Argentina, lo strano attentato del ‘94
15 Febbraio 2008
Dopo l’attentato che ha ucciso a Damasco Imad Mughniyeh, mente strategica di Hezbollah,
in USA e Israele si è di nuovo accusato il morto di aver architettato un terribile attentato, avvenuto il 18 luglio 1994 contro la comunità ebraica argentina.
Apparentemente, un furgone Trafic pieno d’esplosivo, guidato da un terrorista suicida, si lanciò contro la sede dell’AMIA, Asociacion Mutual Israelita Argentina di Buenos Aires.
Morirono 86 persone, in gran parte ebrei.
I feriti furono 300.
Subito le fonti ebraiche e israeliane accusarono l’Iran, che avrebbe agito attraverso il suo braccio, Hezbollah.
Questa è ormai la narrativa ufficiale.
Ripetuta da tutti i media.
I media naturalmente sorvolano su qualche minimo dettaglio «reale» che contrasta con la narrativa.
Per esempio che il giudice argentino Juan Josè Galeano, che condusse le indagini, è stato radiato con disonore, e tutti gli imputati da lui incastrati sono stati assolti (1).
Il motivo?
Un video, trasmesso dalla TV argentina, mostrava il giudice Galeano mentre offriva 400 mila dollari a un presunto teste chiave e imputato, perché con la sua testimonianza sostenesse la narrativa ufficiale (che era in via di formazione).
Il teste si chiama Carlos Alberto Telleldin, venditore di auto usate, già noto come piccolo malavitoso e confidente della polizia.
Inoltre, Telleldin ha un nome arabo sciita, essendo parte della vasta comunità argentina d’origine musulmana, e perfettamente integrata.
Galeano lo arrestò con l’accusa di aver fornito il furgone Trafic agli attentatori, in realtà per farlo cantare (il che a noi italiani può ricordare Mani Pulite).
Galeano arrestò anche12 iraniani.
Ed emise mandato di cattura contro Hade Soleimanpour, che era ambasciatore di Teheran a Buenos Aires nel 1994.
Il diplomatico fu arrestato in Inghilterra nell’agosto del 2003.
Ma il ministero britannico dell’Interno lo rilasciò, non avendo trovato indizi per la sua estradizione.
Il giudice Galeano incriminò per complicità nell’attentato anche una ventina di poliziotti della polizia provinciale di Buenos Aires: prontamente definiti dai media come «simpatizzanti nazisti», essi sono stati tutti assolti parecchi anni dopo, nel 2003, quando al giudice Galeano è stata tolta l’indagine; nel 2005, infine, Galeano è stato espulso dalla magistratura per come aveva condotto l’inchiesta.
Ciò non ha scosso nemmeno un po’ la narrativa ufficiale.
Anzi, quando gli ingiustamente accusati furono prosciolti, nel 2004, la comunità ebrea argentina inscenò davanti al parlamento nazionale una piazzata violenta, sullo stile di quella che a Roma hanno fatto dopo il proscioglimento di Priebke, prontamente ri-colpevolizzato sotto minaccia dei sediziosi (2).
Volevano dei colpevoli, e dei colpevoli adeguati alla narrativa ufficiale: colpa dell’Iran.
Subito dopo l’orrendo attentato Israele spedì in Argentina agenti del Mossad, che parteciparono all’investigazione, affiancando il SIDE (Secreteria de Inteligencia, il SISDE argentino) e agenti dell’FBI.
Non è dunque un caso se «fonti diplomatiche israeliane» rivelarono che un rapporto segreto del SIDE identificava il terrorista suicida che aveva guidato il furgone in Ibrahim Hussein Berro,
un ventinovenne sud-libanese (Hezbollah dunque), il cui martirio, secondo le suddette fonti, sarebbe onorato da una targa in Libano.
La targa porta la data del 18 luglio 1994, giorno dell’attentato a Buenos Aires, dicono le fonti.
Sia il SIDE sia l’FBI hanno confermato questo dettaglio nel novembre 2005, ormai 11 anni dopo l’attentato.
Ma due fratelli di Berro il martire, che vivono a Detroit, hanno deposto davanti a un prosecutor americano tutt’altra storia: il loro fratello sarebbe morto il 9 settembre 1994 in Libano, in combattimento con gli israeliani.
