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Ron Paul, la non-persona
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STATI UNITI: La prossima volta che vedrete in TV il noto Teodori ripetere che l'America «è la più  aperta democrazia occidentale», con «la più libera stampa che esista al mondo», raccontate a vostro figlio o nipote (che potrebbe crederci) la storia del candidato che il popolo vuole e di cui i media tacciono.
E' una storia che si svolge in questi giorni.
In USA c'è una non-persona che s'è candidata alla presidenza USA.
Che sta avanzando nei sondaggi.
Che conduce la sua campagna in economia assoluta.

Non ha nulla per piacere: non è nemmeno «un giovane», è un ginecologo settantenne.
Questa non-persona è repubblicana: la sua avanzata travolgente ne fa anzi, l'unico candidato repubblicano che - dopo il mandato repubblicano di Bush, un disastro di guerra, debiti e miseria - abbia una possibilità di prevalere sulla candidata democratica Hillary Clinton.
Eppure il suo stesso partito non lo candida.
Anzi, gli fa il vuoto attorno.
Preferisce perdere con Rudy Giuliani, il sindaco delle Twin Towers.
Se siete più informati di quanto vi consenta il Corriere, conoscete il nome di questa non-persona.
Si chiama Ron Paul.

La sua colpa, che lo rende incandidabile nella più grande democrazia del mondo, è questa: fin dal principio è stato contro l'invasione dell'Iraq.
Contro la demente guerra al terrorismo globale indetta da Bush.
Contro le guerre per Israele.
E mentre Hillary, Obama, Giuliani, McCain, qualunque altro candidato di cui si può parlare, hanno promesso alla nota lobby che se eletti faranno la guerra all'Iran, Ron Paul ha promesso il contrario. I candidati sono andati in ginocchio alle sedi varie della lobby, per supplicare il sostegno del denaro israelita e fare esaminare le loro credenziali.
Il denaro corre e si concentra, la scelta è caduta su Hillary meglio che Obama, è già deciso…
Le campagne presidenziali costano, in USA, almeno 200 milioni di dollari a candidato.

Ma non è che a Ron Paul manchi il denaro.
Solo che lo riceve dalla gente comune.
In misura strabiliante.
In un solo giorno, il 5 novembre, ha ricevuto dagli americani che lo conoscono via internet 4,2 milioni di dollari.
La data è significativa: il 5 novembre 1605 è nel mondo anglosassone il Guy Fawkes Day, memoria del presunto attentato a re Giacomo I, a torto o a ragione passato come un giorno di liberazione inglese dal «papismo» (1).
Non è che la memoria storica della gente giunga a tanto.
Quelli che hanno scelto il 5 novembre per dare ancor più soldi a Ron Paul hanno in mente il film recente, «V for Vendetta», la storia di un vendicatore mascherato in lotta contro una società d'oggi, dominata da poteri occulti, meccanicisti, nichilisti, radicalmente falsa: la società televisiva in cui viviamo.
Il sito di Ron Paul è affollato da donatori in maschera bianca che ripetono lo storico slogan: «Remember, remember the 5 of september».
Insomma vedono in Paul il Vendicatore.

Il critico radicale di una società che si dice democratica ed è governata da oligarchie occulte; quello che dice la verità  nel mezzo della menzogna totale mediatica.
Ron Paul è il solo candidato che riceva soldi dalla gente, in questa misura: vuole arrivare a 12 milioni di dollari entro dicembre, e ne ha già 9.
Gli altri candidati candidabili ricevono i soldi dalle lobby e dalle multinazionali.
Molti di più, si capisce.
Ma Ron Paul fa campagna in economia stretta.
Non ingaggia maghi della pubblicità da milioni di dollari.
Non spara sui network spot da miliardi.
Non inonda i muri di manifesti colossali.
Il gruppo che lo fiancheggia non è composto da centinaia di militanti forniti dal partito repubblicano, ma da cinquanta persone, volontari a rimborso-spese.

