Quando Roma rischiò di svegliarsi protestante
29 Gennaio 2008
Sembrerà paradossale, ma si può pensare che alla fine del Medioevo le radici della mentalità protestante erano più vicine al Tevere che al Reno; più nutrite dall'umanesimo romano in germe che dal lievito del rigorismo cataro, valdese, giansenista, poi calvinista. Lassismo e rigorismo sono posizioni che appaiono opposte, ma possono germinare insieme nell'anima umana.
E la parola «protestante» le può avvicinare sempre che definisce, più che una dottrina religiosa obiettiva, uno stato d'animo reso soggettivo.
Ciò risaliva al passaggio della civiltà medioevale ancora legata alla pietas romana ossia della devozione filiale alle origini, agli antenati, alla madre patria, a quella dell'umanesimo rinascimentale; della curiosità gnostica rivolta al passato per scoprire la «luce» di un futuro utopico.
In religione questo significava tralasciare la fede teandrica, di Dio fatto uomo, a favore di aspirazioni deiste, «androteiste», dell'uomo che pensa Dio; un dio a sua immagine e somiglianza che finisce per non essere diverso da quelli dell'Olimpo; nati da una scelta fantasiosa - oggi si dice ricerca - che serve a proiettare la visione della propria luminosa bontà in contrasto con i brutti mali del mondo.Erano i germi della fede nella volontà di potenza per rimpiazzare la ragione conforme alla fede che avrebbero generato le filosofie e ideologie moderne, dal panteismo all'esistenzialismo, al comunismo. Sotto questa luce si può capire che il gran trapasso del Cinquecento, esteso al nostro tempo, non è tanto quello dal cattolicesimo al protestantesimo, quanto quello dalla religione oggettiva alla religiosità soggettiva.
Così, dopo aver negato la «favoletta» di un'oggettiva «caduta originale», spuntava nel proprio animo l'impulso soggettivo della protesta contro ogni segno oggettivo del culto al volere divino «che permette il male»!
Ecco la protesta fatta religione e il culto divino - come pure l'autorità della Chiesa - umanizzati, messi più a servizio della dolente umanità che dal culto al Dio che volle il sacrificio del proprio Figlio per redimere il mondo crudele da Lui stesso creato!
Tali concetti, procedenti da un passato convulso, hanno fatto oggi passi da giganti non a causa di una loro possibile congruenza, ma per opera di una miriade di nani religiosi che hanno potuto disporre di alti poteri.
A questo punto interessa sapere quali erano questi poteri e con quali mosse oscure sono stati abusati per inserire nella Chiesa cattolica tali chierici imbevuti da idee decadenti, in parte risultanti da gnosi antiche, ma soprattutto legate ad una visione distorta del progresso moderno.Per capirlo vediamo un po' di storia della Chiesa.
Nel Cinquecento un clima religioso sia gnostico che protestante si era insinuato nel cristianesimo esercitando gran fascino presso molti prelati e anche cardinali e minacciava di soffocare la fede della Chiesa.
Ci voleva il freno di una competente inquisizione romana.
Il tribunale dell'Inquisizione investigò allora alcuni cardinali sospetti di simpatie verso queste idee che infestavano il pensiero cattolico.
Le inchieste sul cardinale inglese Reginald Pole e sul cardinale Morone sono due vistosi esempi di quelle tendenze regnanti.
Non si trattava di giudicare il comportamento morale o civile di chierici di un certo valore, come quel cardinale inglese, ma la sua posizione religiosa.
Reginald Pole si stabilì nel 1540 a Viterbo, e attorno a lui, Giovanni Morone, Vittoria Colonna e Carnesecchi, già protonotario di Clemente VII, e anche lo spagnolo Juan de Valdez, profeta «alumbrado».
Gli alumbrados erano la versione ante litteram dei moderni carismatici, movimento che attrasse pure intellettuali, artisti e dame influenti quali Giulia e Eleonora Gonzaga, rispettivamente cugina e sorella del cardinale Ercole Gonzaga.
Costoro, con fede incerta, inclini ad accettare il principio luterano della giustificazione per la sola fede, giunsero ad accogliere quella dottrina poi respinta dal Concilio di Trento, della «doppia giustificazione».
Diffusero tra l'altro, anche il trattatelo eretico «Il Beneficio di Cristo», successivamente condannato dal Sant'Uffizio.
