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Israele, la vergogna
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I giornali fanno quello che possono per mascherare la vergogna dIsraele, la sua insensibilità meschina.

«Forze di Hamas hanno segretamente lavorato per mesi al muro di metallo con lance termiche», ha accusato il Times di Londra.

Le evasioni dai lager tedeschi di eroici soldati inglesi sono state glorificate in infiniti film.

Di colpo, i prigionieri non hanno più il diritto di fuggire dal lager.

Se sono palestinesi, il loro è un complotto deplorevole.

Eh sì, hanno commesso il delitto di segretamente forare il muro di acciaio massiccio, perchè gli esseri umani vogliono essere liberi.

Poi, un bulldozer ha aperto il varco perché potessero passarci le auto.

E 350 mila palestinesi sono usciti in Egitto, hanno svuotato le botteghe di Rafah, alcuni hanno raggiunto in auto El Arish, 45 chilometri più addentro.

«Siamo caduti nella trappola di Hamas», ha dichiarato rabbioso Danny Ayalon, già ambasciatore israeliano a Washington, «e abbiamo perso di nuovo la nostra deterrenza. E stato un disastro di pubbliche relazioni» (1).

Gente abituata al male finisce per rivelarsi, nonostante ogni ipocrisia, nelle sue parole.

Ecco come pensano gli israeliani: «deterrenza», «disastro di relazioni pubbliche».

No, mister Ayalon: quello di Israele è un disastro morale.

Persino il mondo complice, che fingeva di non vedere quello che fate ai palestinesi, ha dovuto prenderne atto.

E protestare un po’.

Il «danno dimmagine» se lo sono voluto.

Hanno cominciato nel 2006 ad affamare un milione e mezzo di persone a Gaza, chiudendo tutti i valichi, e l’hanno chiamata ridacchiando «cura dimagrante».

Lo scopo dichiarato era alienare da Hamas la popolazione che l’aveva votato.

Non ci sono riusciti, e giorno dopo giorno hanno indurito la «cura».

Sempre meno cibo, sempre meno merci necessarie.

Incursioni, hanno ammazzato in quest’anno mille «terroristi», di cui 157 bambini.

Hanno ridacchiato anche davanti agli avvertimenti di John Dugard, il responsabile ONU per i diritti umani nei territori palestinesi, che avvertiva del disastro umanitario imminente e condannava Israele per «la violazione dello stretto divieto di punizione collettiva contenuto nella quarta Convenzione di Ginevra».

Risate.

 

I media mondiali non hanno riportato una parola di Dugard.

Nemmeno la settimana scorsa, quando l’inviato dell’ONU ha detto: «Luccisione di quaranta palestinesi a Gaza la settimana scorsa, con lattacco a un edificio governativo vicino a cui si svolgeva una festa di nozze che rendeva prevedibile la perdita di vite umane di tanti civili, insieme alla chiusura di tutti i valichi, pone seri dubbi sul rispetto di Israele per il diritto internazionale».

Le leggi internazionali vietano la punizione collettiva di un popolo per le azioni dei suoi partigiani? Sai le risate.

Celebrate Marzabotto, quella sì è una punizione collettiva!

Chinate la testa il giorno della Memoria, goym!
Noi, delle punizioni collettive che infliggiamo, ci vantiamo apertamente.


La rappresaglia per i lanci di razzi Kassam avverrà
«senza tener conto del costo per i palestinesi», annunciava il 20 gennaio Avi Ditcher, ministro della Sicurezza Interna, la Gestapo israeliana.

Ehud Olmert, a giustificazione del taglio dei rifornimenti del carburante: «Vogliamo segnalare alla popolazione di Gaza che non si deve ritenere esente da responsabilità per la situazione», ossia per il tiro dei razzi.

Il successo della punizione collettiva li ha riempiti di euforia.

«Le riserve alimentari a Gaza finiranno a metà settimana», annunciava trionfante un anonimo ufficiale di Tsahal al Jerusalem Post il 20 gennaio.

«Stiamo incidendo sulla qualità della vita generale a Gaza e distruggendo le infrastrutture terroriste», si vantava Ehud Barak, il ministro della Difesa.

Sono tutte spontanee dichiarazioni di colpa, a valere per una futura Norimberga giudaica: questi si vantano di punire 1,5 milioni di persone per le colpe di qualche lanciatore di Kassam (chi sono? Perché non si trovano mai i colpevoli?), e si congratulano a vicenda dei loro sinistri successi.