Come «spin doctor», strateghi della comunicazione, sono con lui due tizi chiamati Kent Snyder e Lew Moore.
Sono due professionisti.
Ma Snyder è accanto al vecchio ginecologo da quanto era studente e lo sostenne come volontario nella campagna del 1988, dove Ron Paul si presentò come candidatolibertario.
Moore è un repubblicano che ha creato campagne per noti sostenitori di cause perse, ma anti-sistema: il deputato Jack Metclaf, che ha il coraggio di proclamare che la Federal Reserve è illegale, e illegale il denaro che crea dal nulla, e fu - all'età di nove anni - uno dei ragazzi che volantinarono per Barry Goldwater nel 1964.
Insomma, non due maghi di «ogni» pubblicità, ma due soldati politici e vecchi amici.
Il resto gli viene da internet.
Dal mezzo non del tutto controllabile, che si conferma ancora una volta il luogo ultimo dove la gente raccoglie le verità che i media non dicono, e dove si organizza per esprimere il suo rifiuto delle oligarchie nascoste.

I media americani non hanno parlato di Ron Paul.
Mai o quasi, fino ad ora: salvo qualche accenno a quel pazzerello ridicolo, a quel «marginale» strano vecchietto.
Mai e poi mai hanno coperto i suoi affollati comizi, dove arriva gente di ogni razza, ceto e convinzione politica, cristiani rinati e gay di San Francisco compresi.
Ora però «devono»: quei 4,2 milioni di dollari raccolti dalla base in un solo 5 novembre - qualcosa che la Clinton e Rudy Giuliani nemmeno si sognano - sono una realtà esplosiva.
Una realtà pericolosa, a giudizio delle note lobby.
Da neutralizzare.
A questo servono i «liberi» media.
Una campagna di derisione al limite della denigrazione e della calunnia è in corso (2).
TV e giornali «di destra» e «di sinistra» uniti, dipingono giorno per giorno la caricatura, per rendere Ron Paul inappetibile.
«Ron il matto» il pazzo pericoloso, è il tema generale (fecero lo stesso anche a Goldwater).
Un fanatico.
Il Wekly Standard, la rivista dei neocon, è sul punto di dargli dell'antisemita, e lo ritrae mentre viene salutato da giovani in uniforme, per suggerire che è un nazista.
Lì si «deve» arrivare.

Per ora, il messaggio è affidato ad un comico della CNN, Glenn Beck, che (scherzando s'intende) dà a Ron Paul del «terrorista», lo paragona ad uno come Timothy McVeigh, il capo degli attentatori di Oklahoma City, stragista nero, estrema destra.
Poi, i liberi giornali hanno scoperto che fra i donatori alla sua campagna c'è un razzista di notorietà locale, il quale ha versato 500 dollari.
Che Rudy e Hillary ricevano milioni di dollari dal complesso militare-industriale e dall'American Israeli Political Committee non pesa altrettanto, nel sistema orwelliano della Verità Autorizzata. David Neiwert, un giornalista, ha cominciato a ricamare su quei 500 dollari neri. «Non sto dicendo che Ron Paul è un razzista, ma che è un estremista che condivide un quadro di convinzioni sostenute dai razzisti e dai fanatici del 'meno Stato'. Paul si identifica con le loro cause non solo perché parla con loro, ma perché illustra idee e posizioni - sul sistema fiscale, l'ONU, la copertura aurea e l'istruzione - identiche alle loro. C'è un motivo per cui Ron Paul attrae sostenitori come David Duke (noto neonazista, ndr.) e le bande dello Stormfront: egli parla come loro».
Si assapori la tecnica denigratoria per associazione e per allusione.


Ron Paul è un libertario, fin troppo liberale in senso radicale su certi temi.
E in quanto libertario, «parla» a chiunque, anche a chi «non dovrebbe».
Siccome è contro la tassazione spoliatrice, l'ONU come fantomatico governo mondiale, per l'istruzione affidata alla responsabilità dei genitori e (soprattutto) contro una  moneta senza copertura - è come David Duke.
Parla come lui, l'agitatore di svastiche.
E' un negatore dell'olocausto, dunque.
Nel nostro piccolo, abbiamo visto usare questa medesima tattica da Teodori.
Evidentemente c'è un manuale, un repertorio prescritto.

