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Modesta e difficile proposta di perdono
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Un lettore, non ho capito bene con quali intenzioni, mi manda una lunga mail sotto il titolo di «Magistero papale infallibile e immutabile».

 

Eccone il testo:

«Non solo la Chiesa cattolica apostolica romana è l'unica vera Chiesa nell'unica vera religione, ma fuori di essa non c'è salvezza, c'è la dannazione eterna, tra fuoco, torture e tormenti!
Anche in essa fuori dalla sottomissione al Romano Pontefice c'è la dannazione eterna,  tra fuoco, torture e tormenti!

Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Romano Pontefice'.
Bolla ‘Unam Sanctam' Papa Bonifacio VIII°

 

‘... La Chiesa fermamente professa e annuncia che non può diventare partecipe della vita eterna alcuno che sia fuori della Chiesa cattolica, quindi non solo i pagani, ma neppure i giudei o gli eretici o gli scismatici, ma che andranno nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi, se prima della fine della vita non saranno stati aggregati alla medesima [...] Nessuno può essere salvato se non resta nel seno dell'unità cattolica...'.

Decreto per i giacobiti' Concilio di Firenze (1442)

Bisogna essere chiari fino in fondo! Magistero papale infallibile ed immutabile:

 

‘... la Chiesa Romana è fondata da Dio solo [...] soltanto il Pontefice Romano è a buon diritto chiamato universale [...] Egli solo può deporre o ristabilire i Vescovi [...] un suo messo, anche se inferiore di grado, in concilio è al di sopra di tutti i vescovi, e può pronunziare sentenza di deposizione contro di loro [...] il Papa può deporre gli assenti [...] non dobbiamo aver comunione o rimanere nella stessa casa con coloro che sono stati scomunicati da lui [...] a lui solo è lecito promulgare nuove leggi in rapporto alle necessità del tempo, fare nuove congregazioni rendere abbazia una canonica e viceversa, dividere un episcopato ricco e unire quelli poveri [...] lui solo può usare le insegne imperiali [...] tutti i principi devono baciare i piedi soltanto al Papa [...] il suo nome deve esser recitato in chiesa [...] il suo titolo è unico al mondo [...] gli è lecito deporre l'imperatore [...] gli è lecito, secondo la necessità, spostare i vescovi di sede in sede [...] ha il potere di ordinare un chierico da qualsiasi chiesa, per il luogo che voglia [...] colui che è stato ordinato da lui può essere a capo di un'altra chiesa, ma non sottoposto, e che da nessun vescovo può ottenere un grado superiore [...] nessun sinodo può esser chiamato generale, se non comandato da lui [...] nessun articolo o libro può esser chiamato canonico senza la sua autorizzazione [...] nessuno deve revocare la sua parola e che egli solo lo può fare [...] nessuno lo può giudicare [...] nessuno osi condannare chi si appella alla Santa Sede [...] le cause di maggior importanza di qualsiasi chiesa, debbono esser rimesse al suo giudizio. [...] la Chiesa Romana non errò e non errerà mai e ciò secondo la testimonianza delle Sacre Scritture [...] il Pontefice Romano, se ordinato dopo elezione canonica, è indubitabilmente santificato dai meriti del beato Pietro; ce lo testimonia sant'Ennodio, vescovo di Pavia, col consenso di molti Santi Padri, come è scritto nei decreti del beato Simmaco Papa [...] ai subordinati è lecito fare accuse dietro suo ordine e permesso [...] può deporre e ristabilire i vescovi anche senza riunione sinodale [...] non dev'essere considerato cattolico chi non è d'accordo con la Chiesa Romana [...] il Pontefice può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso gli iniqui...'.
Bolla ‘Dictatus Papae' (1075) Papa Gregorio VII (1073-1085). 