Il pericolo di queste correnti si rivelò in quegli anni alle autorità ecclesiastiche con l'apostasia di due grandi predicatori: l'austero oratore Occhino, che fu vicario generale dell'Ordine Cappuccino e il canonico lateranense Vermigli, anch'esso «maestro», passati al protestantesimo.
L'accusa verso Pole e Morone era di simpatia verso i protestanti e conseguentemente di condotta ambigua.
Non fu provato che avessero aderito all'eresia, nel qual caso non sarebbero rimasti cardinali, ma entrambi, benché propensi ad aperture dottrinali, furono vicini ad essere eletti al sommo Pontificato, con enorme pericolo per la fede.
Il cardinale Pole, attaccato dal cardinale Carafa, perché incline ad idee di giustificazione protestante, non fu eletto Papa nel conclave del 1549 per un solo voto.
Il cardinale Carafa
Chi era questo cardinale che voleva frenare il «progresso della storia»?
Giovanni Pietro Carafa nacque a Napoli il 28 giugno 1476, dall'illustre famiglia dei Carafa.
Ricevette un'educazione raffinata presso suo zio a Roma, il cardinale Oliviero Carafa, diventando profondo conoscitore di greco ed ebraico.
Si corrispondeva con i più noti pensatori del suo tempo, tra cui Erasmo, il quale si rivolse a lui per la traduzione in latino dei testi originali ebraici e greci della Sacra Scrittura.
Fu rispettato sia per la sua gran cultura sia per il carattere dimostrato nel condurre vita illibata perfino nella corte mondana del Papa Alessandro VI, dove servì, durante i suoi studi, come cameriere pontificio.
Rivelò la sua notevole formazione letteraria, teologica e giuridica con un'eloquenza di stampo ciceroniano che gli aprì la via ad ogni grado della gerarchia.
Divenne un provetto avvocato, fu consigliere di Papi, nunzio apostolico in Spagna ed in Inghilterra.
Come vescovo di Chieti, diede l'esempio - edificante per il suo tempo - di risiedere ed esercitare il suo ministero nella propria diocesi.
Clemente VII lo autorizzò poi a rinunciare a questa diocesi, per fondare con San Gaetano di Thiene la Congregazione dei Teatini, la cui finalità era la lotta contro le eresie attraverso la predicazione e la semplicità della vita.
Ne divenne il primo superiore.
Nel 1536 fu elevato da Paolo III alla dignità di cardinale arcivescovo di Napoli e membro della Commissione per la Riforma della Chiesa.
L'importante cardinale Gaspare Contarini che la presiedeva aveva un progetto di riforma noto come «Consilium de emendanda Ecclesia», in cui purtroppo confluivano le influenze di Erasmo da Rotterdam, del neo-platonismo di Marsilio Ficino e persino la mistica eterodossa degli «Alumbrados».
Tale progetto aspirava ad una Chiesa spiritualizzata avversa alla scolastica e al formalismo giuridico, anticipando così il moderno carismatismo, aperto ad un luteranesimo pacifista.
A tale tendenza d'unità ecumenista, transigente in materia dottrinale, aderirono i cardinali Reginald Pole e Giovanni Morone, legati a circoli umanistici frequentati anche da Aonio Paleario, Vergerio e Pietro Carnesecchi, pensatori deviati condannati poi come eretici.
Essendo rimasto senza esito a Ratisbona nel 1541 il tentativo del Contarini per una riconciliazione con i protestanti, sulla base della «doppia giustificazione», il cardinal Carafa, apertamente contrario ai compromessi dottrinali e fautore di una vera riforma, prese misure forti contro l'eresia a Napoli, riattivando il Tribunale della Santa Inquisizione e stabilendo la censura nel 1543.
I suoi avversari lo accusarono di eccessivo zelo, ma così non la pensò Giulio III che, nel 1550, lo volle al Sant'Uffizio come uno dei sei grandi inquisitori e nel 1553 lo nominò decano del Sacro Collegio con il titolo di cardinale vescovo di Ostia.
Il cardinale Carafa era conosciuto come indefesso nemico dello spirito del mondo e del suo umanesimo, ispiratore del Rinascimento, che ebbe per componenti il soggettivismo umanistico, vera apertura al liberalismo e all'antico paganesimo, scuse queste per la violenta reazione luterana.
