La paura della pace ha fatto di Israele un paese che è preparato
per la guerra nucleare, ma non per proteste nonviolente in difesa dei
palestinesi; un paese incapace di porre fine al cancro
dell’occupazione, dalla quale Israele finirà per essere ucciso – scrive
il giornalista israeliano Bradley Burston
***
Sheikh Jarrah, Gerusalemme – In quanto nipote di anarchici, ho sempre
avuto un debole per i fanatici. Manifestazioni di estremismo, e visioni
del mondo ragionate con passione e squisitamente contorte, mi fanno
sentire, come dire, “a casa”.
Per questo ho particolarmente apprezzato la storia di copertina di
un recente numero della rivista Commentary, “The Deadly Price of
Pursuing Peace”, scritto dalla talentuosa collega ed amica Evelyn
Gordon.
Il pezzo, che l’editore di Commentary John Podhoretz
comprensibilmente chiama “rivoluzionario”, si sviluppa attorno all’idea
che la posizione internazionale di Israele è precipitata ad un livello
senza precedenti – mentre il numero di palestinesi uccisi da Israele è
contemporaneamente salito – proprio perché Israele ha fatto troppo per
ottenere la pace.
“E’ spiacevole fare i conti con una tale risposta, ma le crescenti
prove la rendono ineludibile”, scrive. “E’ stata proprio la volontà di
Israele di fare concessioni per la pace a determinare il suo attuale
stato di semi-emarginazione”.
Il saggio segue la stessa perfetta, convincentemente elegante, e
scintillante logica di un’allucinazione – o di un insediamento radicato
in Cisgiordania. Prima di leggere l’articolo, mi era difficile capire
l’attuale sconsideratezza delle autorità israeliane e di un certo
segmento dell’estrema destra, sostenuta da loschi finanziamenti
stranieri.
Mi era difficile capire perché la polizia israeliana, in questa
tranquilla conca nella metà araba di Gerusalemme, avrebbe scelto di
infischiarsene apertamente e di violare le sentenze di un tribunale
israeliano. Non riuscivo a capire perché malmenavano e arrestavano dei
dimostranti nonviolenti – tra i quali il direttore esecutivo
dell’Association for Civil Rights in Israel – solo perché protestavano
contro l’espulsione ufficiale di più di una ventina di famiglie
palestinesi, cacciate dalle loro case e buttate in mezzo alla strada,
affinché dei coloni, sovvenzionati e protetti, potessero stabilirvisi.
Era al di là della mia capacità di comprensione per quale motivo un
governo israeliano, che considera l’idea di un “diritto al ritorno”
palestinese equivalente alla distruzione dello Stato ebraico, creerebbe
un precedente giuridico che spiana la strada ad un tale diritto.
Così come non avevo idea del motivo per cui la Knesset mercoledì 3
febbraio stava per votare una legge che rende coloro che aiutano i
richiedenti asilo in fuga dal genocidio africano, concedendo loro
alloggio, cure mediche e cibo, colpevoli di un reato che può comportare
fino a 20 anni di reclusione.
O il motivo per cui ci sono state nuove vigorose campagne per
accrescere la segregazione tra i sessi al Muro del Pianto e sugli
autobus pubblici, e perché delle donne sono state arrestate e
interrogate in quanto sospettate di non aver indossato lo scialle della
preghiera mentre pregavano nell’area loro riservata, delimitata da una
barriera costruita in modo che non possano vedere il bar mitzvah dei
loro figli nella parte destinata agli uomini.
O perché le feroci ed improvvise campagne contro le organizzazioni
per i diritti umani e le organizzazioni caritatevoli in Israele
coincidano con nuove violazioni dei diritti umani a danno di
palestinesi e stranieri, alcuni dei quali impossibilitati a lasciare il
paese, mentre altri, al contrario, costretti a farlo.
E’ stato solo quando ho visto il titolo del pezzo pubblicato sul Commentary che tutto ha acquisito un senso.
La destra è terrorizzata dalla pace. E, alla fine, questa paura sarà la morte di Israele.
Hanno paura della pace, in parte, perché essa minaccia il nucleo di
ciò che ha preso il posto di altri valori, nel determinare l’obiettivo
dell’ebraismo: l’insediamento permanente in Cisgiordania. Ma questo è
solo uno dei fattori interessati.