Entro la settimana, quelli sono alla fame.

Chutzpah, chutzpah.

O Schadenfreude, fate voi.

Negli ultimi giorni hanno bloccato - risate, chutzpah - anche il petrolio per l’ultima centrale funzionante, petrolio fornito dall’Europa (mai che Israele paghi le spese per i suoi internati, ci pensino i goym), insieme ai pochi generi di estrema necessità (europei) lasciati passare col contagocce.

Nemmeno più quelli.

Di fronte alle (deboli) proteste europee, la ministra degli Esteri Tzpi Livni ritorceva esasperata: «Israele è il solo Stato al mondo che fornisce elettricità a terroristi che in cambio gli lanciano contro dei razzi».

Altra ammissione di colpa, spontanea e involontaria: per la Livni, il milione e mezzo di palestinesi che ha gettato nella fame e nel buio sono collettivamente responsabili; nessuna distinzione tra civili e guerriglieri.

Tutti terroristi, nessuno escluso.

«Achtung Partisanen».

Così finisce per pensare gente incancrenita nella pratica del male, e così finisce per rivelare involontariamente la sua stortura morale.


Si sente fin troppo generosa, la Livni: potremmo sterminarli tutti, anzi dovremmo, e invece «forniamo elettricità», lasciamo passare il carburante europeo…

Decisamente troppo generosi.

Insensibili alla sofferenza che infliggono, hanno finito per essere ciechi di fronte al fatto che il mondo ha aperto un occhio.

Insensibili ai dispacci della AP, che già diramava le frasi del ministro della Sanità di Hamas, il dottor Moaiya Hassanain: «Togliamo prima la corrente al reparto maternità oppure a quello di chirurgia cardiaca? Dobbiamo scegliere».

Insensibili all’allarme lanciato da Michael Bailey, della organizzazione non governativa Oxfam: «Qui ci sono 35 pompe per le fognature in funzione. Se una si rompe, non possiamo ripararla perché mancano i ricambi, e ciò significa che i liquami si spargeranno nelle case e per le strade, con i problemi sanitari conseguenti».

Era già avvenuto a marzo, quando l’argine di terra di un bacino di fogna s’era spaccato, e il fiume di liquami e fango aveva affogato cinque palestinesi.

E pensare che Gaza avrebbe l’autosufficienza energetica.


Nel 2000, la British Gas Group ha scoperto, sotto lo specchio di mare antistante Gaza, riserve di gas naturale per almeno 1,3 milioni di metri cubi, valore stimato 3 miliardi di euro.

Era stato anche fatto un accordo fra la British e una ditta palestinese per lo sfruttamento: ma dopo la vittoria elettorale di Hamas, l’embargo decretato dall’Occidente (servo di Sion) ha bloccato tutto. Non a caso Israele presidia anche quel tratto di mare, sparando persino sui pescherecci che s’avventurano a pescare per sfamare la gente: quel gas è di Eretz Israel, lo vogliono gli eletti, la razza superiore.

Negli ultimi due giorni, l’embargo era perfetto.

Non un camion, nulla.

Niente luce, le notti al buio.

Tutto sigillato.

Si congratulava Olmert: ai palestinesi non sarà concesso di «vivere una vita normale», finchè sparano Kassam.

Poi, Hamas ha aperto la breccia nel muro.

Senza spargere sangue, ha creato il momento della liberazione: centinaia di migliaia sono sciamati gioiosi in Egitto - meglio, nel deserto del Sinai, dopo Rafah non ci sono che centinaia di chilometri di sabbia - per comprare tutto il comprabile, e per poi tornare nel lager - il lager che è la loro terra, la loro nazione.

L’egiziano Mubarak, che aveva collaborato a fare di Gaza un lager (con l’Unione Europea: quando Sharon aveva «ritirato i coloni» illegali da Gaza, l’Europa garantì al macellaio che la frontiera egiziana di Gaza sarebbe rimasta sigillata, e che Israele avrebbe avuto l’ultima parola su ogni passaggio), non ha avuto il coraggio di far sparare su quella folla.

«Ho detto loro: venite, mangiate, comprate il cibo e poi tornate».

Ora i ministri israeliani minacciano Mubarak, gli dicono «ora sei tu il responsabile» dell’ordine, noi ce ne laviamo le mani, tagliamo con Gaza.

L’ha detto il viceministro della Difesa giudaica, Matan Vilnai.

«Bisogna capire che siccome Gaza è aperta dallaltra parte, noi non siamo più responsabili» della vita nella zona.