Nel conclave del 1555, per la successione di Papa Marcello II, in mezzo alle divisioni e difficoltà per la scelta di un Papa degno di questa carica in un momento così critico per la Chiesa, l'influente cardinale Farnese, tra l'altro anche lui noto umanista, esclamò: «Eleggiamo Carafa, il santo e venerando seniore del Collegio Cardinalizio, che è degno del papato».
Giovanni Pietro Carafa, aveva allora settantanove anni e fu eletto Papa malgrado ciò sembrasse impossibile, perché era impopolare presso i francesi e non gradito al partito spagnolo-imperiale fedele a Carlo V.
Eletto il 23 maggio 1555, prese il nome di Paolo IV.
Papa Carafa fu un Papa tridentino senza compromessi, che ebbe per obiettivo centrale del suo Pontificato, la lotta alle eresie e una vera riforma della Chiesa a cominciare dallo stile di vita mondano della corte papale.
Rinnovò il Sacro Collegio, combatté la simonia, impose ai vescovi l'obbligo di residenza nelle proprie diocesi, disciplinò i religiosi vaganti, migliorò le scuole di teologia, ristabilì la disciplina monastica, riattivò il Tribunale dell'Inquisizione, cercò di migliorare l'arte sacra evitando per quanto possibile l'indecenza nelle immagini sacre, pur accogliendo le nuove tecniche dell'arte rinascimentale.
Questo suo zelo non sconfinò mai nel rigorismo, eccesso tipico che caratterizzò invece il Protestantesimo.
Paolo IV ebbe cura speciale nell'incrementare la devozione eucaristica.
Riguardo alla fede, il Papa preferì difenderla combattendo le eresie attraverso commissioni e congregazioni romane sotto la sua direzione.
Non riaprì il Concilio di Trento sospeso dal 1552, perché aveva intuito che alcuni nemici della Chiesa si erano infiltrati nel suo stesso seno e cercò quindi di applicarne le direttive e lo spirito con atti pontifici.
Denunciò, inoltre, come illecita la «Pace di Augusta» che poggiava su un compromesso immorale perché metteva in causa la vera libertà della religione secondo l'infausto principio «cuius regio eius et religio».
«Principio» divenuto norma (male minore) nell'accordo di Westfalia (1648), per essere presto cancellato dal «principio» di separazione dello Stato dalla Chiesa, per la metabolizzazione finale dello Stato ateo.
Riguardo al cardinale Reginald Pole, nel 1557 egli fu accusato innanzi all'Inquisizione e destituito dalla carica di legato pontificio.
Il processo finì a causa della sua morte nel 1558.
Per dedicarsi meglio al campo spirituale Paolo IV commise però l'errore di affidare gli affari temporali al nipote Carlo.
Ignorando che si trattava di un condottiero di vita debosciata, lo nominò segretario generale delle Finanze di Stato e lo elevò alla porpora per le istanze dei cardinali.
Purtroppo l'ambizione di costui si manifestò in occasione dell'alleanza coi francesi, voluta dal Papa per allontanare da Napoli gli spagnoli.
Il tentativo fallì e nel 1557 il duca d'Alba minacciò di invadere Roma.
Dopo un'inchiesta sull'operato e sull'abuso di potere dei nipoti, Paolo IV non esitò a cacciarli da Roma.
Ciò nonostante i nemici lo accusarono del nepotismo che lui combatteva.
La Costituzione apostolica «Cum ex apostolatus officio» versa sulla decadenza delle autorità deviate dalla fede cristiana.
Per conoscere la natura delle persecuzioni letali per la Chiesa si devono sentire gli stessi Papi nelle ore cruciali della storia moderna, di fronte ai due grandi assalti al cattolicesimo che qui c'interessano: - del protestantesimo; - e della rivoluzione francese.
Entrambi si manifestarono colpendo principalmente il dogma, il Santo Sacrificio della Messa e l'autorità cattolica.
Per arginare l'attacco protestante operò il Concilio di Trento, che nel campo liturgico, con San Pio V, codificò per sempre il rito del Santo Sacrificio del Signore, ponendo come suo modello il rito romano.