 

‘Come Dio, creatore dell'universo, ha creato due grandi luci nel firmamento del cielo, la più grande per presiedere al giorno e la più piccola per presiedere alla notte, così egli ha stabilito nel firmamento della Chiesa universale, espressa dal nome di cielo, due grandi dignità: la maggiore a presiedere - per così dire - ai giorni cioè alle anime, e la minore a presiedere alle notti cioè ai corpi. Esse sono l'autorità pontificia e il potere regio. Così, come la luna riceve la sua luce dal sole e per tale ragione è inferiore a lui per quantità e qualità, dimensione ed effetti, similmente il potere regio deriva dall'autorità papale lo splendore della propria dignità e quanto più è con essa a contatto, di tanto maggior luce si adorna, e quanto più ne è distante tanto meno acquista in splendore. Ambedue questi poteri hanno avuto collocata la sede del loro primato in Italia, il qual Paese quindi ottenne la precedenza su ogni altro per divina disposizione. E perciò, se pure noi dobbiamo estendere l'attenzione della nostra provvidenza a tutte le province, tuttavia dobbiamo con particolare e paterna sollecitudine provvedere all'Italia, dove furono poste le fondamenta della religione cristiana e dove l'eccellenza del sacerdozio e della dignità si esalta con la supremazia della Santa Sede...'
Lettera ‘Sicut Universitatis Conditor' (1198) Papa Innocenzo III (1198-1216)

 

‘... Se quindi i greci o altri dicono di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, devono per forza confessare di non essere tra le pecorelle di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c'è un solo gregge e un (solo e) unico pastore. Proprio le parole del Vangelo ci insegnano che in questa Chiesa e nella sua potestà ci sono due spade, cioè la spirituale e la temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: ‘Ecco qui due spade'... - che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare - il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: ‘Rimetti la tua spada nel fodero'... . Quindi ambedue sono nel potere (a disposizione) della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale. Però quest'ultima dev'essere esercitata in favore della Chiesa, l'altra direttamente dalla Chiesa; la prima dal sacerdote, l'altra dalle mani dei re e dei soldati, ma agli ordini e sotto il controllo del sacerdote. Poi é necessario che una spada sia sotto l'altra e che l'autorità temporale sia soggetta a quella spirituale [...] Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Romano Pontefice'.
Bolla ‘Unam Sanctam' (1302) Papa Bonifacio VIII (1294 - 1303)  

 

‘... Noi, rafforzati dall'amore divino, spinti dalla carità cristiana, e costretti dagli obblighi nel nostro ufficio pastorale, desideriamo, come si conviene, incoraggiare ciò che è pertinente all'integrità e alla crescita della Fede, per la quale Cristo, nostro Dio, ha versato il suo sangue, e sostenere in questa santissima impresa il vigore delle anime di coloro che sono fedeli a noi e alla vostra Maestà Reale. Quindi, in forza dell'autorità apostolica, col contenuto di questa lettera, noi vi concediamo la piena e libera facoltà di catturare e soggiogare Saraceni e pagani, come pure altri non credenti e nemici di Cristo, chiunque essi siano e dovunque abitino; di prendere ogni tipo di beni, mobili o immobili, che si trovino in possesso di questi stessi Saraceni, pagani, non credenti e nemici di Cristo; di invadere e conquistare regni, ducati, contee, principati; come pure altri dominii, terre, luoghi, villaggi, campi, possedimenti e beni di questo genere a qualunque re o principe essi appartengano e di ridurre in schiavitù i loro abitanti; di appropriarvi per sempre, per voi e i vostri successori, i re del Portogallo, dei regni, ducati, contee, principati; come pure altri domini, terre, luoghi, villaggi, campi, possedimenti e beni di questo genere, destinandoli a vostro uso e vantaggio, e a quelli dei vostri successori'.

Bolla ‘Dum diversas' (1452) Papa Niccolò V (1447 - 1455)»

 

 

Non capisco l'intenzione di questa lettera, se sia di derisione del mio presunto tradizionalismo, o espressione di tradizionalismo estremo.

La enciclica più citata è «Unam Sanctam», dov'è espressa la celebre dottrina delle «due spade»: dove il Papa rivendicava anche il potere temporale.

Insegnamento infallibile?

I Papi attuali non sembrano più ritenerlo tale.

Sono infallibili adesso, o erano infallibili allora?