Hanno paura della pace perché hanno paura del mondo. Respingono
altri ebrei che credono nella soluzione dei due Stati – la maggioranza
degli israeliani – ritenendoli irrealistici, gente che vive in una
bolla. La bolla in cui questi moderati vivono, tuttavia, si chiama
“pianeta Terra”.
La destra, invece, vuole circondare di muri Israele, come l’ultimo
ghetto ebraico legittimo rimasto nel mondo. Un luogo dove tutte le
regole sono diverse, uscita e ingresso, cittadinanza e diritti umani,
perché i suoi residenti sono ebrei. Un luogo in cui i non-ebrei,
disumanizzati e identificati come nemici congeniti degli ebrei, sono
resi invisibili. Un luogo che, per quanto soffocante ed insopportabile,
sembra ancora più sicuro dello spaventoso mondo esterno.
Un luogo che, a causa delle sue mura, della sua politica e della sua
viltà, sta perdendo la sua capacità di essere parte del mondo, che si
diletta a infliggere umilianti colpi bassi a importanti ambasciatori
stranieri, e che, in una forma di delirio, è orgoglioso della sua
sensazione che in tutto il mondo, compresa la maggior parte degli ebrei
e degli israeliani, solo la destra è depositaria della verità.
Questa linea di pensiero è stata velenosamente abbracciata
all’inizio di febbraio, sia da un Alan Dershowitz, che insolitamente
richiamava Kahane, sia dall’oscenamente infantile movimento Im Tirtzu.
Secondo loro, riguardo all’operazione Piombo Fuso, i veri criminali di
guerra sono Richard Goldstone e Naomi Chazan – due persone che hanno
apertamente espresso il loro amore per Israele, e che hanno dedicato
tutta la loro vita adulta al benessere di questo paese.
I timori della destra non sono semplici strumenti di retorica. I
rischi che la pace comporta sono reali. Così come sono reali i rischi
di non riuscire a fare la pace.
Tutto si riduce alla fede. Tutto dipende dal tipo di paese che il
“credente” vuole che Israele sia. E per questo motivo è in corso una
guerra civile riguardo all’essenza di Israele.
Non saranno le armi a determinare questa guerra, ma il coraggio. Le
persone che si preoccupano per la direzione che Israele sta imboccando,
e la cui parola d’ordine è la moderazione, farebbero bene a scegliere
un aspetto della lotta, e a parteciparvi. Un punto di partenza è quello
di sostenere il New Israel Fund e i gruppi che esso sostiene.
Un altro punto di partenza è il seguente. Durante lo scorso fine
settimana, sfidando le minacce dei delinquenti di destra e della
polizia sprezzante della legge, la partecipazione alla manifestazione
settimanale a nome dei residenti palestinesi di Sheikh Jarrah è
raddoppiata. La polizia ha fatto marcia indietro sulla sua intenzione
di disperdere la protesta, e i kahanisti erano quasi assenti.
Se l’attivismo nonviolento spaventa la destra a tal punto, esso deve avere un forte potere.
Dopotutto, la maggior parte degli israeliani può capire che se la
pace è il nemico più pericoloso, ancora più pericoloso della minaccia
di una guerra, questo paese è condannato ad essere un ghetto.
Le cose hanno raggiunto un tale livello di devastazione che, per la
prima volta nella storia recente, anche Ehud Barak sta cominciando a
capirlo: “La semplice verità è che se vi sarà un solo stato”, Israele,
Cisgiordania e Striscia di Gaza compresi, “esso sarà o binazionale o
non democratico “, ha detto Barak alla conferenza di Herzliya.
“Se questo blocco di milioni di palestinesi non può votare, questo sarà uno stato di apartheid”.
La paura della pace ha fatto di Israele un paese che è preparato per
la guerra nucleare, ma non per proteste nonviolente in difesa dei
palestinesi. La paura della pace, e il ricatto della destra in nome
degli insediamenti, ha trasformato Israele in un organismo che,
incapace di contenere i pericoli derivanti dalla necessità di curare la
malattia dell’occupazione, finirà per esserne ucciso.
Il ministro della difesa israeliano, per esempio, è convinto: “E’ la
mancanza di una soluzione al problema della delimitazione dei confini
all’interno della terra storica di Israele – non una bomba iraniana –
la minaccia più grave per il futuro di Israele”.
Brandley Burston è un editorialista del quotidiano israeliano Haaretz, dove questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 03/02/2010
Original Version: Fear of peace will be the death of Israel
Fonte articolo italiano > MedarabNews