Maastricht ci strangola
24 Dicembre 2007
Per Goldman Sachs, le perdite delle banche anglo-americane (prezzo delle loro follie) rischia di toccare i 500 miliardi di dollari.
Il che - aggiunge - significa che esse dovranno togliere dall’offerta di prestiti, mutui e fidi qualcosa come 2 mila miliardi di dollari (2 trilioni), essendo il credito un multiplo del capitale delle banche.
Qui è il problema: una restrizione mai vista del credito all’economia reale.
Ecco il motivo vero per cui le immense iniezioni di liquidità operate dalle Banche Centrali non hanno alcun effetto risanatore: le banche arraffano quei miliardi di euro e dollari ma, invece di prestarseli l’un l’altra nella consueta attività interbancaria a breve, se li tengono in cassa.
Per costituirsi riserve di fronte alle perdite che stanno imbarcando da più fronti: derivati e strutturati sub-prime, fallimenti probabili di imprese debitrici, crollo del mercato immobiliare gravato da mutui.
Solo le «commercial paper», gli strumenti con cui molte banche europee e privati (i dentisti tedeschi, come si dice) hanno partecipato alla roulette dei subprime americani, hanno perso il 36% del loro valore da agosto, perché nessuno le compra.
In pratica, gli investitori rifiutano di prolungare quei crediti, e quindi le banche se li devono riprendere nei loro libri contabili.
E non parliamo delle case valutate 100 e gravate da mutuo relativo, e che oggi valgono 80 o 70: d’accordo, esse vengono sequestrate dalle banche come collaterale, ma è un bene reale che nessuno compra, per paura e per mancanza di credito.
E’ già una prospettiva da incubo.
Si poteva peggiorarla?
Sì, si poteva.
E poteva farlo solo l’eurocrazia.
Come?
Con le ferree regole di Masstricht.
Esse obbligano gli Stati europei, in piena recessione, ad aumentare le tasse e ridurre la spesa pubblica per pareggiare i bilanci.
Prendiamo il caso della Gran Bretagna, che soffrirà tantissimo perché tantissimo è esposta nelle follie finanziarie globali.
Il suo deficit di bilancio superava, al massimo del ciclo economico, il famigerato 3% del PIL. Maastrich la obbliga a rientrare, magari aumentando la pressione tributaria, proprio mentre la capacità tributaria dei cittadini [le cui case stanno perdendo valore ogni giorno, la city non funziona più, e sono in vista licenziamenti in massa] si riduce in modo imponente.
L’alternativa è: tagliare la spesa pubblica, ma nella Gran Bretagna relativamente ben governata da «civil servants» onesti, c’è poco grasso da tagliare.
E soprattutto non in vista di una depressione, che imporrebbe di aumentare la spesa pubblica in deficit, non di stringerla.
Maastricht vieta agli europei politiche keynesiane.
Così ci strangola con i suoi riflessi automatici, che nessuno pensa di abolire in questi momenti precedenti alla tragedia.
Siamo strangolati dal cieco robot a cui abbiamo affidato i destini delle nazioni.
Londra si troverà entro poche settimana in una doppia stretta convergente, il crollo del credito bancario e la stretta fiscale.
Ma si poteva fare ancora peggio.
E chi poteva far peggio, se non le anonime entità globaliste e sovrannazionali, da nessuno elette, che ci guidano da anni?
Da gennaio, fra pochi giorni, entra in vigore il «Basilea 2».
Questa norma ferrea obbliga le banche ad aumentare le loro riserve fino all’8%.
Ciò che provoca di per sé una restrizione del credito.
Una misura che sarebbe stata utile un decennio fa, e forse avrebbe attenuato le follie finanziarie da credito facile, oggi è assolutamente controproducente.
Nessuna banca inglese ha riserve superiori al 3%, e non ha i mezzi per aumentare le riserve proprio adesso (1).
«Se non riescono a raccogliere capitali freschi, le banche dovranno restringere drasticamente
i loro bilanci», facendo meno prestiti, dice il professore Peter Spencer, dell’ITEM Club di New York.
Ancor meno di quelli che già «non» fanno.
Ed appunto, oggi le banche non riescono a radunare capitali freschi se non a prezzi esorbitanti,
o chiedendo soccorso ai fondi sovrani dei paesi petroliferi o della Cina.
«Dobbiamo tentare di evitare il circolo vizioso in cui convergono e si rafforzano a vicenda
la liquidità meno abbondante, i valori degli attivi (immobili) in calo, le risorse di capitale mutilate, l’offerta di credito ridotta, e la domanda aggregata di consumatori ed imprese», dice Paul Tucker, direttore dei mercato della Bank of England.
E’ proprio ciò che sta avvenendo.
La risposta pronta dei monetaristi britannici è: le Banche Centrali abbassino immediatamente i tassi primari, creino più denaro dal nulla e inondino la realtà con la carta.
E’ probabilmente la sola cosa da fare a breve, in attesa che sorga un nuovo Keynes o un nuovo Roosevelt, e che vengano ascoltati: passeranno anni comunque.
Ma naturalmente questo significa sciogliere il laccio all’inflazione più feroce.
Le banche devono scegliere e presto fra lo Scilla della insolvenza totale, e il Cariddi dell’inflazione galoppante.
La Federal Reserve lo sta già facendo: l’indice dei prezzi segna già 4,3 %.
E si appresta a fare anche di più.
