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Imparare dalla meraviglia
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Già in un piccolo bambino c'è [...] un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni.

Sarebbe dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita (1).

Così il Santo Padre nella Lettera alla diocesi di Roma sul compito dell'educazione, lo scorso 23 gennaio.

L'esigenza di conoscere il vero ed il bello sono insite nella natura umana già dal fiorire dei suoi primi anni; possiamo ribadire con certezza, contrariamente alle convinzioni delle filosofie anticlericali dei secoli passati, la capacità fortemente penetrativa del conoscere del bimbo.

Gesù ci istruiva: «se non siete come loro, non entrerete nel Regno»; e ringraziava il Padre per aver nascosto le «sue cose» ai dotti e ai sapienti del mondo ed averle rivelate ai piccoli, ai semplici, ai poveri in spirito dei quali è l'impero dei cieli.


Il bambino è simbolo ed emblema del capovolgimento di valori che Cristo è venuto ad annunziare.

La sua permeabilità ai concetti, la sua capacità di meravigliarsi ed entusiasmarsi di fronte alla continua scoperta della vita, lo hanno reso anche oggetto di disquisire a proposito della possibilità di forti condizionamenti, da parte dell'ambiente esterno, sulla psiche e sulle convinzioni del bambino.

In realtà, il tentativo di mettere in discussione la «libertà» del pensiero innocente era pretesto per asserire l'«artificiosità» dell'istinto fortemente religioso che connota la persona umana, come elemento a sé costitutivo.


«Il Razionalismo e l'Illuminismo moderno hanno accettato il principio associazionalista; l'uomo sviluppa il suo conoscere muovendo dai contenuti più semplici delle qualità sensoriali e salendo con complicati processi di associazione ai concetti più elevati. Poiché il concetto più elevato è indubbiamente quello di Dio, esso non può esser presente nella prima età ed esige nell'uomo il pieno esercizio del pensiero logico astratto. Quindi è perfettamente inutile, anzi può riuscire dannoso, iniziare il bambino alla religione, alle sue verità e ai suoi doveri; fatto grande, egli penserà per suo conto a risolvere il problema supremo dell'esistenza. In questo senso si spiega il vivo interesse dell'Illuminismo settecentesco per l'uomo primitivo, che può sviluppare la sua vita nell'armoniosa libertà della natura e abbandonarsi all'immediato dispiegamento dei suoi impulsi senza la pressione delle idee e dei costumi di una civiltà raffinata ed ipocrita [...] tuttavia l'etnologia ha mostrato che alcuni popoli sono più primitivi' di altri e che tali popoli sono ben lungi dal trovarsi in quella beata condizione di naturalismo e di ateismo affermata dalla tesi illuminista e evoluzionista [...] Non miglior esito ha avuto la tesi illuminista quanto alla psiche infantile  [...] La meraviglia', di cui parlano Platone e Aristotele come della divina scintilla del filosofare, è presente all'uomo fin dai primi passi della vita spirituale e spinge anche il bambino alla ricerca dell'Assoluto per vie che le buone mamme e le brave educatrici cristiane conoscono assai più a fondo e che sanno percorrere molto più lestamente della pedagogia scientifica. La fede in Dio, ha dichiarato già il Pestalozzi, non è conclusione o risultato di una sapienza erudita, ma è il senso puro della semplicità, è l'orecchio in ascolto dell'innocenza alla voce della natura che Dio è il Padre'. La realtà è, per paradossale che possa apparire, che il bambino è più sensibile all'ideale della perfezione pura, alla bellezza, alla bontà, alla perfezione, che non alla stessa realtà sensibile così che l'idea di Dio non costituisce per lui affatto un'intrusione prematura ma è il coronamento dell'aspirazione più profonda dell'anima semplicetta che fa i primi passi verso la verità».