Temo si debba non tacere il terribile contesto storico in cui tale dottrina fu elaborata, e da cui nascono i documenti citati sopra.

Quello in cui la Chiesa, a cui confluivano le immense ricchezze donate da popoli fedeli, divenne l'arena contesa da poche grandi famiglie aristocratiche romane - i Colonna, gli Orsini, i Farnese,

i Caetani - che si arraffarono l'un l'altra il Papato, come «cosa nostra», puntando apertamente, attraverso la potenza del Papato, al potere politico su tutta Europa.

Bisognerebbe parlare di Innocenzo III che, nel quarto Concilio Lateranense, nel 1215, condannò la Magna Charta in cui vedeva una pericolosa espressione di autonomia del potere civile inglese: infallibile?

Non so, vorrei poterlo chiedere al Papa d'oggi.

Temo di poter dire che quelle poche famiglie nobili romane, sempre in lotta tra loro per mettere sul trono di Pietro loro figli, nipoti e cadetti da usare per la loro sete di potere, si comportarono esattamente come quella che oggi chiamiamo «la Casta»: arroganti, insensibili allo sgomento e allo scandalo  che creavano tra i fedeli e alla indignazione e al disgusto crescente del popolo.

Il popolo romano cacciò dalla città il già citato Innocenzo III, armi in pugno, nel 1203, per lo scandaloso nepotismo (aveva coperto di ricchezze e cariche il fratello); tornato, il Pontefice fortificò il palazzo papale, per chiari motivi.

Papa Gelasio II nel 1119 dovette fuggire a Gaeta in barca sul Tevere, mentre la gente romana dalle rive gli lanciava ingiurie e pietre.

Gregorio VIII, per la sua crudeltà, fu preso dalla folla, messo a cavalcioni su un cammello con la faccia verso la coda, e lapidato nel 1187.

Gregorio IX (dei conti di Segni) fu ripetutamente cacciato a furor di popolo.

Ripetutamente, fino al 1445, vari Papi furono cacciati dalla città: non  a caso posero le loro sedi ad Anagni o a Viterbo, ad Orvieto fino all'ultima, ad Avignone.

Vogliamo credere che questa furia popolare fosse immotivata?

 

Era espressione dello scandalo suscitato dalla Casta, dalle sue scandalose ricchezze, dal commercio di cose sacre.

I movimenti pauperistici sull'orlo dell'eresia, come i patarini, si spiegano forse come disperato messaggio a questa casta arrogante, che s'ammantava nel lusso dei beni di una Chiesa che era, allora, la prima potenza mondiale politica.

Per legittimare le loro aspirazioni di dominio, costoro giunsero, come si sa, a fabbricare un documento, la «donazione di Costantino», dimostrato falso dall'umanista Valla.

Dante Alighieri, che lo credeva vero, lo maledisse con le celebri parole: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!» (Inferno, Canto XIX, versi 115-117).

Parole di uomo di fede sgomento dal vedere i successori del povero pescatore galileo accaparrarsi le ricchezze del mondo.

Come oggi, «la Casta» non ascoltava i minacciosi rumori che venivano dal basso; Innocenzo IV (un Fieschi) fu accusato da Federico II imperatore di volersi fare monarca di tutta Europa: lo scomunicò, come noto, e si diede ad una guerra di sterminio contro la discendenza di Federico proseguita dai successori: Dante cita il dolente caso di Manfredi nel Purgatorio («Bello era e biondo e di gentile aspetto/ ma l'un dei cigli un colpo avea diviso»).

Bonifacio VIII, l'autore della «Unam Sanctam», era un Caetani.

Il soglio pontificio lo comprò, pagando i cardinali del conclave con 7 mila fiorini d'oro.

Perciò Dante lo mette tra i simoniaci, avendolo accusato di «torre con inganno» (prendere in sposa con una frode) «la bella donna», che era la Chiesa, per poi «farne strazio».

Dante conosceva bene Bonifacio: come priore di Firenze, aveva bloccato le sue manovre egemoniche sulla città del Fiore, e per questo era di fatto costretto all'esilio, braccato e perseguitato dal potere vaticano.