La realtà è che Ron Paul è un esponente del movimento liberario classico, una frangia di minoranza che è sempre esistita in USA, ancorchè minoritaria.
Fa rabbia che sia a destra (è repubblicano e per «meno Stato») ma anche a sinistra, contro la guerra e le guerre di Bush.
Insomma non è incasellabile nelle gabbiette prescritte dalle lobby.
Rompe gli steccati, attraendo gente dalle due sponde.
Dice ciò che nè a «destra» né «sinistra» deve essere detto, se si vuol farsi eleggere presidenti o senatori. Non dipende dall'AIPAC e non si fa dettare il programma dal Jewish Institute for National Security Affairs.
Disturba, perché ai liberai americani è data la scelta fra falchi di sinistra che promettono di bombardare l'Iran, e neocon dichiarati come Giuliani, che promettono di bombardare l'Iran.

Lo dice David Greenwald, un giornalista prima critico ma oggi attento e favorevole osservatore del fenomeno.
«La capacità della campagna di Paul di costringere ad un dibattito di cui c'è disperato bisogno, attorno alla devastazione che il dominio imperiale americano porta ad ogni livello, economico, morale, di libertà e sicurezza, la rende di per sé degna di applauso».
Strano nazista, uno che apre il dibattito invece di chiuderlo.
«Inoltre», aggiunge Greenwald, «a volte sono le circostanze a dettare le priorità politiche. Persone che non sono mai state attratte dalla retorica del 'meno Stato' e di tutti i relativi sottoprogrammi, oggi capiscono che come ideale questo è necessario oggi, dopo sei anni di espansione del potere statale più intrusivo».

E' così che un ostetrico-ginecologo di 73 anni con idee un po' radical e un po' anti-FED può diventare di colpo un «Guy Fawkes», l'uomo mascherato antisistema, scelto per denunciare la distanza abissale che ormai separa, nella cosiddetta «democrazia», gli elettori dagli eletti, o se vogliamo, il popolo dall'establishment.
Ciò che è peggio, è che l'adozione di Ron Paul da parte dei suoi sostenitori ha - come nota Dedefensa - una identificazione col personaggio fittizio di «V per Vendetta»: un sogno filmico, inventato apposta per placare oniricamente (illusoriamente) le insofferenze che covano nella cultura di massa, un «simbolo» che si vende nei supermercati ad Halloween, una invenzione pubblicitaria a sostegno del sistema e del suo moralismo falso, si volge contro il sistema.
Il vantaggio della «simbolizzazione» per il sistema era la sommarietà della rivolta cinematografica, che «permette utili deformazioni ed evita di investigare a fondo le politiche fondamentali».
Ora, la macchina gira al contrario: chi sia Ron Paul, come la pensi davvero su questo e su quello, importa poco, ora che è il simbolo del candidato-contro, e i suoi sostenitori lo salutano col grido «Remember remember th 5 of november».

E' successo anche in Italia, con Beppe Grillo, le sue idee ecologiste non sono state il motivo del suo successo popolare.
Qui tutto sembra rientrato.
Anche Ron Paul, forse, non ha reali possibilità di vincere la campagna presidenziale.
Ma perché allora questa paura, questa rabbia dell'establishment, delle oligarchie, delle caste che hanno sequestrato la «democrazia»?
Perché ritengono necessario gridare alla «anti-politica»?
Al neonazista, negazionista per giunta?

Perché la menzogna ha da essere totale, da Bertinotti a Fini, o da Hillary a Rudy.
Una gabbia senza spiragli.
Basta un piccolo buco per mettere in pericolo il pensiero unico; anche perché è esausto, e la sua falsità non può più essere dissimulata.



1) «La mission de Ron Paul, V for Vendetta», Dedefensa 14 novembre 2007.
2) Justin Raimondo, «Why are they so afraid of  Ron Paul? Neocons and sectarian leftists unite to smear the antiwar republican», AntiWar, 14 novembre 2007.

 
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