Come sta davvero la Russia?
01 Febbraio 2008
Di recente a Soci sono stati invitati investitori internazionali.
La Russia, è stato detto loro, intende spendere nei prossimi 12 anni un trilione di dollari (mille miliardi) in infrastrutture.
Solo il 20% dello stanziamento sarà sborsato dallo Stato; si cercano privati desiderosi di metterci l’80% (1).
Chi ci sta?
Da qui è partita un’interessante valutazione sui bisogni infrastrutturali russi, che sono molto peggiorati rispetto ad un decennio fa, quando la Russia era appena rinata dall’URSS.
Allora, per dirne una, la Russia sovietica contava 1.300 aeroporti.
Oggi ne ha 250, per lo più bisognosi di interventi notevoli.
La rete stradale è un decimo di quella americana.
E solo il 5% delle strade sono di buona qualità, il che significa a più di una corsia e con un manto stradale che regga i camion pesanti.
Anche le grandi città sono collegate da strade analoghe alle nostre provinciali, senza doppia corsia.
E le ferrovie?
Vasta com’è, la Russia ha una rete ferroviaria fra le più lunghe del mondo.
Eppure, quella rete è solo la metà di quella degli Stati Uniti, non proprio noti come Paese ferroviario.
I convogli viaggiano ad una media di 30 miglia all’ora su attrezzature obsolete, e ben lungi dal garantire una copertura totale del territorio.
Oggi Mosca dice che, del trilione di dollari che conta di raccogliere, 400 miliardi saranno destinati alle ferrovie: il che fa sognare multinazionali come la Asea Brown Boweri, Siemens e l’americana FreightCar America, che da un secolo non vedevano così grosse intenzioni d’investimento nel settore.
30 miliardi andrebbero per gli aeroporti.
Ma la fetta più grossa, 480 miliardi di dollari, sarebbe destinata al riammodernamento e potenziamento della rete elettrica.
Putin vuol costruire 26 nuove centrali nucleari nei prossimi 12 anni; incredibilmente, nei settant’anni sovietici, le centrali costruite per uso civile sono state solo 30.
A questo scopo, il monopolio elettrico moscovita conta di cedere a privati una ventina di aziende generatrici di energia - vendita complicata dai titoli di proprietà ancora sovietici - con cui conta di raccogliere 120 miliardi di dollari.
Molto significativa la ripartizione regionale della spesa annunciata: i due terzi saranno destinati alla Russia al di là degli Urali, essenzialmente alla Siberia.
La tragica vastissima area della taigà e del Gulag, che vanta le dieci città più fredde del mondo e - da quando c’è la libertà di spostamento - le più rapidamente svuotate dai suoi abitanti.
Che nella vastissima Siberia sono solo mezzo milione (e forse 4 o più milioni di cinesi che filtrano dalle frontiere).
Ma la Siberia ha nel sottosuolo l’85 % delle riserve di gas russe, l’80% del greggio e del carbone, senza contare platino ed oro, nickel e diamanti, argento, altri metalli, e legname.
Il suo sviluppo è una strategia perfettamente comprensibile.
La Siberia è grigia, il clima è pessimo, gli abitanti rudi e poco cordiali.
Il che non invita né investitori né lavoratori.
Ma quello che manca di più sono i servizi «umani»: eredità sovietica, mancano bar, shopping center, luoghi di divertimento, socializzazione e commercio, attività industriali «leggere».
L’unico servizio disponibile è la vodka, spesso fatta in casa, ciò che non migliora la situazione.
E’ questo il motivo profondo per cui, appena caduta l’URSS, chiuse le installazioni militari e le fabbriche sovietiche non competitive, la Siberia si è spopolata ancor più.
Ma proprio la decisione di investimento presa a Soci dovrebbe rappresentare un’opportunità per quella speciale vocazione italiana a rallegrare il tempo libero.
Nel 1935 una coppia di comunisti italiani che erano fuggiti dal fascismo verso il paradiso socialista, finirono - ovviamente - deportati in Siberia, confinati in un luogo della tundra chiamato Pinega.
Si chiamavano Emilio Guarnascelli e sua moglie Nella, di 16 anni.
Si guardarono attorno.
Aprirono una bettola con tavolacci fatti a mano che serviva, per lo più, acqua calda zuccherata, non essendoci altro: si riempì, gli altri deportati trovarono calore, conforto, amicizia.
L’NKVD lo fece chiudere e spedì lui nel gulag per attività antisovietiche; lei scampò e tornò nell’inferno fascista italiano, a Torino.
Lui fu fucilato nel 1938, lei è vissuta fino al 1995.
Su quella bettola avevano dipinto anche l’insegna: «Bar Italia» (2).
Sarebbe bello se a Putin qualcuno raccontasse del Bar Italia.
