USA: pausa di un anno? - Pagina 2
04 Dicembre 2007
Col fiato corto sui fronti bellici, la rovina finanziaria incombente e il rafforzarsi dei suoi avversari strategici (Cina e Russia), «Washington decreta un anno di tregua globale», sostiene Thiery Meyssan in una interessante analisi.
Basta con le minacce truculente all’Iran, basta con la grancassa sulla terza guerra mondiale che allarma e crea anti-americanismo.
I poteri forti che già si manifestarono nell'’Iraq Study Group e portarono all’espulsione di Rumsfeld, avrebbero messo in condizione di non nuocere oltre Bush e Cheney.
Ora il gioco si chiama «smart power», potere intelligente (quello di Bush non lo era).
E per la propaganda rivolta ai servi e ai satelliti, la parola d’ordine è «soft power».
Ma in realtà, è un anno di convalescenza della disastrata potenza egemone.
Ad aver ragione dei due folli e dei loro suggeritori israeliti è stata una drammatica lotta interna al potere, sul filo del colpo di stato.
L’ammiragio William Fallon, comandante del CENTCOM (ossia delle forze USA in tutto il Medio Oriente) ha dovuto minacciare di rifiutare obbedienza all’ordine di bombardamento dell’Iran con atomiche tattiche, già deciso da Cheney e dai suoi neocon.
Negli ambienti militari si è sparsa la voce di generali pronti al putsch per impedire un’altra guerra catastrofica per gli USA.
Il misterioso volo del B-52 con i sei missili a testata atomica - a quanto pare un colpo di mano segreto di Cheney, sventato all’ultimo momento dagli alti gradi - con le misteriosissime morti dei militari testimoni dell’evento, e, forse l’abbattimento di un satellite - guida per l’attacco (caduto in Perù) suggerisce che la lotta è stata tragica.
Subito dopo, il senatore Joe Biden ha minacciato Bush: ordina l’attacco all’Iran e finisci sotto impeachment.
Adesso il Center for Strategic International Studies (CSIS), una fondazione geopolitica nota che è una emanazione della CIA con venature di sinistra moderata, ha elaborato la nuova strategia.
Con una commissione dove siede Joseph Nye, altro membro del Council on Foreign Relations (CFR) e rettore della Kennedy School of Government di Harvard (la stessa in cui insegnano i noti Walt e Mearsheimer), però insieme a Richard Armitage: e questo è un falco, che è stato parte del segreto Programma Phoenix in Vietnam (contro-assassinii e contro-guerriglia), ex-Dipartimento di Stato, uomo del complesso militare-industriale, che è stato molto vicino a Cheney in questi anni: è Armitage che nell’ottobre 2001 minacciò il generale Musharraf di «riportare il Pakistan all’età della pietra a suon di bombe» (sue parole letterali) se il generale non si univa alla lotta globale al terrorismo.
Già questo indica che la nuova strategia è frutto di un difficile compromesso fra vecchi imperialisti «soft» e nuovi neocon.
Le due fazioni si sarebbero comunque trovate d’accordo su alcuni punti:
1) Le forze armate esaurite dalle guerre in Iraq e in Afghanistan hanno bisogno di una pausa;
2) le spese del Pentagono, colossali, stanno trascinando alla rovina l’economia;
3) bisogna ascoltare le pressioni che vengono dai settori economici americani diversi dal complesso militare-industriale (i media, il software, il turismo, Hollywood) che dalla guerra stanno perdendo troppo, cedendo quote di mercato per il fatto che l’America è diventata impopolare nel mondo.
Si tratta dunque di «riconquistare le menti ed i cuori», questa è la strategia che presto i nostri giornali europei frulleranno sotto il nome di «soft power».
Come?
La Casa Bianca smetterà di far paura, di sputare sul diritto internazionale e sulla diplomazia come mezzo di soluzione dei conflitti, e metterà la sordina all’unilateralismo.
Sorriderà di nuovo agli «alleati» (noi europei) per ottenere il nostro appoggio a lungo termine. Rimetterà l’accento su concetti come «mantenimento della pace» e «ricostruzione», sul lato «umanitario» degli interventi bellici; ammetterà che bisogna far qualcosa contro il riscaldamento climatico; farà finta di rispettare l’ONU ed affidargli compiti umanitario-sanitari in Iraq (che, proprio in queste settimane, è sconvolto dal colera, grazie ai liberatori).
Washington si accorgerà improvvisamente che la globalizzazione non è tutto oro, ma che approfondisce le iniquità sociali.
Si riprenderà il ciclo di Doha, ascoltando di nuovo le lamentele del Terzo Mondo.