«Tagliamo i collegamenti».

Il che significa: ci pensi l’Egitto a fornire acqua, cibo, elettricità.


Altra violazione della convenzione di Ginevra: Gaza è ancora territorio occupato, e nel diritto internazionale l’occupante ha il carico della vita dei civili.

Ma quando si è educati alla meschinità e alla avarizia insensibile fin da piccoli, si pensa in questo modo, e lo si dice: non paghiamo, noi non paghiamo.

Ma intanto, la gente continua ad andare e venire dalla breccia, con la roba comprata, allegra finalmente.

La sensazione - non si sa quanto falsa - è che l’assedio è spezzato, che il Muro d’acciaio resterà spaccato.


Intanto, vari gruppi nel mondo hanno indetto una Giornata di Azione contro l’Assedio per il 26 gennaio: sono previste manifestazioni a New York, Cleveland, Boston e Filadelfia.

Anche in Israele: i gruppi umanitari ebraici organizzeranno un convoglio di aiuti e di protesta che da Gaza, Haifa, Tel Aviv e Beer Sheva confluirà al confine di Gaza, allo slogan di «Lift the blockade!».

Parleranno Uri Avneri, Shulamit Aloni, Jeff Halper, insieme a molti altri che non vogliono essere volonterosi carnefici del Reich.

Un disastro di pubbliche relazioni.

Una esposizione della vergogna di Israele alla luce del sole, finalmente.

E l’Europa?


Il Parlamento europeo ha celebrato il giorno della Memoria.

E messo in guardia contro l’antisemitismo.

Il vicepresidente della Commissione, il noto Franco Frattini, ha immediatamente dichiarato: le rappresaglie di Israele a Gaza «non costituiscono crimine di guerra» (2).

Anzi Frattini è corso nella sua Israele, sangue del suo sangue, a proclamare che la colpa è degli europei: «Avrebbero dovuto capire prima la preoccupazione di Israele. Troppo a lungo abbiamo (noi europei, a nostro nome parla Frattini) ignorato i legittimi timori di Israele riguardo al terrorismo, al fanatismo e al rifiuto del campo arabo di accettare lesistenza di Israele, per non dire la sua legittimità. … In ultima analisi, la responsabile delle condizioni in cui vivono quelli di Gaza è Hamas».

Frattini ha visitato il Yad Vashem.

E lì ha annunciato un programma che condurrà tutti gli scolari europei a visitare «i luoghi simbolici della memoria in Europa, come il memoriale dellolocausto a Berlino e i campi di concentramento come Auschwitz e Dachau. Ciò sarà facilitato da finanziamenti europei».

E’ il suo modo di rammendare il danno d’immagine, il disastro di pubbliche relazioni subito da Israele.


Il loro modo: non guardate quelli nel lager di oggi, guardate a noi!

Guardate come soffriamo noi, non loro!

Siamo noi che soffriamo di più! (E cacciate i soldi, la Memoria è a spese vostre beninteso) (3).

Così pensano.

Basta che aprano bocca, e si rivelano.

 Note
1) Adam Entous, «Hamas exposes Israeli weakness in Gaza»,  Reuters, 23 gennaio 2008.2) «Israeli actions in Gazanot war crimes’, says EU official», European Jewish Press, 23 gennaio 2008. Frattini ha parlato all’Interdisciplinari Center di Herziya, una entità di propaganda del Mossad. Ha detto: «Hamas cannot be a viable interlocutor, neither for the international community, nor for the poor Palestinian people who should sooner rather than later realize that Hamas has brought them only disaster».

3) Nel giorno della Memoria, l’associazione «Figli ed orfani dei sopravvissuti allolocausto in Israele» (YESH) ha annunciato che intraprenderà un’azione legale contro la Germania perché «riconosca le nostre sofferenze». Questi bambini ed orfani, almeno sessantenni, vogliono la pensione di orfani «pari a quella dei figli dei caduti della Wehrmacht». La loro organizzazione esige dalla Germania 7.200 euro per ogni anno passato da orfano. Sono o dicono di essere 250 mila: dunque la Germania dovrebbe pagare 1,8 miliardi di euro per ogni anno in cui questi sono stati orfanelli. Ossia 60 anni di orfanellismo. Il gruppo pretende che lo Stato tedesco paghi loro anche per i danni di salute e le «opportunità di carriere perdute» a causa dello stress di essere orfani di sopravvissuti dell’olocausto.


 
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