 

«So che a questa posizione si possono fare un nugolo di obbiezioni, ma esse partono o da principi' sistematici o da osservazioni frettolose: vengono da chi insomma scambia la semplicità dell'infanzia con una specie di animalità sia pur graziosa e attraente, invece di vedervi l'uomo in boccio e trattarlo come tale. [...] La preghiera può riuscir difficile per l'adulto, non pel bambino che concepisce facilmente l'Invisibile e i contatti a distanza (fiaba, mito): Dio, gli Angeli e i Santi, di cui sente parlare come incarnazioni della potenza e della bontà, egli non sente alcuna difficoltà ad accettarli per reali. [...] Dio per il bambino non è soltanto l'Invisibile, come nella favola di Psiche: l'Inaccessibile che lo vede e intende la sua preghiera. Dio è invece Qualcuno, un vivente, una Persona - il bambino questo lo intuisce da sé senza filtro di ragionamenti. E quel ch'è importante, e che potrebbe far giustizia delle teorie razionaliste sulla religione, tale nozione non è affatto sostenuta o provocata nel bambino da paura e neppure dal concetto della morte che viene molto dopo per la mentalità infantile. Si potrebbe dire che l'illazione di Dio nel bambino segue il tragitto diretto, dal positivo (finito) al positivo (infinito) senza passare attraverso il momento dialettico del negativo, della conoscenza riflessa della insufficienza e contingenza del finito, come fa l'adulto e specialmente la filosofia. Dio entra a far parte del mondo del bambino senza incontrare difficoltà od opposizioni come un momento od un elemento indispensabile di questo stesso mondo. [...] Per il bambino infatti Dio è Qualcuno che l'ascolta con bontà. Il sentimento che qui entra in gioco è l'affetto, l'amore, il bisogno cioè che il bambino sente di una benevolenza superiore a quella dei genitori ed anche, e di conseguenza, il riguardo da parte del bambino di piacere a Chi è sopra ai genitori e da cui viene ogni bontà» (2).


La semplicità evangelica, che scopriamo essere il cuore e la condizione per la fruttuosa ricezione della buona Novella costituisce proprio quella nuova rinascita dall'acqua e dallo Spirito che a Nicodemo è detto essere la via per accedere al Mistero.

Qui non c'entra il livello culturale o il bagaglio di conoscenze «umane» acquisite; quel che si mette in discussione è proprio l'atteggiamento intimo dell'auditore. «Fate attenzione dunque a come ascoltate» (Luca 8,18); e San Paolo avverte: «la scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere» (1 Corinto 8,2).

Non c'è dubbio; occorre riscoprire il valore della meraviglia dello spirito.

L'uomo che indugi senza avanzare nella vita spirituale e si fermi lungo il corso del suo cammino, non proseguendo la sua interminabile ascesa verso l'Altissimo, avrà probabilmente perso questa innata capacità; forse si sarà arenato urtando contro gli scogli del qualunquismo o forse sarà paralizzato dalle sabbie dell'orgoglio e della superbia, o chissà, si sarà impaurito di fronte ai flutti, in apparenza impetuosi, dello scoraggiamento.

Solo il «piccolo» resta sempre capace di conoscere davvero; la sua fame di sapere, di «perché», si radica nella sua umile ed implicita ammissione di «non conoscenza».

Il bambino si scopre bisognoso di tutto; in special modo dei genitori; si scopre indifeso, ma si sente forte e sicuro, tranquillissimo e pieno di gioia, quando è con loro.

Quanto insegna questa «meraviglia» in fondo allo sguardo puro di un bambino innocente!


Ancor di più, ci fa comprendere semmai ce ne fosse necessità, che «il problema di Dio è il problema dell'«uomo intero» in senso forte, cioè di tutte le età, razze, culture e civiltà. [...]

Perché il problema di Dio, nel suo più profondo significato, coincide con quello della consistenza del nostro essere e costituisce la più autentica testimonianza della nostra spiritualità e non è senza ragione che nel bambino tale testimonianza abbia un carattere così sicuro e deciso ed una gioia di canto spiegato che non di rado la cosiddetta età matura e i belletti della scienza soffocano e deturpano» (3).

 


Stefano Maria Chiari

 


1) Da http://www.zenit.org/article-13253?l=italian

2) Padre Cornelio Fabro in «Dio Introduzione al problema teologico».

3) Ivi

 

 

 
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