Rinasceranno gli aiuti allo sviluppo, che saranno coordinati a livello centrale, e sarà messo l’accento sulla situazione sanitaria dei Paesi occupati o a cui portare la democrazia, con un mini-piano Marshall dedicato alle infrastrutture per l’acqua potabile.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità sarà riorganizzata secondo questa strategia buonista. Anche all’interno degli USA si farà qualcosa contro la povertà e l’esclusione.
Non ci saranno più altre operazioni militari massicce (tranne una puntata «umanitaria» nel Darfur, prevede Meyssan).
Il cosiddetto vertice di Annapolis è stato il ricevimento per la presentazione alla stampa e ai Paesi-satelliti di questo nuovo programma.
La questione palestinese è stata un pretesto: quel che conta è che la situazione è stata congelata per un anno, durante il quale Israele potrà continuare ad ammazzare e affamare i palestinesi, ma stavolta principalmente attraverso Abu Mazen, incaricato di «portare la democrazia» a Gaza.
La partecipazione della Siria ad Annapolis è stata il primo passo per staccare Damasco dall’Iran e da Hezbollah.
Di colpo, la Siria è stata scagionata dell’assassinio di Rafik Hariri, come ha dichiarato Serge Braemmert, il capo della procura ONU che indaga sul delitto.
Il sottosegretario di Stato David Welch ha autorizzato le fazioni libanesi controllate dagli USA ad eleggere come presidente della repubblica il generale Michel Sleimane, fino a ieri bollato come «filo-siriano» dagli USA.
Di colpo, gli USA considerano di nuovo credibile El Baradei, il capo della AIEA, e lo hanno autorizzato a dire che il programma nucleare iraniano non rappresenta un pericolo, almeno a medio termine.
Il piano «Kivunim» ebraico, ossia lo smembramento dell’Iraq in tre staterelli, è per ora rimandato: questa la ragione per cui si consente alla Turchia di condurre incursioni nel Curdistan iracheno.
Ci saranno colloqui con emissari iraniani perché collaborino a calmare la situazione in Iraq, dove la guerriglia sciita, tiene inchiodate al terreno forze americane rilevanti.
Un anno di convalescenza.
Di cui sarà infermiera, dice Meyssan, Condoleezza Rice (1): ora la signora, con la credibilità malconcia per le iniziative diplomatiche a metà e incenerite dal bellicismo di Bush, sarà chiamata a rendere credibile la grinta umana dell’americanismo in declino, e nello stesso tempo a tenere a bada Mosca e Pechino, che hanno preso le misure della debolezza psico-strategica, economica e militare della superpotenza, e possono approfittare di quest’anno di pausa per prendere posizioni di vantaggio nella scacchiera globale.
Bisognerà anche acquietare quei super-alleati come Londra, che si sono esposti fino alla vergogna e all’umiliazione nel sostenere la «guerra globale al terrorismo», ed ora si trovano a didietro scoperto nella nuova strategia del «soft power».
Che si tratti di una tregua e non di una nuova linea politica lo rivela un fatto: appena incaricata della strategia del sorriso, la Rice ha richiamato al suo fianco - o è stata costretta a chiamare - Paul Wolfowitz.
Sì, proprio lui: l’autore della fallimentare strategia di Bush, il probabile mandante dell’auto-attentato dell’11 settembre, è riapparso.
Adesso è - o si è fatto nominare - presidente dell’International Security Advisory Board (ISAB), importantissimo organo che «fornisce consigli indipendenti sull’armamento e la sicurezza internazionale» al Dipartimento di Stato.
Insomma, attraverso Wolfie, è l’Israele messianico che controlla e guida il progetto soft power, ed ha accesso a tutti i livelli di intelligence relativi.
Come italiani, interessa sapere che la propaganda del sorriso nei nostri confronti è già cominciata.
Il 28-30 novembre si è tenuto a Roma un congresso internazionale intitolato senza pudore così:
«La conquista delle menti e dei cuori: il soft power nel contrasto al jihadismo globale».
Salutato dal ministro degli esteri D’Alema e chiuso da Kippà Fini per conto di Israele, è strapieno di neocon, ebrei e americani e nostrani, fra cui il commissario Frattini.
Lo ha organizzato un fantomatico «Centro di Alti studi contro il Terrorismo e la Violenza», improvvisamente ricco di mezzi: lo finanziano la NATO, la Casa Bianca, il ministro degli Interni (David Giuliano Amato), un ente di Tel Aviv chiamato ICTAF, Interdisciplinary Center for Technology Analysis & Forecasting… insomma ci siamo capiti.
Presto, prestissimo, Corriere e Repubblica, Mediaset e RAI, diffonderanno la nuova voce del padrone, il nuovo verbo, il soft power.
Lasciatevi conquistare le menti, e naturalmente i cuori.
1) Thierry Meyssan, «Washington décrète un an de treve globale», Réseau Voltaire, 3 dicembre 2007.
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