Per quanto riguarda la difesa dell'autorità cattolica nella scalata nemica, abbiamo la bolla del Papa Paolo IV, «Cum ex apostolatus officio», che porta una definizione apostolica sull'assoluta incompatibilità tra autorità cattolica e deviazione dalla fede.
La Costituzione Apostolica «Cum ex apostolatus officio» fu pubblicata nel 1559, ultimo anno di vita di Paolo IV.
Dai suoi nemici, fu attribuita a ragioni occulte contro alcuni di cui non si fidava, come l'influente cardinale Giovanni Morone, che fece arrestare per sospetto d'eresia.
Paolo IV temeva una scalata da parte di cripto-eretici alle posizioni chiave della Chiesa; per questa ragione era lento anche ad assegnare nuovi titolari alle sedi episcopali rimaste vacanti.
Papa Carafa non nascondeva di sentire il dovere di prendere misure draconiane per la situazione molto grave e confusa della sua epoca; ragioni enunciate esplicitamente anche all'origine di diversi altri atti del suo Pontificato.
Così l'Indice dei libri proibiti, «Index librorum prohibitorum» e la Bolla «Cum secundum Apostolum» del 16 dicembre 1558, che comminava pene severissime contro i cardinali incorsi in simonia o che avessero intrallazzato con il potere politico per conquistare la tiara.
Perciò, non meravigliano l'odio e le calunnie suscitate contro il Papa e alcuni dei suoi atti dai nemici della fede che si inseriscono in quest'ottica.
Non poteva essere altrimenti per la Bolla «Cum ex apostolatus officio».
Alla luce dei fatti, si può dire che i suoi atti furono decisivi per evitare che la Roma cattolica prendesse quella piega protestante arrivata solo con Giovanni XXIII quattro secoli dopo.
Riguardando l'autorità della Chiesa, che esiste in rappresentanza di Dio, tale definizione è fondata sul Diritto divino e colonna del diritto della Chiesa. Perciò è nel Codice di Diritto Canonico voluto da San Pio X e pubblicato nel 1917.
Sappiamo, allora, chi è stato nel Cinquecento, uno dei più grandi difensori della fede e del diritto divino, come lo ha riconosciuto San Pio V, che ha iniziato la sua causa di canonizzazione.
Papa Carafa morì santamente cantando il Salmo 121 che esordisce: «Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: In domum Domini ibimus».
Le riforme di Paolo IV preservarono nella Chiesa l'integrità della fede e del culto, per cui al suo Pontificato seguì un periodo di Papi virtuosi.
Si dimostrò così santo che San Pio V, suo successore, volle iniziare il processo di canonizzazione e in segno di venerazione per la sua santità, usava le sue vesti e i paramenti liturgici.
I cardinali Salviati e Arigone affermarono: «Tutto quanto rimane di fede, religione e culto divino, si deve a Paolo IV».
Lo storico Gastaldo Gianbattista scrisse: «Qualcuno lo chiamò Paolo il grande... eminente per la sua cultura e famoso per il suo zelo riguardo la santa fede cattolica, fu considerato come un altro santo sulla Cattedra di Pietro».
Nel suo mausoleo è stato scolpito l'epitaffio: «Castigatore acerrimo d'ogni male e campione senza macchia della fede cattolica».
Il caso del cardinale Morone
I nemici di Paolo IV lo accusarono anche di aver incriminato e fatto imprigionare il cardinale Morone senza prove, tant'è vero che, morto Paolo IV, egli fu liberato e partecipò al conclave per l'elezione del Papa.
Esaminiamo ora i motivi che indussero Papa Carafa ad adottare misure disciplinari nei confronti dei due porporati.
Giovanni Morone era ancora una minaccia nel conclave del 1566, per cui il cardinale Michele Ghislieri, futuro San Pio V, dovette ricordare la nullità dell'elezione di chi era sospetto d'eresia.
E, sulle orme del cardinale Carafa, che si era presentato al conclave precedente con gli incartamenti riguardanti il cardinale Pole, egli portò quelli concernenti il caso Morone, facendo presente ai membri del Sacro Collegio le direttive enunciate dalla Costituzione Apostolica «Cum ex apostolatus officio» di Paolo IV.
