    Il presidente Usa Barack Obama, all’inizio del suo mandato, aveva  chiesto a Israele di fermare le attività delle colonie, ma in seguito ha  ritrattato. Ora la leadership palestinese si domanda: Come è possibile  negoziare il futuro di un territorio mentre l’altra parte, il potere  occupante, continua ad insediare sempre più elementi della sua  popolazione in quel territorio?    Divenire uno Stato riconosciuto, sotto la protezione dell’Onu, darà ai  palestinese una protezione maggiore e potrà indurre Israele a fermarsi  nel divorare la loro terra e la loro acqua.    Il riconoscimento dell’Onu renderà possibile per i palestinesi negoziare  un trattato di pace con Israele – il vero scopo di tutte queste mosse  alle Nazioni Unite, ha detto Abbas – sulla base di una uguale dignità e  diritti con lo Stato di Israele, del quale essi hanno già riconosciuto  da tempo l’esistenza e il diritto, come pure i suoi confini  internazionali.
  Bernardo Cervellera
  Fonte >  Asia News
 
  
 
	 
 
												
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