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USA: nascono evangelici dal volto umano
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carter-clinton.jpgSTATI UNITI - La Southern Baptist Convention è il più grosso raggruppamento protestante degli Stati Uniti: seguaci di telepredicatori famosi, estranei alle denominazioni luterane tradizionali (vengono detti «non denominazionalisti»), sono apocalittici, carismatici, fanatici fondamentalisti d’Occidente: e sono decine di milioni di elettori, la forza che ha portato Bush al potere.

Sono infatti per la guerra a fianco di Israele, convinti che il ritorno dei giudei nella terra santa segnali i tempi ultimi e acceleri il Secondo Avvento di Cristo; hanno fanaticamente appoggiato le guerre di Bush contro l’Islam, il nuovo Impero del Male anti-cristiano, che l’Impero del Bene (l’America) è votato a debellare nell’ultima battaglia di Armageddon; stermini e massacri, ed anche l’uso delle atomiche contro gli infedeli, sono visti in quegli ambienti come i necessari mezzi per affermare la volontà divina, nell’ultima crociata.

Dopodichè costoro (così credono) avendo combattuto la buona battaglia finale, saranno «rapiti in cielo», lasciando quaggiù a sorbirsi la «Grande Tribolazione» tutti i cattivi: ossia europei molli e pacifisti, Vaticano, russi, cinesi e musulmani (gli ebrei, i pochi sopravvissuti all'Apocalisse, si convertiranno in massa al cristianesimo dei telepredicatori. Happy End).

In breve, sono gli strumenti stupidi, la riserva di irrazionalismo che la nota lobby ha manipolato per decenni onde distorcere la politica estera USA nell’interesse di Israele.

Ora però in questo granitico «blocco dei fedeli» impegnati all’estrema destra messianica si apre una promettente frattura.

Sarà per i rovesci disastrosi della guerra in Iraq e in Afghanistan, sarà per la crisi economica che sparge miseria sugli eletti, ma la fede nel trionfo della grande «Crociata» finale sta venendo meno. Nascono dei dubbi sulla dose di cristianesimo insita nei missili da crociera e negli F-16 del Signore.

E’ nata, e convoca il suo primo congresso ad Atlanta (Georgia), la New Baptis Covenant, che proclama il suo distacco dai «pastori di estrema destra» (1).

Questo nuovo gruppo non proclama più la guerra come sola igiene divina del mondo, ma si propone di «promuovere la pace nella giustizia, nutrire gli affamati, vestire gli ignudi, dare alloggio ai senza-tetto, curare i malati e i marginali, accogliere gli stranieri, promuovere la libertà religiosa».

Non sono pochi.

Il movimento è nato solo nel 2006, ma ad Atlanta sono arrivati 20 mila delegati da 50 Stati. L’allocuzione di apertura è stata tenuta dall’ex-presidente Jimmy Carter, Nobel per la pace, che ha certo avuto una parte nello sviluppo del movimento: lui stesso devoto battista con largo seguito nelle congregazioni, Carter ha preso una posizione coraggiosa per i palestinesi nel suo saggio «Peace not Apartheid», che critica fieramente Israele come stato razziale ed oppressore.

Non a caso, è stato invitato anche il solo pastore battista di Gaza, arabo, Hanna Massad: invito inimmaginabile prima in una adunata battista.

 

Cerano anche Bill Clinton ed Al Gore, apparentemente battisti anche loro (o convertiti per ragioni elettorali).

C’era lo scrittore John Grisham.

C’erano due senatori repubblicani, tornati agnelli dopo aver abbandonato la pelle di lupo di Bush, Lindsey Graham (South-Carolina) e Charles Grassley (Iowa).

Soprattutto, c’erano i presidenti delle due grandi associazioni dei battisti negri, i «Nazionali» e i «Progressisti», perché uno degli scopi della riunione è di sanare la frattura razziale (i battisti del sud, quelli filo-Israeliani, sono anche razzisti bianchi e deplorano la fine della schiavitù).

Il Covenant è stato promosso per iniziativa dei battisti neri, che sono soprattutto al nord: una commovente iniziativa di riconciliazione, e un ritorno alle fonti.


Il programma del New Baptist Covenant è infatti: «Tornare allinsegnamento di Cristo», ossia «rifiutare lordine delle cose quando fa torto allumanità».

Jo Haag, uno degli organizzatori, dice che il movimento intende «rompere con quei predicatori che hanno unagenda politica».