San Pio V non mancò di riconfermare detta Costituzione paolina con la Bolla «Inter multiplices» e confessò, asserisce il von Pastor illustre storico della Chiesa, di aver accettato la sua elezione a Papa «perché altrimenti essa, a svantaggio della Santa Sede, avrebbe potuto cadere sul cardinale Morone».
Questi santi Papi, hanno difeso la Chiesa, non solo dalle dottrine protestanti che sfidavano apertamente la dottrina cattolica, ma anche da quei compromessi striscianti persino più dannosi, perché travestiti da sentimenti di tolleranza, da ecumenismi di fratellanza religiosa, che aprono ai loro fautori la via dell'elezione alla carica di somma autorità nella Chiesa.
In tal caso si tratta di un'elezione solo umanamente possibile, perché di fatto nulla, come in ogni tempo è nulla l'elezione di un modernista.
Ma il danno incalcolabile deriva dall'interregno sotto una falsa autorità, la cui deviazione è causa di quella scristianizzazione generale, i cui segni sono purtroppo evidenti nel mondo contemporaneo.
Lo zelo intrepido di Paolo IV per la Chiesa fu ripreso da San Pio V.
Egli rinvigorì il Tribunale dell'Inquisizione Romana che rinnovò la condanna del razionalismo di Lelio e Fausto Socini e condannò, come eretici recidivi, Pietro Carnesecchi (del gruppo di Viterbo), l'umanista Aonio Paleario e Michele Baio (Michel du Bay), la cui dottrina era un ponte tra il protestantesimo ed il futuro giansenismo.
Si può pensare che essi, col loro prestigio teologico, sarebbero divenuti gran periti, alla stregua dei Rahner, Schillebeeckz, Congar, Ratzinger e compagnia bella, per un Concilio di Trento II?
Contro ogni previsione umana, la Provvidenza ha sempre dato alla Chiesa fedele i Papi del suo rinnovamento spirituale.
Anche nel secolo scorso, contro ogni calcolo umano ed intrigo politico, contro la sua stessa volontà, fu eletto San Pio X.
Tutto dipende dallo Spirito Santo che vigila sulla Chiesa per tenerla al riparo dalla perfidia umana, assistendo i Papi che devono però governare la Chiesa loro affidata come se la libertà della stessa dipendesse solo dalla loro azione. Essi devono impedire che le porte della Chiesa siano aperte al mondo, che prelati di fede malferma siano promossi, che uomini di ortodossia sospetta siano elevati alla porpora o a qualsiasi dignità ecclesiastica con potere di giurisdizione.
Questo è quanto ha cercato di fare Papa Paolo IV, il quale ha insegnato che nel caso sia eletto in un conclave, anche se legittimo e con l'unanimità dei cardinali, un individuo che si rivelerà poi deviato nella dottrina, l'assistenza dello Spirito Santo si volge ai figli della Chiesa, affinché riconoscano la nullità della sua elezione, affinché possano resistere e reagire alla sua opera di distruzione della Chiesa.
L'insegnamento del Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo su questioni di fede, di morale ed in certo qual senso anche di disciplina, riflettere in modo diretto e conseguente la Rivelazione.
Si può riconoscere il grado del rapporto del Magistero con la legge divina dalla materia trattata e dall'autorità impegnatavi.
Già dall'Esordio la Bolla «Cum ex apostolatus officio» chiarisce la sua materia trattando dei doveri dell'Autorità Apostolica nella difesa della verità rivelata, perciò parla in termini scritturali (confronta Giovanni 21, 15 - 17, Giovanni 10, 12, 13, Matteo 7, 15 -20).
Paolo IV impegna in questa Bolla la pienezza del suo potere apostolico, promulgando una Costituzione valida in perpetuo, intenta ad impedire la perversione della fede da parte di persone in posizione d'autorità.
Impegna l'autorità papale per definire quanto è proprio all'autorità cristiana. E' di fede che l'autorità divina è rappresenta nella Chiesa dai Successori di Pietro, che la ricevono immediatamente da Dio quando accettano la propria elezione a Papa.
La Bolla tratta, quindi, dell'autorità di giurisdizione nella Chiesa, che deve sempre fare riferimento al Papato.
Perciò è direttamente materia di fede.
Ha dunque una natura dottrinale che determina quella canonica.
Le leggi ecclesiastiche derivano dalle questioni dottrinali, che a loro volta provengono dalla Legge Divina (confronta G. Le Bras «La Chiesa del Diritto», Bologna, 1976 pagine 58 - 60).
