Mastella si dimette? Ma va…
17 Gennaio 2008
«Tra l’amore della mia famiglia e il potere scelgo il primo»: ha voluto dire la frase da antico romano, il loschissimo.
Ma il fatto è che «amore della famiglia» e «amore del potere» sono tutt’uno nella «Famiglia» Mastella, come nella Famiglia mafiosa.
La sora Sandra Mastella, che è stata messa per ragioni familiari alla presidenza della Regione Monnezza-Camorra, sarebbe incriminata per una faccenda in cui è coimputato Carlo Camilleri, consuocero di Mastella, e - guarda un po’ - presidente dell’Autorità Bacino del Sele: posto a cui lo destinava non la sua competenza, ma l’amore della Famiglia per lui.
Ci sarebbero un’altra quindicina di indagati.
Dal presidente del Consiglio di Stato Paolo Salvatore al capo della Procura di Foggia Vincenzo Russo, da Giuseppe Urbano prefetto di Benevento a tre giudici amministrativi della Campania-Monnezza, tutti uniti da profondo affetto alla Famiglia.
Una rete di affetti.
Che, secondo l’ipotesi dell’accusa, vede «una regia del Campanile (il partito locale di Mastella: ci voleva qualcosa per rafforzare il cattivo Udeur nella regione della rumenta) dietro delibere, nomine e gare»: tutta una fitta rete di rapporti familiari intenti a succhiare i contribuenti in un giro di «corruzione, falso, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto d’ufficio».
Pare che uno abbia tradito la famiglia, e questo abbia portato all’annullamento dell’appalto per la costruzione di un reparto dell’ospedale di Caserta, e questo avrebbe messo nei guai il consuocero Camilleri, il caro familiare della cara sora Mastella.
Solo un cieco non vede che questa rete di amori familiari che poppa alla Regione somiglia ad un’associazione di stampo mafioso.
Perciò non si deve credere un attimo che Mastella abbia davvero pensato a dimettersi, a scegliere «l’amore» anziché «il potere».
Ha fatto la mossa, come si dice a Napoli: «Tenetemi chè m’accido!».
E tutti a trattenerlo: ma che fai, ragiona, siamo qui a coprirti…
Prodi ha respinto le dimissioni.
E ci credo: Prodi deve restare al governo (o a quel relitto morale cui si dà tale nome) per finire l’occupazione del potere delle poltrone, sottopoltrone di enti e aziende pubbliche semi-pubbliche pseudo-private con amici suoi.
Anche lui ha Famiglia, e numerosa.
Una lista sicuramente incompleta dei famigli della Famiglia Prodi messi da Prodi il capo-famiglia ad occupare poltrone spesso poco visibili, ma potenti centri di potere e sottopotere, dà questi risultati:
Mauro Murri, prodiano, presidente del Poligrafico e Zecca di Stato.
Pietro Ciucci, messo alla presidenza dell’ANAS, era direttore generale dell’IRI, gran feudo di Prodi per trent’anni.
Franco Neppi, prodiano presidente di Patrimonio dello Stato (bella greppia), con il prodiano Pierpaolo Dominedò amministratore delegato della stessa greppia.
Maurizio Prato, messo da Prodi al vertice Alitalia (catorcio ma bella mangiatoia clientelare) al posto di Cimoli, è stato dirigente dell’IRI.
Fabiano Fabiani, indicato come consigliere generale della RAI al posto di Angelo Maria Petroni, è anche stato direttore centrale dell’IRI (nel ‘78).
Massimo Massella Ducci Teri, vecchio amico di Prodi, è stato da lui piazzato all’ARAN.
Che cos’è l’ARAN?
L’entità semi-occulta che negozia i contratti della pubblica amministrazione.
Guarda caso, questo Ducci Teri è anche uno molto «amico» della CISL pubblico impiego.
Tutti i consiglieri della cosca occulta, del resto, sono dei sindacalisti statali: Mimmo Carrieri (già direttore della fantomatica «rivista culturale della CGIL»), Giancarlo Fontanelli (ex-segretario federale UIL con delega per il pubblico impiego), Vincenzo Nastasi (altro amicone della CISL), Mario Ricciardi (bisognava accontentare D’Alema, di cui costui è buon «amico»).
Insomma il pubblico impiego si dà da solo le paghe, attraverso i suoi sindacati, grazie a Prodi.
Filippo Andreatta, figlio di Beniamino, è stato messo da Mortadella nel consiglio d’amministrazione di Federmeccanica.
Paolo De Castro, ministro delle Risorse Agricole, è stato presidente di Nomisma, la nota società di Mortadella.