Le «rime petrose» (del 1295) sono una disperata confessione d'amore non ad una fantomatica Donna Petra, ma alla Chiesa di Cristo («la bella donna», padrona  e signora) , il soglio di Pietro diventato «pietra».

Di questo strazio o scempio, Dante chiama a testimone Dio come Amore:

«Amor, tu vedi ben che questa donna
la tua vertù non cura in alcun tempo
, (...)

Deh piangi meco tu, dogliosa petra,
perché s
'è Petra en così crudel porta
entrata
, che d'angoscia el cor me npetra;
deh piangi meco tu che la tien morta!
Ch
'eri già bianca, e or se' nera e tetra,
de lo colore suo tutta distorta
» 

E' il linguaggio criptico del Fedeli d'Amore: ma il senso è trasparente.
Questo sgomento era comune.

 

E' tremendo e bellissimo vedere come in quei secoli di scempio papale del Vangelo, la Grazia divina suscitasse, quasi a compensare il male, ad avvertire e a rafforzare nel popolo la fede straziata dall'alto, incredibili miracoli e santità: dal miracolo dell'Ostia di Bolsena (il prete ceco cui fu insanguinato il pettorale dubitava, perché aveva visto, pellegrino, cosa era diventata Roma) all'eroica santità di San Francesco stigmatizzato, al coraggio di santa Caterina, al seguito impressionante che suscitò il Poverello d'Assisi - monito chiaro ai ricchi della «Casta» - che infatti se ne impaurì, temendo uno scisma.

La fedeltà di Francesco e Caterina si staglia ancor più eroicamente in questo contesto.

Ma non tutti erano santi fino a quel punto.

Appena eletto, Bonifacio si scontrò con l'altra grande famiglia rivale dei Colonna: questi avevano rubato un carico d'oro (offerte dei fedeli!), e il Papa li scomunicò, anzi giunse al punto di bandire una crociata contro di loro, facendo raderne al suolo «manu militari» le proprietà e disperdendo la famiglia un tutt'Europa.

Alcuni Colonna si rifugiarono a Parigi.

Qui, Filippo IV re di Francia si oppose alla «Unam Sanctam», convocò gli Stati Generali e ne ottenne l'incriminazione di Bonifacio per eresia, simonia, e inoltre  «stregoneria, commercio col demonio, miscredenza verso Gesù Cristo, e di aver dichiarato che i peccati della carne non erano peccati».

Bonifacio fu assediato ad Anagni; catturato, Sciarra Colonna lo schiaffeggò col guanto di ferro, e lo trascinò a Parigi.

Qui era pronto un concilio generale (con cinque arcivescovi e 22 vescovi, più frati e monaci) che lo mise sotto accusa.

Si fece circolare la voce che, davanti a quel consesso, Bonifacio avesse dichiarato sprezzante: «Gesù Cristo non è mai esistito, l'eucarestia non è che farina ed acqua, la Madonna era vergine quanto lo era mia madre, e l'adulterio non più peccaminoso che fregarsi le mani».

Sicuramente un falso, ma già indice delle accuse e delle calunnie che presto diverranno luogo comune del protestantesimo.

Certo non sono calunnie, ma testimonianza, quelle che Petrarca - che frequentò  la fastosa corte papale di Avignone - usò per descrivere quell'esilio dorato del Papato: corte «agitata, in subbuglio, oscena, terribile, fonte di pena dove Gesù Cristo è deriso, dove si adorano i sesterzi, dove l'onestà viene definita un'assurdità e l'astuzia è chiamata saggezza» («Epistulae sine nomine», VII).

Chiedo: non sono le stesse parole ed accuse che possono oggi descrivere la «Casta» dei parassiti pubblici, dei miliardari di Stato?

Oggi c'è Beppe Grillo, perchè gli osceni agitati adoratori di sesterzi si chiamano Mastella o Visco; ma allora era la Chiesa, ed a parlare era Petrarca.