Solo essa determina la missione della Chiesa e del Successore di Pietro riguardo al Vangelo.
La presentazione della materia è fatta in linguaggio evangelico che richiama la parola del Signore sull'albero che, privo di (buoni) frutti, viene dato alle fiamme (Matteo 7, 19; Ebrei 12 - 15; Galati 1, 9; II Giovanni 10, 11).
Nel primo paragrafo (confronta Matteo 17, 6, 7) Paolo IV si riferisce al pericolo estremo dell'abominio nel Luogo Santo predetto da Daniele (Daniele 9, 27; Matteo 24, 15), è esplicita parlando dello stesso Romano Pontefice la cui giurisdizione è universale «iure divino».
Con ciò la Bolla trascende il diritto ecclesiastico nella persona del suo più alto giudice.
Può farlo solo se è di diritto divino.
Il Magistero nella Chiesa è stato istituito preminentemente per arginare l'errore e per la tutela della Chiesa stessa.
Il Papato è sempre stato guardingo verso chi voleva introdurre delle innovazioni illecite all'interno della Chiesa e mediante questi cambiare la fede.
Papa Pio II con la sua Bolla ‘Execrabilis' (1460) dichiara: «Qualsiasi concilio convocato per effettuare cambiamenti drastici nella Chiesa è decretato in anticipo invalido e annullato».
Questo principio si estende all'autorità ecclesiastica in generale di quelli che lo vogliono imporre come verità di fede degli errori e delle eresie, a nulla serve dimostrare l'errore dei deviati dalla fede, se si considera come legittimi i devianti stessi.
E' inutile vedere il pericolo e chi ne è il promotore, se non si denuncia apertamente chi cerca di deviare il gregge del Signore come lupo travestito da agnello.
Questo è il concetto fondamentale che scaturisce dalla Bolla «Cum ex apostolatus officio».
La Costituzione Apostolica cerca d'impedire quanto testè affermato dichiarando: «La sua promozione o elevazione è nulla, invalida e senza alcun valore, anche se avvenuta con la concordanza e l'unanime consenso di tutti i cardinali».
Quest'invalidità è reale, anche se scoperta solo più tardi: «Neppure si potrà dire che essa sia o sarà convalidata dall'intronizzazione o ‘adorazione' del Romano Pontefice, col ricevimento della carica, con la consacrazione, o in virtù dell'obbedienza a lui prestata da tutti, o per il decorso di qualsiasi lasso di tempo nel detto esercizio della carica - va ritenuta illegittima a tutti gli effetti».
Il Papa ricorda ai fedeli che, guidati dalla fede, sono liberi di aderire solo alle vere autorità della Chiesa.
La fede è la ragione per cui il fedele obbedisce all'autorità della Chiesa.
«Ma, anche se noi stessi o un angelo del cielo venisse ad annunziarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia egli anatema» (Galati 1- 8).
E' vero, nel mondo odierno, come dimostra la società dell'informazione, la Chiesa conciliare è identificata in modo inequivocabile con la Chiesa cattolica.
Si parla ogni tanto di dissensi interni, di correnti conservatrici e progressiste in contrasto, ma chi osa dubitare che un'entità così vistosa, con tutto il suo apparato ecclesiale e riconosciuta in tutto l'orbe, possa non essere la Chiesa apostolica che da duemila anni ha un ruolo storico unico?
Ebbene, la verità è che la Chiesa, società dei fedeli, vive, come ognuno di loro, del respiro della fede integra e pura; perciò la Chiesa è solo là dove si professa questa fede e non una sua contraffazione ecumenista.
Tale fatto basilare esula dalle informazioni di massa, prive del senso della fede; come nel «caso» Lefebvre, in cui la materia fu trattata come un dissenso tra partiti.
Conclusione
Il Signore, parlando dei falsi cristi e dei falsi profeti, aveva avvertito che l'ultima persecuzione si sarebbe rivestita d'inganno, inganno nella fede che mette in causa il diritto di Dio.
Sembra ovvio, ma la cosa più dimenticata è proprio che la difesa della Chiesa dipende dalla fede, speranza e carità suscitate da Dio nei fedeli.