Costui ha nominato all’ISA, finanziaria agro-alimentare (bellissima greppia, ma non per i contadini) Francesco Baldarelli, ex eurodeputato DS, e anche Riccardo Deserti, già segretario di De Castro e anche lui di Nomisma.
Massimo Carraro, cosiddetto imprenditore, eletto nel ‘99 eurodeputato come indipendente DS, è stato messo alla SACE, la grossa e ricca società di assicurazione dei crediti.
Carraro è un condominio Prodi-D’Alema.
Claudio Cappon, messo a direttore generale RAI, è ovviamente un ex-IRI.
Gianni Riotta, direttore del TG1, è in quota Ulivo-Mortadella.
Piero Badaloni, messo a dirigere RAI International (un disastro vergognoso, ma quanti favori e posticini…) è della Famiglia, inutile dirlo.
Non è un caso se da quando c’è Prodi, alla RAI le voci del governo e della cosiddetta sinistra hanno accaparrato il 63 e passa per cento del tempo, e il centrodestra è sceso al 30,8%.
Par condicio prodiana.
Alfonso Izzo era vice-presidente della Intesa San Paolo; ma, grande amicone, Prodi l’ha voluto alla Cassa Depositi e Prestiti: la madre di tutte le greppie, la cassaforte delle partecipazioni dello Stato (ENI, ENEL, Poste Italiane, eccetera), dove è bene mettere uno della Famiglia.
Giovanni Bazoli, che di Intesa San Paolo è vicepresidente del consiglio di sorveglianza, è stato ben lieto di cedere il fidatissimo manovra-soldi.
A Intesa Prodi è pieno di amici dossettiani o giacobini, tutti «adulti»:
Corrado Passera, amministratore delegato.
Enrico Salza, che presiede il consiglio di gestione.
Pietro Modiano, direttore generale, e anche marito della ministra Barbara Pollastrini (mica solo Mastella tiene famiglia).
Fabrizio Palenzona, Margherita, è stato piazzato alla presidenza di AISCAT, Associazione Italiana delle concessionarie Autostrade e Trafori.
Ma non bastava - forse non avendo più tanti amici da sistemare, Prodi ha dato a questo Palenzona un posto nel consiglio di Mediobanca, la vicepresidente di Unicredit (la più grossa banca cosiddetta privata), e come non bastasse la presidenza di Aeroporti di Roma, l’ente che dispone di Fiumicino e Ciampino.
Sicuramente dimentico qualcuno.
E’ una rete fittissima di interessi e di denaro, di posti e clientele che Prodi - è la sua vera specialità - è riuscito a mettere sotto la sua mano, con il loro affidamento ai capi-mandamento che conosce da decenni.
Tutto nella «legalità», naturalmente.
E questo fitto tessuto di clientele che dipendono da lui e dunque difendono lo status quo garantirà il suo potere anche nel caso, non si sa quanto probabile, che Prodi debba lasciare il governo.
Se dovesse vincere ancora il cuorcontento di Arcore, non riuscirebbe a governare nulla, dato che tutte le stanze dei bottoni sono occupata da amici del cattolico adulto.
E poi criticano Putin.
Da quella posizione, «la regia del partito di Mastella dietro delibere, nomine e gare» in Campania, che sospettano i giudici, la rete di «mutua assistenza» tra persone vicine o organiche all’Udeur, una sorta, secondo l’accusa, di lobby per «scambi di favori» deve sembrare una cosetta da dilettanti. Mastella regge il governo Prodi, e Prodi ha bisogno di perfezionare la rete dei mandamenti per la sua Famiglia.
Dunque ha rifiutato le sue dimissioni.
E’ comprensibile.
Meno comprensibile la solidarietà espressa al capo-Famiglia di Ceppaloni da tutta la sedicente destra: da Fini a Casini, da Berlusconi a Maroni, tutti lì a giurare che Mastella è perseguitato dalla Magistratura - manco avessero già letto gli atti - e tutti a supplicare lui di non andarsene, e Prodi a tenerselo.
Casini: «E’ emergenza democratica».
Maroni ha superato tutti: «Mastella resti e ci aiuti a battere la Casta».
Questa unità di intenti ci fa temere che già ci sia, nel Parlamento, una maggioranza trasversale che si affretterà a varare leggi per tagliare gli artigli dei procuratori, solo s’intende quando vogliono occuparsi dei politici.
Con ciò tutti, maggioranza attuale e futura, si garantirebbero una più vasta impunità nel malfare e malversare.
Il che non dispiace a nessuno.
In fondo, sono tutti la stessa Famiglia.
Nessun commento per questo articolo
Aggiungi commento