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L’Europaradiso (fiscale)
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COLONIA: Per adesso s’è dimesso Klaus Zumwinkel, presidente delle Poste (Deutsche Post), inseguito dall’accusa di aver sottratto al fisco un milione di euro ed averli nascosti in Liechtenstein.
Ma gli uffici tributari tedeschi hanno in mano i nomi di «centinaia» di evasori, «personalità chiave del Paese», «noti e sconosciuti con redditi altissimi»; sono avvenute 900 perquisizioni; lo scandalo dilaga in Germania, che scopre di avere anch’essa la sua Casta.

Singolare e discutibile il metodo con cui s’è avviata questa Mani Pulite germanica.
Nel 2006, il BND (lo spionaggio estero) è stato contattato da un informatore, un funzionario della principale banca del Liechtenstein, la LGT, di proprietà della famiglia principesca dello staterello di 24 chilometri, stretto tra Svizzera ed Austria.
L’individuo offriva CD con i conti segreti di clienti della banca.
Voleva, in cambio una cifra enorme: si parla di 4-5 milioni di euro.

La cifra non è confermata.
Ma era tanto grossa, che il Bundesnachrichtendienst non ha potuto ricorrere ai suoi fondi neri, ma ha dovuto chiedere l’autorizzazione al ministro delle Finanze, il socialdemocratico Peer Steinbrueck.
Il quale ha dato il via.
«Soldi ben investiti», dice ora.
Si ritiene che il fisco germanico possa recuperare sui 4 miliardi di euro.

Il fatto è una catastrofe per il principato (35 mila abitanti di cui 12 mila stranieri, reddito per abitante quasi triplo dell’italiano), la cui esistenza non ha altra giustificazione che d’essere un paradiso fiscale.
Si dice che le banche locali siano tempestate da ordini di clienti spaventati da questa violazione del segreto bancario.
Il fatto che la banca coinvolta nella fuga spionistica sia quella di cui è titolare il principe Hans-Adam II rende la faccenda ancor più imbarazzante (1).

Si apprende così che il microscopico Stato ha in gestione fiduciaria «attivi» per 161 miliardi di franchi svizzeri (circa 100 miliardi di euro), da cui il Paese ricava un profitto bancario netto di 26,85 miliardi di euro l’anno.

L’eurocrazia di Bruxelles impartisce continue direttive ai Paesi-membri, ordinando il calibro delle mele da commerciare e financo di accettare i matrimoni tra omosessuali, evidentemente in obbedienza al lavorio delle tremila lobby operanti sulla commissione.
Un ingenuo si domanderà come mai la Commissione, mai stanca di emanare pseudo-leggi intrusive nella vita dei popoli e dei singoli europei, lasci invece vivere in pace i paradisi fiscali in Europa.
La risposta non ingenua è che i cinque paradisi (oltre la Svizzera, Monaco, San Marino, Andorra e Liechtenstein) non sono membri della UE: ovvio, si sono guardati bene dall’aderire.

La seconda risposta è che questi paradisetti «collaborano».
Si sono degnati di tassare alla fonte i frutti dei risparmi che nascondono nelle loro casseforti: al 15% per ora, e dopo giugno 2008 fino al 20, e poi forse al 35%.
E poi si sono impegnati a trasferire i denari così raccolti ai Paesi d’origine dei loro clienti - senza tuttavia svelare l’identità dei clienti stessi, com’è giusto.
Ovviamente, questo prelievo è del tutto incontrollabile, bisogna credere alle parole dei principini e dei piccoli monarchi, o dei consigli repubblicani che governano quei rifugi.

E si noti: il prelievo avviene solo sui conti di risparmio: ma chi sarebbe così cretino da mettere i soldi in Liecthestein per risparmio?
Le operazioni lucrose su azioni e derivati sono esenti e non registrate.
E inoltre, il prelievo è solo sui conti degli individui, non sulle società anonime né sulle «fondazioni»: e il Liechtenstein di queste «fondazioni» ne conta 60 mila, praticamente due per ogni residente.
Il presidente della Deutsche Poste aveva appunto una fondazione-salvadanaio.
Non è da stupire che il principato (capitale Vaduz) restituisca a ministeri tributari europei meno di 2 milioni di euro l’anno come prelievo sui frutti.