Quanto sembra ovvio va oggi ripetuto perché non sia dimenticato: il princìpio della difesa della Chiesa è nelle virtù che determinano la sua legge e guidano la sua azione.
«Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la Sua Giustizia e il resto vi sarà dato per giunta».
Ciò si applica in pieno alla difesa della Chiesa di Dio, della sua autorità e dei suoi Sacramenti.
Il suo contrario è cercare i Sacramenti come se la fede fosse ordinata ad essi e non essi alla fede.
Qui interessa applicare tale ragionamento al conclave che elegge la suprema autorità, rappresentante di Dio in terra.
Ciò perché oggi prevale, anche tra i tradizionalisti, l'idea che sussistendo, secondo giudizio umano, la legittimità del conclave, l'elezione di qualsiasi papabile rientri nelle certezze assolute!
Se così fosse, la fede sarebbe ordinata al conclave e non il contrario, cioè che il conclave, essendo ordinato alla fede, è legittimo solo se l'eletto professa la fede cattolica.
Il principio divino dell'autorità papale non è il conclave (riunione umana), ma la fede dell'eletto (principio divino).
Papa Paolo IV ha chiarito che il Mistero dell'iniquità raggiunge il suo apice nella stessa Chiesa.
E' la ribellione finale contro l'autorità di Dio che avviene nel suo vertice. L'iniquità suprema è diretta a sostituire la parola di Dio per edificare la grande fraternità babilonica della pace ecumenista nel luogo santo della fede divina, unica ordinata al bene.
A ciò punta l'antireligione che fa della libertà il suo vero bene, il suo idolo. Tale mistero non può essere attribuito semplicemente ai complotti massonici o mondialisti contro la cristianità, ma individuato dove è costituita l'opera di redenzione dalla prima ribellione: nella Chiesa ordinata alla gloria di Dio.
Perciò, quando la rivoluzione moderna si è presentata con la Riforma per mutare l'autorità della Chiesa, i Papi, in speciale Paolo IV, l'hanno fornita di mezzi di difesa che, come la Bolla «Cum ex apostolatus officio», la possono tutelare per sempre anche nell'ordine giuridico, sempre che ad essa si faccia ricorso.
In tal senso, quando si dice che la massoneria è la vera «controchiesa», ciò riguarda lo spirito che la dirige verso il suo scopo finale, che va oltre le sue organizzazioni umane.
Dal momento, però, che esso riesce a infiltrare nella Chiesa il suo sibilo gnostico, come sia l'autonomia della «coscienza retta» e la «redenzione universale», l'attacco della massoneria contro la fede è superato e il suo compito diviene accessorio, se non fuorviante, perché schiere di tradizionalisti continueranno ad additarla come la nemica da affrontare, mentre il suo spirito già controlla festosamente il Vaticano.
Al fedele deve importare innanzitutto la situazione presente della Chiesa, affinché la reazione contro i suoi demolitori sia forte della chiarezza nella fede; forza e chiarezza che sono annullate nella misura stessa in cui si riconosce e perfino si ricorre ai demolitori della fede per salvare la fede, come fa un intero mondo più tradizionalista che tradizionista.
Come è stato visto, la «rivoluzione» per eccellenza si occupa essenzialmente di cambiare la pedagogia divina del Salvatore con un'altra che si vuole scientifica, illuminata, ma deriva sempre dal sussurro originale del: «sarete come dèi», conoscendo il bene e il male; insegna una creatività, pure nel male, che incute la ricerca dell'autonomia dall'ordine divino.
I conclavi sono i momenti cruciali per la difesa della fede nella Chiesa.
Perciò la massoneria per cambiare l'ordine cristiano derivato da questa fede avrebbe voluto l'elezione del cardinale Rampolla in odore di massoneria.
Ma con sorpresa generale, il cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia, ha interrotto il corso di quell'elezione come portavoce di Francesco Giuseppe che, come imperatore austro-ungarico godeva del potere di veto nei conclavi papali.
Egli esercitò tale potere per impedire l'elezione di Rampolla.
E in quell'elezione la Provvidenza guidò i cardinali a eleggere l'umile Giuseppe Sarto, divenuto San Pio X, nell'esercizio del Supremo Apostolato, uno dei più nobili d'ogni tempo.
Poteva l'intenzione di un papabile modernista essere ignorata da Dio?