Che così descrive Clemente VI visto ad Avignone: «Corrotto nelle indulgenze (...) ricurvo non a causa dell'età, ma dell'ipocrisia (...) percorre le sale delle prostitute travolgendo gli umili e calpestando la giustizia».

 

Si potrà dire che Petrarca era un protetto dei Colonna.

Ma questo si diceva, e le voci circolavano: la «Casta» si dimostrò, come sempre, incapace di autoriformarsi.

Quanto poteva durare?

Dietrich von Nieheim, avvocato tedesco (1338-1418) che fu per diversi anni funzionario alla corte papale, descrisse i commerci delle indulgenze e della cariche che vi avvenivano, lo stesso beneficio ecclesiatsico venduto e rivenduto più volte, come un pacchetto azionario, il Papa Bonifacio IX  (un Tomacelli) che parlava d'affari col segretario durante la Messa.

Le memorie di von Nieheim furono lette avidamente nelle regioni tedesche.

Così com'ebbe enorme diffusione il diario di Johannes Burchard, maestro di cerimonie di Alessandro VI (il Borgia), di cui il cappellano Burchard raccontò tutto.

Anche della famigerata festa della domenica 30 ottobre 1501 in cui il Papa lanciò delle castagne ad una torma  di prostitute d'alto bordo, che nude si contesero i frutti «nude e strisciando carponi» a «raccoglierle con la bocca»: episodio storicamente certo (1).

Si è detto che Papa Borgia, almeno, non intaccò il depositum fidei.

Ma come non vedere che qui ci sono onerose responsabilità nella seguente rivolta di Lutero, e nello scisma protestante che staccò l'Europa del Nord dalla Chiesa di Cristo?

Certo per quegli scismatici ed eretici non ci sarà salvezza.

Ma che dire di quei Papi?

Non so: chiedetelo a Benedetto XVI.

I Pontefici d'oggi sono per fortuna nostra migliori.

Oggi chiedono con facilità perdono - agli ebrei, a Galileo, a Montezuma - di fatto sconfessando Papi precedenti per colpe che non hanno commesso.

Mi chiedo, sommessamente, che cosa li trattenga dal chiedere perdono per quegli altri Papi seminatori di sgomento, incredulità  e discordia.

Forse, così, otterrebbero dai luterani qualcosa di più di quel che hanno ottenuto invitandoli ad una «cena» non più chiamata Sacrificio Eucaristico: annacquamento «ecumenico» del Sacramento inviolabile che ci fa cattolici.

 

Cattolico resto.

Ma con gli occhi aperti sulla storia e sul presente.

Ancora una volta, apro il libretto di Simone Weil, «L'enracinement», mia rilettura di questi giorni: «La gerarchia è un bisogno vitale dell'anima. Essa è costituita da una certa venerazione e devozione nei confronti dei superiori, considerati non in riferimento alla loro persona né al potere che esercitano, bensì come simboli. Essi sono simboli di quella sfera che si trova al disopra di ogni uomo, e la cui espressione mondana è costituita dagli obblighi di ogni uomo verso i suoi simili. Una vera gerarchia presuppone che i superiori abbiano coscienza di questa funzione simbolica e sappiano che essa è l'unico oggetto legittimo della devozione dei loro subordinati».

Trovo che questo passo si applichi al potere temporale come a quello spirituale.

E spieghi molto del nostro disorientamento, della nostra insofferenza, persino della insubordinazione generale, corpuscolare e incandescente che percorre il nostro oggi.

 


1)

Ho tratto alcune di queste informazioni da un testo violentissimo apparso su Nexus numero 60: «Storia criminale del papato», di Tony Bushby, australiano. Non si tratta di uno storico di professione: Bushby accoglie anche accuse provenienti da Diderot e da Voltaire, e in generale dalla libellistica anti-cattolica luterana. Ma è indubbio che molte di queste accuse sono confermate da testimoni storici e né Dante né Petrarca erano luterani. In ogni caso, persino questo testo violentissimo rivela che ancora lì batte il dente che duole, il dente della rabbia protestante, e del suo rifiuto di rientrare nel seno della Chiesa. La ferita è sempre fresca, questa va curata col perdono offerto.  
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