Questi, aggiunge, «hanno legato la loro sorte alla frangia più conservatrice del Paese. La guerra in Iraq, la recessione, la crisi sociale e il declino della presidenza Bush li condannano al loro stesso declino».

E ancora: «L11 settembre ci aveva paralizzato, e ciò ha servito gli interessi dei millenaristi apocalittici».

Ora, si torna (relativamente) alla ragione.

E’ interessante notare che nello stesso tempo un gruppo di leader religiosi delle denominazioni evangeliche più tradizionali, ed anche cattolici (Faith on Public Life), ha invitato pubblicamente Bush (da loro definito «un presidente esplicitamente evangelico» ma con «una visione morale monca») ad annunciare, nel suo discorso sullo «Stato dellUnione», una nuova posizione sui «problemi morali più urgenti del nostro tempo".

Le guerre, la tortura, la povertà in USA non sono azioni buone per un presidente cristiano, hanno detto (2).

Bravo Bush ad opporsi allaborto; ma il mancato soccorso ai milioni di profughi iracheni, l’indifferenza per la povertà che cresce nel Paese, e l’inazione davanti al cambiamento climatico (sic) non sono cose da buon credente in Gesù.


Il reverendo David Gushee, presidente del gruppo Evangelicals for Human Rights, ha detto:

«Nel ben intenzionato sforzo di proteggere la sicurezza nazionale, il presidente Bush ha ecceduto, autorizzando la tortura e interrogatori che certamente si qualificano come trattamento inumano, crudele e degradante» (Eh sì).

Per di più, «queste decisioni sono state prese in segreto», e ciò «ha prodotto un effetto devastante alla posizione morale degli Stati Uniti».

Una suora cattolica, sister Anne delle Sorelle della Misericordia, di ritorno dall’Iraq, ha riferito dei quattro milioni di iracheni che si sono rifugiati nei Paesi vicini o sono profughi interni: gente lasciata senza soccorso dagli Stati Uniti.

«Parlando con queste famiglie», ha detto Sister Anne, «ho provato un senso di vergogna come cittadina americana. Il presidente Bush ha la responsabilità, e lobbligo morale, di cessare la guerra in Iraq,  di aiutare i rifugiati, e dare i necessari fondi per la loro assistenza».

Padre Larry Snyder, presidente delle Catholic Charities USA, ha parlato della crescente povertà in America, specie fra i «working poor», quelli che pur avendo lavoro sono miserabili, spesso senza casa e bisognosi di ricorrere alle mense per barboni.

«Più di 36 milioni di americani vivono in povertà, e questo è inaccettabile: questo Paese ha le conoscenze e le risorse per ridurre il numero dei miseri, perciò questa è una crisi non solo sociale, ma anche morale».

Il rigetto di Bush della legge che doveva dare l’assistenza sanitaria ai bambini delle famiglie a basso reddito, ha aggiunto, non è stata un’azione da vero cristiano.

Molte critiche sono state levate sulla faccenda dei mutui sub-prime, che sta rovinando milioni di

famiglie.
Un reverendo De Vries ha rivelato quanto poco cristiano sia «lo straordinario livello di malversazione» usato dalle banche per ingannare i poveri, e deplorato il fatto che «nessuno ha lo stomaco per mettere sotto inchiesta» quei «rapinatori che hanno preso possesso delle banche».

 

Hanno aggiunto che Bush potrebbe fare di più per favorire la pace tra Israele e i palestinesi.

Richiesti dai giornalisti di dire se fra i candidati presidenziali ce n’è qualcuno che sembri loro più cristiano di Bush, essi si sono rifiutati di fare un nome.

Il perché lo ha spiegato Ron Snider, il presidente degli Evangelicals for Social Action: «Il mondo evangelico è stato danneggiato dalla sua identificazione con le scelte immorali del presidente Bush». Eh sì.

E forse questo è il motivo di questo ritorno alla ragione: la bottega evangelica, trascinata nel discredito per la sua «identificazione col presidente Bush», sta perdendo clienti, e dunque fondi e contributi.

Avessero detto queste cose sei anni fa, la storia avrebbe avuto un altro corso.

Meglio tardi che mai, in ogni caso.



Note
1) Sylvain Cypel, «Les baptistes du Sud conservateur menacés par une scission libérale», Le Monde, 31 gennaio 2008.
2) William Fisher, «Religious Leaders Assail Bush Agenda», InterPres Service, 26 gennaio 2008.


 
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