Non era difficile controllare, bastava un test sul DNA del cadavere maciullato di Buenos Aires. Nessun test del DNA è stato fatto, e nemmeno un’autopsia.
Anzi, la polizia argentina avrebbe buttato nella spazzatura la testa del presunto terrorista suicida.
Una faccenda complicata, in cui entra anche l’accusa all’ex presidente argentino Carlos Menem: accusato da un anonimo «Teste C», interrogato dall’indefettibile Galeano, di aver intascato 10 milioni di dollari da Teheran per bloccare le indagini.
Menem ha negato, ma ha dovuto ammettere di avere conti esteri in Lichtenstein (come accade ai capataz sudamericani, e anche a quelli italioti).
Il «Teste C» risultò essere tale Abolghasem Mesbahi, ex agente iraniano (almeno così si presentava).
Nel marzo 2007 un ex parlamentare argentino, Mario Cafiero, e un ex funzionario, Luis D’Elia, presentarono le prove che questo personaggio appartiene al gruppo Mujaheddin of Iran, una formazione militante marxista che combatte con armi ed attentati la repubblica islamica di Teheran.
Nestor Kirchner, l’ulteriore presidente argentino, ha fatto di tutto per riavviare l’indagine
(«Una vergogna nazionale») sul piede giusto, della narrativa ufficiale.
Alla fine, anche lui ha finito per dubitare di tutto.
A questo proposito, un singolare episodio è stato raccontato da Forward, primario giornale ebraico americano: nel settembre 2006 «gruppi ebraici americani» avvicinarono la moglie di Kirchner, Christina, che si trovava a New York ad accompagnare il marito ad una assemblea generale dell’ONU, e «fecero pressione su di lei per ottenere un’accusa precisa che coinvolgesse l’Iran».
La signora rispose allora che non era stata fissata alcuna data precisa per intraprendere ulteriori azioni giudiziarie sulla faccenda, men che meno contro l’Iran.
Il mese dopo, l’accusa è stata elevata dalla giustizia argentina: conferma della narrativa ufficiale,
il kamikaze era Berro, il mandante la mente di Hezbollah, per conto dell’Iran.
Un’accusa formale al governo iraniano.
Come mai?
L’avvocato dell’AMIA, l’associazione israelita colpita, di nome Miguel Bronfman, ha raccontato che questo mutamento imprevisto era «stato agevolato» da pressioni di Washington.
Il giudice che ha spiccato i mandati di cattura contro i presunti colpevoli iraniani, Rodolfo Canicoba Corral, ha ammesso la stessa cosa alla BBC nel maggio seguente: non c’è dubbio, ha detto, che le autorità argentine «sono state spinte ad unirsi ai tentativi internazionali di isolare il regime di Teheran».
Nel 2004, decennale della strage, dieci registi argentini, appositamente finanziati, hanno prodotto dieci brevi celebrazioni filmate dell’evento, un po’ «giornate della memoria» e un po’ «documentari».
Tutti i filmati, ci credereste?, confermano e corroborano la narrativa ufficiale (3).
Anzi: «sono» la narrativa ufficiale, e sostituiscono a pieno titolo le indagini alquanto lacunose.
Ci si può chiedere perché l’orribile regime di Teheran avesse sentito la necessità di fare strage di ebrei argentini.
La risposta è pronta: per punire l’Argentina, che aveva sospeso un contratto di fornitura di tecnologia nucleare a Teheran.
La realtà è che questo contratto non è mai stato bloccato, e che Iran e Argentina stavano negoziando per la ripresa della piena collaborazione nel settore nucleare: i negoziati cominciati nel 1992, erano in corso e stavano concludendosi felicemente nel 1994; proprio allora il terrorista Hezbollah oggi defunto decise di compiere la strage.
Ciò ha liquidato per sempre la collaborazione nucleare fra Iran e Argentina, sgradita ad Israele.
1) Gareth Porter, «Bush’s Iran-Argentina frame-up», The Nation, 4 febbraio 2004. Il resoconto che segue è essenzialmente tratto dall’approfondita inchiesta di Gareth Porter.
2) Brian Byrnes, «Acquittals in ‘94 attack spur protests by Argentina’s jews», Washington Post, 9 settembre 2004.
3) Si veda la voce «1994 AMIA bombing» su wikipedia.
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