Spererei che non trascuri questo aspetto, se vuole la rinascita siberiana.
I duri lavoratori che andavano in Siberia erano ben pagati, e non avevano dove spendere.
Bar e ristoranti, supermercati e discoteche, vetrine e negozi, parrucchiere per signora e boutiques di pret-à-porter radicano la gente sul posto; si può vivere lì dove ci sono pizzerie e sushi bar, dove si può mangiare un panino e bere una birra seduti guardando il videoclip.
E perché no, un espresso o un cappuccino.
Altrimenti, i nuovi specialisti ultra-pagati che andranno a scavare miniere e pozzi, a rimodernare ferrovie e centrali atomiche, scapperanno a spendersi la paga oltre gli Urali, o forse in Europa, forse perfino in Cina (3).
E appena potranno, se ne andranno ricchi, lasciando la Siberia povera di uomini.
I russi stessi non sono più spartani capaci di sopportazione e insensibilità alle privazioni.
Oggi circolano in Russia (su quelle strade) 36 milioni di auto, ed erano 11 milioni nel 1995.
Quasi 8 milioni di russi hanno viaggiato all’estero l’anno scorso, per vacanze-shopping.
I prezzi immobiliari sono in crescita da cinque anni, accelerati grazie ad una attività finanziaria prima ignota - il mutuo - che è stata autorizzata dal 2002 e che ha già raggiunto il valore di 20 miliardi di dollari.
In Siberia le case costano meno che in Russia.
Stabilircisi potrà diventare attraente, se non mancheranno pizzerie, caffè espresso, supermercati, concessionarie di fuoristrada.
E’ una scommessa da non perdere per trascuratezza del buon vivere umano, che non è una cosa marginale, specie là dove il termometro arriva a -50.
E soprattutto, Mosca è più debole di quanto appaia nei reportages più ottimisti.
Sì, la crescita del PIL è stata del 6,7% per il 1999 e il 2006, ed arriverà nel 2007 a 7,7%.
Ma se si tiene conto dell’inflazione, che supera il 10%, questo risultato viene alquanto ridimensionato.
Sì, la Russia ha accumulato, grazie al gas e al greggio, grosse riserve: ma si tratta pur sempre di 130 miliardi di dollari, ben lontani dai mille miliardi che ora Mosca vuol investire nelle infrastrutture. Sì, la Russia conta 110 mila milionari in dollari e 66 miliardari, ma sono imprenditori o gangster?
O corrotti della burocrazia che resta soffocante, vero palla al piede dello sviluppo?
E troppa della ricchezza nuova russa viene dalla pura vendita di materie prime.
Sarebbe un peccato perdere un’occasione storica: per la Russia e per noi tutti in Occidente.
Il mondo devastato dalla finanza speculativa sta per entrare in una storica depressione: per Mosca è una ghiotta occasione per ingaggiare tecnologie occidentali a buon prezzo (anche la Asea Brown Boweri ha bisogno di lavorare di questi tempi, senza guardare troppo ai profitti); e si chiedono investimenti per l’economia reale, finalmente!
La Cina stessa può alleviare la sua dipendenza dal consumatore americano, e tutta l’Europa può fornire non solo infrastrutture moderne, ma anche quelle leggere, del piccolo capitalismo dal volto umano, che sono la specialità italiana.
Sarebbe un bene per tutti.
Note
1) Chris Mayer, «The Siberian century», Goldseek, 27 dicembre.
2) L'episodio è raccontato dall’ottimo Giancarlo Lehner in «La tragedia dei comunisti italiani - Le vittime del PCI in Unione Sovietica», Mondatori, 2000, pagina 39. Emilio Guarnaschelli era arrivato a Mosca nel 1933, per contribuire all’edificazione della società senza classi. Fu denunciato probabilmente da Mario Montagnana, il cognato di Togliatti. La moglie Nella Masutti era arrivata in URSS bambina, al seguito del padre Costante, coinvolto in un assassinio politico in Italia. Costante Masutti sarà segnalato come lavoratore-modello; il suo nome, insieme a quello di altri stakanovisti, fu affisso sulla Piazza Rossa.
3) Dmitry Shlapentokh, «Russia’s East warms to China», Asia Times, 15 dicembre 2007. Secondo il periodico conservatore russo Zavtra, migliaia di russi abitanti in Siberia stanno comprando case di vacanza in Cina e alcuni meditano di ritirarvici in pensione: ci sono più merci e c’è più vita normale. Si noti che i russi che vogliono fuggire dalla Siberia non hanno alcun desiderio di stabilirsi in regioni come il Daghestan e il Kazakhstan, o nemmeno più in Georgia e Ucraina (oggi anti-russe), ma non sono affatto contrari all’idea di diventare cinesi.
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