Israele «tutela» il Pakistan
31 Gennaio 2008
Il 27 gennaio scorso, al lussuoso Hotel Raphel di Parigi, è avvenuto un incontro che è stato definito del tutto casuale: Pervez Musharraf, l’uomo forte pakistano, «s’è imbattuto per caso» in Ehud Barak, il ministro della Difesa israeliano.
Per combinazione, stavano nello stesso albergo.
«Barak ha colto la palla al balzo», riporta l’agenzia ebraica Ynet.News, «e si è presentato. Il pakistano ha annuito» (1).
«Noi sosteniamo il vostro popolo e vi spalleggiamo, dato che siete così importanti nell’assicurare la pace mondiale», ha aggiunto Barak.
Musharraf ha battuto sulla spalla del suo interlocutore: «Grazie molte. Spero, se Dio vuole, che facciate progressi nel processo di pace».
Era nata un’amicizia.
I due si sono poi incontrati anche al Forum di Davos (la kermesse finanziaria del Bilderberg), perché casualmente tutt’e due erano invitati.
Ma per caso, Barak era accompagnato - come si suol fare quando si va a Davos - da Tzipi Livni (ministressa degli Esteri e dell’Industria), dal ministro del Lavoro Eliyahu Yishai, e nientemeno che dal presidente di Israele, Shimon Peres: una task force diplomatica al più alto livello.
Naturalmente, in India (nemico storico del Pakistan) nessuno ha creduto alla casualità dell’incontro, e l’intelligence di Delhi ha rizzato le orecchie.
I servizi segreti hanno una deplorevole tendenza al complottismo e all’incredulità verso le versioni ufficiali.
Delhi ha scoperto rapidamente che a rendere possibile il casuale incontro era stato l’intraprendente senatore americano (e israeliano) Joseph Lieberman, che aveva fatto un viaggetto ad Islamabad il 9 gennaio (2).
Lieberman è il senatore democratico che gli elettori democratici del Connecticut non hanno più votato, per le sue posizioni fanaticamente pro-Likud e il suo appoggio alle guerre di Bush.
Ma poiché Lieberman ha molti amici danarosi, si è fatto eleggere lo stesso, come indipendente. Tanto che nella campagna presidenziale in corso sostiene pubblicamente il candidato repubblicano John McCain, il più filo-israeliano, quello che ha promesso che «bombarderà l’Iran».
Per spiegare come un democratico sostenga un repubblicano, Lieberman - ad un giornale ebraico - ha dato una spiegazione che suona letteralmente così: «I rabbi dicono nel Talmud che una quantità di leggi talmudiche sono state emanate allo scopo di elevare una barriera attorno alla Torah, così che non si possa avvicinarsi ad essa per violarla».
E chi vuol intendere intenda.
Nella sua visitina in Pakistan, è significativo apprendere (dai servizi indiani) le persone che Lieberman ha incontrato: il generale Parvez Kiani, capo delle forze armate, e in un separato incontro il generale Khalid Ahmad Kidwai; generale a riposo, ma direttore del SPD (Strategic Planning Division), ente militare cruciale.
Che ha fornito a Lieberman una approfondita relazione su un certo argomento.
Quale?
L’ha detto lo stesso Lieberman ai giornali isrealiani, dicendosi «molto ben impressionato dalla professionalità del gruppo (pakistano) di garantire la sicurezza delle testate nucleari del Pakistan».
Come si ricorderà, per qualche tempo una campagna di stampa ha agitato lo spettro delle armi atomiche pakistane che, in un Paese in preda alla instabilità, rischierebbero di «cadere nelle mani dei jihadisti», sicchè i media USA e israeliani già parlavano di un piano d’emergenza del Pentagono per mettere le mani sulle testate, con un colpo di commandos.
Evidentemente, i generali pakistani hanno capito da quale fonte venissero questi allarmi e voci
(o ricatti), ed hanno invitato l’uomo che poteva tranquillizzare direttamente Israele, per fargli vedere che le testate sono perfettamente al sicuro.
Per i generali di Islamabad, si tratta anche di scongiurare una «Osirak surprise», come l’attacco israeliano alla centrale atomica di Osirak del Saddam iracheno.
Anch’essi hanno buoni servizi.
Che sanno di sicuro come Israele abbia intensamente collaborato con Delhi a preparare piani per distruggere, nel caso si presentasse l’occasione o la necessità, le centrali nucleari pakistane.
Questa collaborazione non è più nemmeno occulta: l’ha rivelata un esperto israelo-americano del campo, Adrian Levy, nel documentatissimo suo libro «Deception» (Inganno) che ha come sottotitolo «Pakistan, the United States and the Global Nuclear Weapons Conspiracy», pubblicato da Atlantic Books nel 2007.
Per decenni il regime del Pakistan si è considerato abbastanza al sicuro da una Osirak Surprise, dato che le sue testate atomiche sono state costruite con l’aiuto tecnologico e la benedizione degli USA.
