Combattere la morte
Stefano Maria Chiari
06 Febbraio 2008
«Ma come si fa a battere la morte? Non certo con l’animazione criogenica, la genetica o i trapianti. No, piuttosto che con i più recenti ritrovati delle scienze mediche, Arakawa e Gin sono convinti, certi si dicono, che la grande livellatrice possa essere battuta facendo uso dell’architettura. Della Reversible Destiny Architecture, l’architettura del destino reversibile per l’appunto. Qualcuno adesso potrebbe sostenere che ne è responsabile l’aria rarefatta del quartiere di SoHo a New York dove Arakawa e Gin mantengono il loro studio, ma i due sono sicuri, giurano, che la morte possa essere neutralizzata creando ambienti che mettono a disagio i loro occupanti. Infatti sarebbe dalla necessità di combattere questo disagio fisico che scaturirebbe l’energia vitale necessaria a battere il decadimento corporeo caratteristico del processo di invecchiamento. ‘Le persone, particolarmente gli anziani, non dovrebbero prendersela comoda adagiandosi in situazioni confortevoli, così finiscono solo con l’accelerare il loro declino’, dichiara Arakawa all’intervistatore dubbioso». (1)
Indubbiamente la notizia ha destato forti perplessità nel mondo scientifico; tuttavia i due architetti-poeti hanno ottenuto finanziamenti ed appoggi tali da poter riempire il mondo (Parigi, Tokyo, Firenze, per esempio) delle loro invenzioni ed innovazioni.
Leggiamo ancora da internet quest’altra notizia: «Dio uscì dall’orizzonte di Umberto Veronesi con la guerra. Gli era stato vicino nell’infanzia: la madre intensamente religiosa, l’ambiente contadino della cascina in mezzo ai campi dove è nato, la parrocchia dove, ‘paggetto’, serviva Messa. Prese ad allontanarsi da lui quando approdò ad una periferia di Milano, ragazzo di strada tra i ‘terun’, tra vite maladattate e risentite. Lo perse mentre si compiva la violenza estrema degli armati. Dov’era Dio ad Auschwitz? Dov’era in mezzo a tanto dolore? […] scelse di dedicare la vita ‘a combattere la malattia, a combattere le superstizioni, a far morire gli uomini il più tardi possibile e con dignità’ […] Alain Elkann l’ha scelto per intessere dialogando con lui, ‘Essere Laico’, il nuovo libro che corona la serie degli ormai celebri libri-intervista con tre importanti esponenti del mondo cristiano, ebraico e islamico: Carlo Maria Martini nel 1993 quando era cardinale arcivescovo di Milano, l’anno seguente Elio Toaff quando era il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, nel 2001 El Hassan Bin Talal, principe di Giordania. Ne nacquero ‘Cambiare il cuore, Essere ebreo, Essere musulmano’, 3 volumi in un cofanetto Bompiani che un giorno raccoglierà anche questo» (2).
Nel corso dell’intervista, Veronesi dichiarerà: «Ho l’impressione che lentamente l’umanità si stia secolarizzando. Molti pensano che in futuro Dio rimarrà solo nel ricordo», afferma Veronesi, eppure non si sente ateo: ‘Ateo è un termine che non amo, perché vuol dire senza Dio e io non posso negare l’esistenza di Dio, non avendo le prove per negarlo’», ed ancora: «Ha paura della morte? ‘Non è la morte che mi fa paura. Ma sono la sofferenza e il dolore. Il profeta laico della lotta contro il dolore crede nella luce della ragione, nella conoscenza, nella potenza della mente umana, nell’etica che guida, nel cuore che la sorregge. Condividerà la sorte di Socrate obbligato a bere la cicuta per aver dichiarato di non credere agli Dei? ‘Non credo. Molte persone apprezzano la mia sincerità. D’altronde morire bevendo la cicuta non sembra sia così doloroso’». (3)
Ed ancora da internet: «Per 8.057 giorni, 23 anni, Nicholas è vissuto tra le mura di un carcere d’isolamento e poi tra quelle di una prigione di massima sicurezza, nel braccio della morte in Pensylvenia, per un crimine mai commesso, torturato e deriso» (4).
Notizie di diverso tenore, apparentemente lontane ed estranee tra loro; eppure non è così.
Un tema ricorrente le attraversa tutte: la morte.
Perché parlare della morte e scrivere di essa?
Bhè, perché sembra quasi che sia lei ad inseguirci, sempre presente e minacciosa; anche se nascosta nelle pieghe della mente e del pensiero, è lì!
E’ forse sintomatico il tentativo dei due creativi architetti di esorcizzare adirittura che il trapasso, negandone addirittura operatività: vivere disagiati, espediente di immortalità.
Risibile tentativo, chissà, buono per investimenti ed attività, ma palliativo inefficace per consolare il cuore dell’uomo, che vuole ed aspira vita eterna; ma tale aspirazione si deve coniugare con un’altra ineliminabile esigenza, quella della piena felicità.
Da tale binomio si comprende bene che l’immortalità, anelito del cuore umano, è ben altro che il semplice non morire (il sopravvivere), esso suppone invece una qualità diversa dello stato di vivere; per questo deve essere vita eterna e non «questa»vita.
La prospettiva materialistica, adombrata (neanche tanto) nelle parole di Veronesi lascia veramente l’amaro in bocca; egli, che pur accusa la società di secolarizzazione, si schiera proprio tra i fautori di una religione «laica», che prescinda da una ipotesi rivelata di Dio.
Cosa ne resta a ben vedere (a voler essere rigorosi logicamente)?
Dichiarando di non temere la morte, ma il dolore, ci si chiede, se questa sia una risposta sincera:
ma la cosa non è rilevante.
Quel che rivela è che il laicismo e la religiosità «laica» sfoci necessariamente nel «braccio secolare della morte».
E’ la storia di Nicholas: riguarda noi tutti!
Cosa siamo, se non crediamo in Dio (anzi nel Dio di Gesù), se non disperati condannati a morte in attesa di esecuzione certa, ma ignota nel quando?
Ero un uomo morto in prigione, ero un signor nessuno (5), proprio questo siamo!
Già morti!
Un ateo, un laicista è soltanto un povero prigioniero, in attesa di supplizio (senza sapere né il giorno né l’ora); è lì, consapevole del fatto che il suo piacere, la sua soddisfazione, la sua felicità siano in fin dei conti effimero ultimo bagliore di un sole già tramontato, illusione estrema; in una parola sola: dolore e sofferenza.
Proprio quel dolore dell’umanità che l’ateo invoca, scandalizzato, contro Dio e la sua esistenza, senza aver compreso nulla del mistero della croce e la consegna di Gesù, fino al sangue.
Le risposte delle religioni sono oltremodo illusorie: cosa resta di fronte all’annullamento dell’indù o del buddista, nella ricomposizione armoniosa del proprio «non esistere»?!
Non c’è risposta vera di fronte al dramma della morte!
Solo Cristo resuscita da morte, dimostrando così la sua vittoria su ogni male e su ogni peccato; nessuna speranza fuori di questa ipotesi; nessun possibile vero conforto.
«Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro» (1Giovanni 3,2).
Stefano Maria Chiari
1) Da http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scienza_e_tecnologia/architettura-estrema/architettura-estrema/architettura-estrema.html
2) Da http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=1313&ID_sezione=80&sezione=Il%20libro
3) Ivi.
4) Da http://www.liberta.it/asp/default.asp?IDG=802047007&H=
5) Ivi.
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