Singolare il silenzio, su questo scandalo permanente, delle sinistre europee, e italiane in particolare: quelle che ci prelevano molto di più dai conti correnti che rendono zero, dichiarandoli «rendite da capitale», o il Visco che ha fatto dell’esazione fiscale spoliatrice la sua gloria, non ha una speciale curiosità per gli italiani con fondazioni in Liechtenstein.
Qualcosa ci dice che ce ne sono.
Ma il Visco preferisce sbattere in prima pagina qualche campione sportivo di gran nome, giusto per fare pubblicità (esemplare la Germania: nessun nome degli evasori è stato sparato sui giornali.
Il presidente della Deutsche Poste è stato nominato solo perché s’è dimesso).

Per molto meno di quello che fa il Liechtenstein - che i servizi tedeschi hanno accusato nel ‘99 di servire da centrale di riciclaggio per i cartelli della droga sudamericani - l’Europa ha bombardato l’Iraq, e impone blocchi economici all’Iran e alla striscia di Gaza.
Se ben si ricorda, abbiamo partecipato all’occupazione dell’Afghanistan per dare alle donne il diritto di non portare il chador, e insegniamo a tutti questi paesi la «democrazia».

Ma anche in fatto di «democrazia», il Liechtenstein è un tantino mancante.
Nel 2003, il principe Hans Adam, offeso da qualche prova di democrazia locale, ha minacciato di ritirarsi in un suo castello in Austria, in esilio.
Per sottrarlo a questo triste destino, i suoi 35 mila abitanti (o meglio, i 20 mila con diritto di voto) gli hanno assegnato, per referendum, i più totali poteri.
Il principe può licenziare il governo, bloccare ogni legge del parlamentino, e soprattutto intervenire nella nomina dei magistrati.
E che non si parli di conflitto d’interessi, essendo il principe anche il primo banchiere del paradiso fiscale: «Devo guadagnare di mattina i mezzi per fare il principe il pomeriggio», ha scherzato Hans Adam II.

Strano che nessuno minacci di bombardare il Liechtenstein, come si minaccia ogni giorno l’Iran. Dev’essere per riguardo ai valori occidentali più cari - quelli quotati in Borsa - e al principio del segreto bancario inviolabile, ancorchè violato ad libitum un qualche parte d’Europa, ai danni di persone comuni.
Ma questi Paesi sono «nel cuore dell’Europa», come si dice.
E non solo in senso geografico.

In Gran Bretagna, per esempio, lo scandalo tedesco suscita sentimenti misti.
Il Financial Times ricorda che «le leggi sul segreto bancario sono giuste», anche se «la sola risposta per i paradisi fiscali che non collaborano è quella di mandarci le spie», come appunto ha fatto il BND.
D’altro canto, l’Inghilterra è un paradiso fiscale per «residenti stranieri» molto speciali, che sono tassati solo sul reddito che creano in Gran Bretagna e non quello che producono fuori.
E’ per questo che tanti ricchi famosi stanno a Londra, come Madonna ed altri, di nome Deripaska, Berezovski e Abramovich, alcuni dei quali ricercati da Mosca (che non è, beninteso, una democrazia nel cuore caldo dell’Europa).

Ora il governo britannico, alle prese con la catastrofe economica prodotta dalla sua finanza speculativa, minaccia di imporre a questi ricchi residenti stranieri una «poll tax» di 30 mila sterline l’anno.
Qualcosa come 45 mila euro.
Non pare una gran cifra per Madonna.
Sicuramente non lo è per Oleg Deripaska, il quarantenne londinese di residenza che oggi è il quarto uomo più ricco del mondo, dato che i suoi redditi fatti con la compagnia russa Rusal (alluminio) sono saliti a 40 miliardi di dollari quest’anno, grazie al rincaro dei metalli.
Eppure c’è chi protesta.

Il giornalista inglese Sean Gabb (2) scrive: «Questo prelievo, che dovrebbe rendere 800 milioni di sterline, è pari appena a un quinto di un punto percentuale della spesa pubblica; e nemmeno durerà. I non-domiciliati già minacciano di andarsene. Ciò significa dare addio ad alcune delle persone più dinamiche della City. Perdere gente che contribuisce miliardi in occupazione e tassazione indiretta, e danneggiare la grande macchina finanziaria (della Borsa) che genera più di un terzo del PIL».

Ecco com’è: in Europa, si trova sempre un giornalista disposto a difendere oligarchi, principi, speculatori e miliardari ricercati, purchè siano veramente sfondati.
Di rado se ne trovano disposti a difendere da Visco i taxisti e i barbieri.
Ecco perché sopravvive il Liechtenstein.



1) Philippe Ricard, «Des paradis fiscaux quasiment intouchables au cœur d’Europe», Le Monde, 17 febbraio 2008.
2) Sean Gabb, «Are the non-Domiciled Rich and the City Good for England?» The Brussels Journal, 19 febbraio 2008.


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