No, perciò l'elezione di un deviato è nulla.
In ogni caso, se l'obiezione è nel senso che Dio agisce sempre attraverso i suoi Papi, allora si deve prendere atto che l'invalidità dell'elezione di uno nelle condizioni di Roncalli, cioè di fede talmente insicura da essere escluso dall'insegnamento, è espressa dai Papi.
E' quanto si apprende con l'azione del Papa Paolo IV e della dottrina della sua bolla «Cum ex apostolatus officio».
Essa ribadisce un fatto logico: poiché il sostegno della Chiesa è la fede e il Papato esiste per assicurarla, un Papa eletto per mutarla non può essere un vero Papa.
Il frutto storico di tale occupazione sarà la generale scristianizzazione, iniziata proprio in seguito all'elezione e al nuovo «magistero» di un «papa» deviato. Ma ciò, disgraziatamente, si conoscerà solo in seguito, perché il vaglio della fede dipende pure dalla forza della fede del gregge.
Alla luce del Vangelo si può quindi dire senza paura di sbagliare che col predicare quanto è pensiero del mondo, le sue favole ed utopie profane, i falsi pastori si svelano, per diritto divino anatemi per la Chiesa di Cristo.
Il diritto divino ordina, infatti, di «evitare l'eretico» (Tt 3, 9-10); «Non lo ricevete né lo salutate. Chi lo saluta partecipa alle opere malvagie di lui», (2 Giovanni 10-11).
Davanti al pericolo che dei falsari possano giungere a posti d'autorità nella Chiesa, potrebbe la sua legge essere sprovvista da elementi di difesa?
Se lo fosse... «dove fu costituita la sede del beatissimo Pietro e la cattedra della verità ad illuminare le genti, lì hanno eretto il trono della loro abominazione e scellera¬tezza affinché colpito il pastore possano disperdere anche il gregge» (Esorcismo redatto dal Papa Leone XIII).
La Cattedra che arginava l'iniquità potrebbe essere usata per promuoverla nell'ora culminante della persecuzione contro la Chiesa che Leone XIII ha visto.
Ecco che il «complotto» dell'ora presente per sostituire l'ordine cristiano con l'ordine ecumenista, massonico-modernista, ha percorso la lunga sequenza dei conclavi: da quello in cui quasi fu eletto l'aquila Rampolla a quello che ha eletto il bonario Roncalli, di ancora più evidente estrazione conciliarista, perché modernista e filo massone.
L'elezione del Papa cattolico è assistita dallo Spirito Santo poiché l'eletto in modo valido riceve immediatamente da Dio, non dalla Chiesa, il potere pontificale.
La scelta dell'uomo con le condizioni per divenire Papa spetta alla Chiesa, rappresentata dai cardinali.
Ma la validità del suo potere dipende dalla sua fede cattolica, perciò antimodernista.
Poiché difendere la Chiesa è volere di Dio, o se vogliamo usare il termine giusto, di diritto divino, il cattolico che non la difende, professando pubblicamente la sua fede, quando essa è in grave pericolo, si avvia all'apostasia.
Non vi è dubbio che norme giuridiche di diritto ecclesiastico non possano essere applicate se manca l'autorità competente, il giudice con la sentenza e la forza per renderle esecutive nella pratica.
Ma non vi è nemmeno dubbio che tale assenza non possa rendere inapplicabile una legge di diritto divino.
Allora il problema riguarda solo l'ambito della giustizia umana.
Eppure, anche la legge umana condanna il falso ideologico.
Uno che si presenta come medico ma è solo un fattucchiere inganna non meno di chi si presenta come prete cattolico ma professa il modernismo.
La legge richiede trasparenza di identità religiosa e ideologica per cui anche agli ebrei è stato ordinato da Paolo IV che si identificassero come ebrei a scanso di equivoci.
Richiedere l'identificarsi per quel che si è e si professa non significa discriminare.
La legge, che ha per ragione il bene comune, non ammette intenzioni occulte. Dio non chiederà mai un'impossibile chiaroveggenza agli uomini.
Ma una cosa chiede, ed su ciò saremo vagliati: che non si dica mai, con la scusa di fedeltà, che un pastore con una falsa fede di ecumenismo massonico, abbia l'autorità di Dio perché da Lui inviato.
Arai Daniele
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