Nel suo regolamento, esiste una sezione 13 che consente alla FED di agire in emergenza quando le banche duventano «molto riluttanti a fornire credito o ne perdono la volontà».
In quel caso, stanti le «circostanze che lo esigano», il voto di cinque governatori (su 12) basta ad autorizzare la FED a prestare denaro a chiunque, accollandosi (accollando al contribuente) il rischio di credito.
E’ una manovra demente, ma che sicuramente tenta ideologi del liberismo monetarista quali sono Bernanke e Paulson, il ministro del Tesoro: dal loro punto di vista, occorre «salvare il sistema finanziario globale» anche se è già morto e in putrefazione.
Ci vorranno anni prima che un qualche loro successore riprenda in mano Keynes o Schacht, autore del miracolo economico hitleriano, nel senso del più puro dirigismo.
Del resto, in USA già sorgono tendopoli di senzatetto, ex-piccolo borghesi rovinati dal mutuo variabile.
Ne è sorta una da 200 tende ai margini orientali di Los Angeles, un’altra a Cleveland, ed altre ancora non censite un po’ dappertutto (2).
Presto l’angoscia popolare imporrà ai dirigenti di «fare qualcosa», o di dare l’impressione di fare qualcosa.
Anche se i banchieri centrali non sanno cosa fare.
Bernanke ha in mente la crisi del ‘29 e le soluzioni che allora non furono decise, e che oggi forse non funzionano in questa nuova situazione.
Almeno la FED potrà far finta, perché è ancora sovrana sulla moneta nazionale.
Noi europei abbiamo ceduto la sovranità alla Banca Centrale.
E quella è governata da robot.
Mantiene ferme le regole di Maastricht, mantiene dura «Basilea 2».
Non c’è nessuno in grado di allentare questi automatismi-scorsoio, o che abbia l’autorità politica per farlo.
E dunque, lorsignori ci lasciano stringere il cappio che ci siamo messi al collo da soli.
Per questo la BCE ha inondato il sistema di mezzo miliardo di dollari, molto più che la FED.
Perché non può permettere un fallimento come quello della inglese Northern Rock nella zona euro: altrimenti si vedrebbe che la UE non ha un ministero del Tesoro, né un prestatore d’ultima istanza, né soprattutto una solidarietà comune europea, che tiene unite la nazioni in tempi di crisi.
Per la Northern Rock stanno pagando i contribuenti del Regno Unito.
Ma i contribuenti tedeschi non sono certo disposti a pagare il conto per gli spagnoli che hanno contratto mutui follemente superiori alla loro possibilità di pagarli, né per una Casta italiota che ingrassa mentre impoverisce il suo popolo e soffoca la gallina dalle uova d’oro.
Già 71 donne tedesche su 100, secondo un recente sondaggio, vogliono il ritorno al marco, perché l’inflazione dell’euro le esaspera.
Si vedrà se la falsa Europa dei burocrati e robot sarà in grado di non spaccarsi sotto questa tempesta, se i tedeschi e olandesi pagheranno per l’allegro «Club Med» del Sud, quando anche per loro andrà male davvero.
Questa cecità non è casuale.
Viene dall’ideologia liberista-globalista che è la dottrina accettata e il pensiero unico talmente dominante, da rendere lorsignori incapaci di pensare in altro modo.
Un giorno, gli storici rideranno dell’ostinazione con cui l’eurocrazia ha smantellato l’agricoltura europea, e con cui ancora in questi giorni i britannici, in funzione anti-francese, si producono in assalti contro quel che resta della PAC (Politica Agricola comunitaria).
Perché coltivare grano, ripetono, quando si può comprare sui mercati mondiali a meno?
Solo che il grano rincara, sui mercati mondiali.
E così tutti gli alimentari.
E non si tratta di rincari temporanei, dovuti ad una fluttuazione congiunturale di domanda e offerta.
L’agricoltura diventa il fattore strategico fondamentale del secolo (3).
E servirebbe un qualche politico che lo capisse in tempo, e che avesse abbastanza autorità da farsi ascoltare, onde approntare un programma europeo di autosufficienza alimentare, in termini di autarchia continentale.
Ma vedete voi in giro qualcuno che somigli a uno statista?
Sarà Mastella (o Berlusconi) a lanciare la prossima «battaglia del grano»?
Note
1) Ambrose Evans Pritchard, «Crisis may make 1929 look a ‘walk in the park’ », Telegraph, 22 dicembre 2007.2) Dana Ford, «Tent city in suburbs is cost of home crisis», Reuters, 20 dicembre 2007.3) «Une année de crise pour l’alimentation du monde - et un argument fondamental pour la France et pour la PAC», Dedefensa, 22 dicembre 2007. I dati sono della Fao: «The FAO’s food price index rose by 40 percent this year, on top of the already high 9 percent increase the year before, and the poorest countries spent 25 percent more this year on imported food. The prices for staple crops, including wheat, rice, corn and soybeans, all rose drastically in 2007, pushing up prices for grain-fed meat, eggs and dairy products and spurring inflation throughout the consumer food market. Worldwide food prices have risen sharply and supplies have dropped this year, according to the latest food outlook of the United Nations Food and Agriculture Organization. The agency warned December 17 that the changes represent an ‘unforeseen and unprecedented’ shift in the global food system, threatening billions with hunger and decreased access to food. Because of the long-term and compounding nature of all of these factors, the problems of rising prices and decreasing supplies in the food system are not temporary or one-time occurrences, and cannot be understood as cyclical fluctuations in supply and demand».
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