Ma oggi valutano che l’ansia (paranoide) israeliana verso il «terrorismo islamico» abbia indebolito questa sicurezza, e hanno fatto i necessari passi per acquietarla.
Chè non succedano dei malintesi e partano gli F-16 della Vittima Eterna.
Perché specie dopo l’assassinio della Bhutto, il mondo libero neocon s’è di colpo accorto che in Pakistan non c’è «democrazia», che la povertà e iniquità e corruzione galoppano, che la popolazione è alienata dal potere e si butta nelle braccia del cosiddetto fondamentalismo: condizioni identiche a diversi Paesi dell’area, ma questa grancassa ha fatto capire ad Islamabad che stava per essere trasformato in «rogue state», uno Stato canaglia: come l’Iran, e come l’Iran bombardabile.
L’ISI pakistano sa benissimo che l’instabilità del Paese e dell’area è dovuta meno al pericolo islamista (che ha manovrato da sempre), che alla decisione americana di intromettersi nella zona, e all’alleanza strategica tra USA ed India.
Questa alleanza sta provocando un riallineamento di vaste proporzioni tra le potenze regionali in funzione pro-americana.
«Islamabad ha ragione di credere che gli USA sono disposti a sostenere l’ambizione dell’India allo status di potenza mondiale, in cambio dei suoi sforzi per dissuadere Cina ed Iran», ha scritto la Novosti.
Dunque non è più all’ordine del giorno la «guerra al terrorismo globale» - strategia in cui il Pakistan godeva il comodo stato di «partner dell’Occidente nella coalizione anti-terrorista».
Nella fase ulteriore, Islamabad rischia di essere emarginata.
E spendibile come una vecchia pedina.
Ha accresciuto l’allarme l’ostentata collaborazione nucleare che Bush ha fornito all’India, sintomo del rovesciamento di alleanze in corso.
Non a caso, il Pakistan ha provato, con un lancio sperimentale su rotaia pochi giorni fa, un suo nuovo missile a medio raggio (700 chilometri) e capace di portare testate nucleari, lo Shaheen-1, che (guarda la coincidenza) è il missile M-9, cinese, a combustibile solido, appena modificato. L’India sostiene che la Cina stia aiutando il Pakistan a rinnovare il suo parco di armi di deterrenza.
Nel dicembre scorso il Pakistan ha testato un altro missile, Babur (da crociera), oltre 700 chilometri di gittata.
E’ interessante notare che questi test sono avvenuti nello stretto quadro di un accordo bilaterale con l’India, sia per le gittate sia per il tipo di missili, inteso ad evitare accidenti con le armi nucleari:
le teste fredde di Islamabad non hanno lanciato una sfida al vecchio nemico.
L’India non ha fatto una piega, ritenendo (secondo il diplomatico Bhadrakumar) che non convenga richiamare l’attenzione dell’area come di un punto caldo atomico.
Perché anche Delhi è impegnata in una silenziosa corsa al riarmo, sostenuto dai nuovi amici di Washington.
A parte le esercitazioni congiunte per testare l’inter-operatività delle due forze armate, l’India ha firmato un contratto da un miliardo di dollari per la fornitura di sei Super-Hercules (C-130 J), e sta per acquistare da Boeing otto aerei da ricognizione marittima a lungo raggio, con armamento anti-sommergibile P-81.
Altri due miliardi, presi dalla stanziamento complessivo di 30 che l’India conta di spendere in armamenti da qui al 2012.
E altre cinque manovre congiunte USA-India sono previste per il 2008, mentre Delhi ha cominciato a prendere contatti con la NATO.
Il Pakistan ha dunque motivi per guardarsi attorno, onde non restare emarginato dagli sviluppi geostrategici dell’area.
Oltre che alla Cina, l’avvicinamento alla Russia - almeno come fornitore alternativo di armamenti avanzati - è nelle cose.
Ma per ulteriore sicurezza, ha evidentemente deciso di rivolgersi non al burattino di Washington, ma direttamente al burattinaio.
All’israeliano Barak il generale Musharraf deve aver assicurato che il Pakistan non sarà mai una minaccia per Israele, e che si aspetta un contraccambio cortese.
Logico.
Ma Israele - vista la forza della delegazione che ha mandato all’incontro a Davos - deve aver colto l’occasione per fare qualche proposta di maggiore importanza.
Quale?
Si sa che gli israeliani hanno parlato della loro ossessione, il «pericolo Iran», e sicuramente avrà proposto buoni affari e ottimi gadget per la sicurezza, settore in cui Sion ha una superiorità ben nota.
Il futuro ci dirà quale risposta Musharraf ha dato, o è stato indotto a dare.
Note
1) Itamar Eichner, «When Barak met Musharraf», Ynet.News, 23 gennaio 2008.
2) M.K. Bhadrakumar, «US plays matchmaker to Pakistan, Israel», Asia Times, 31 gennaio 2008.
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